Droga ed estorsioni a Palermo, chi sono arrestati - NOMI - QdS

Estorsioni, droga e “sentinelle” sul territorio: chi sono gli arrestati dell’operazione Vincolo – NOMI

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Estorsioni, droga e “sentinelle” sul territorio: chi sono gli arrestati dell’operazione Vincolo – NOMI

Roberto Greco  |
lunedì 17 Luglio 2023

Ecco chi sono i soggetti arrestati nell'ambito dell'operazione Vincolo compiuta a Palermo nelle scorse ore. Nomi e "ruoli".

Oggi il Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo ha dato esecuzione a 20 ordinanze di custodia cautelare, di cui 7 in carcere, 2 obblighi di dimora e 11 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, disposte dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo Filippo Serio su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio di stupefacenti, ricettazione, favoreggiamento personale e porto abusivo di armi, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.

I nomi

È stata applicata la misura di custodia cautelare in carcere nei confronti di Massimo Mulè, Ivano Parrino, Alessandro Adamo, Antonino Pisano, Davide Di Fiore, Simone Abbate e Alessandro Cutrona.

Mentre, nei confronti di Salvatore Maddalena e Giovanni Maddalena è stato applicato l’obbligo di dimora nel Comune di residenza con l’obbligo di presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria.

È stata inoltre applicata la misura di presentazione per la firma nei confronti di Vincenzo Selvaggio, Giuseppe Campisi, Giuseppe Civiletti, Salvatore D’Atria, Giuseppe Castelli, Angela Boscaino, Salvatore Castello, Rita Massa, Antonino Di Giovanni, Maria Mercede Di Giovanni e Francesca Paola Lo Presti.

Le accuse

Le persone oggetto dell’odierna ordinanza sono accusati, a vario titolo, “di aver fatto parte, in concorso o unitamente ad altre persone, dell’associazione mafiosa denominata Cosa nostra, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione, o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri, per intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione”.

Nello specifico Alessandro Adamo è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa e del mandamento di Porta Nuova, operando al fianco del reggente del mandamento Tommaso Lo Presti (detto il Lungo) assumendo il ruolo di referente diretto da contattare per chiedere un incontro con Tommaso Lo Presti, curando per conto di Lo Presti, la trasmissione di informazioni ad altri sodali con modalità elusive delle indagini, organizzando appuntamenti e riunioni destinate alla trattazione di affari di interesse mafioso tra il reggente del mandamento ed altri sodali, occupandosi di sollecitare la corresponsione delle somme di denaro destinate a confluire nella cassa del sodalizio, comprese quelle provenienti dalle estorsioni e dalla raccolta abusiva delle scommesse, occupandosi di consegnare il denaro per il mantenimento dei carcerati.

Ivano Parrino è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa e del mandamento di Porta Nuova, per aver preteso la corresponsione del mantenimento a carico delle casse del sodalizio mafioso, interloquendo con gli esponenti che nel tempo ne hanno curato la gestione, di essersi avvantaggiato a titolo gratuito delle prestazioni lavorative dell’imprenditore Francesco Corradengo il quale non chiedeva la retribuzione dovuta per le attività di ristrutturazione del suo appartamento, in cambio di un trattamento di favore in ambito estorsivo da parte del sodalizio mafioso e per aver mantenuto attive le relazioni con tutti i sodali, con cui trattava questioni di comune rilievo mafioso.

È accusato inoltre di avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con soggetti non noti, mediante minaccia, anche implicita, derivante dalla loro appartenenza a Cosa nostra, costringendo Sebastiano Gambino, titolare della “Ricevitoria del lotto, super Enalotto, totocalcio” ubicata in Piazza Ingastone 4 a Palermo, a consegnare somme di denaro d’importo non noto.

Salvatore Milano è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Centro, intrattenendo contatti riservati con Francesco Mulè e altri sodali, finalizzate alla gestione di questioni riservate di rilevo mafioso, interloquendo con Giuseppe Mangiaracina e Salvatore Gioeli anche al fine di supportare il pieno coinvolgimento di quest’ultimo nel sodalizio mafioso.

Giovanni Castello è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Centro, confermando la propria appartenenza al sodalizio sin dal periodo di detenzione per precedente e dopo la scarcerazione, pretendendo la corresponsione del mantenimento mafioso.

Antonino Salerno è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Centro confermando attivamente la sua adesione al sodalizio, già accertata da plurime sentenze irrevocabili, intrattenendo contatti riservati con Francesco Mulè e Antonio Lo Coco, finalizzati alla gestione d questioni riservate d rilievo mafioso e occupandosi di accertare se fosse stata inoltrata una richiesta estorsiva non autorizzata e di condurre i relativi responsabili al cospetto del reggente della famiglia.

Simone Abbate è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Centro operando al fianco di Francesco Mulè, del quale eseguiva puntualmente le direttive e che informava di tutte le circostanze utili a consentirgli di regolare i suoi rapporti con i sodali, ad esempio con Gaetano Badalamenti e i Milano, curando, per conto dei Mulè e unitamente a Giuseppe Mangiaracina, la riscossione e la contabilizzazione dei proventi derivanti dalle estorsioni e dal traffico di stupefacenti, curando, su ordine di Francesco Mulè, la raccolta del denaro da destinare ai sodali detenuti.

Antonino Pisano è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Centro intrattenendo contatti qualificati con i mafiosi della famiglia, destinati alla trattazione e risoluzione di problematiche di specifico rilievo mafioso, curando il mantenimento dei sodali detenuti, in particolare con riguardo a Giovanni Castello, occupandosi delle vicende riguardanti l’avvicendamento nella piazza di spaccio nella Vucciria, decisa e regolamentata rigidamente dal sodalizio e agevolando la trasmissione d’informazioni da e per i mafioso al vertice.

Davide Di Fiore è accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo Centro assumendo di assistente e autista di fiducia del reggente Francesco Mulè, trasmettendo per conto del Mulè informazioni riservate a terzi soggetti anche consegnando “pizzini”, curando la consegna di denaro destinato alla cassa mafiosa e di altre utilità da fare avere ai sodali, trasmettendo al Mulè informazioni utili a consentirgli di eludere le indagini e di conoscere lo stato delle investigazioni a carico della famiglia mafiosa e mettendo a disposizione per agevolare la fuga del Mulè, finalizzata a eludere eventuali arresti.

Angela Boscaino per aver aiutato Francesco Lo Nardo e il Badalamenti a eludere le investigazioni dell’autorità, agevolando il perfezionamento di plurimi incontri tra i due, pianificate con modalità elusive delle indagini.

Giuseppe Castelli per avere aiutato Francesco Lo Nardo e Tommaso Lo Presti a eludere le investigazioni dell’Autorità avvisandoli della presenza delle forze dell’ordine nei pressi del piazzale antistante l’Ospedale Civico di Palermo dove si era dati appuntamento.

Salvatore Castello, Rita Massa, Antonino Di Giovanni, Maria Mercede Di Giovanni, Francesca Paola Lo Presti, Sebastiano Ambrogio per avere concorso ad attività di estorsione e traffico di stupefacenti e per aver ricevuto, mensilmente, il denaro da consegnare ai propri familiari a titolo di mantenimento mafioso durante il periodo di detenzione e nel periodo immediatamente successivo alla sua scarcerazione.

Massimo Mulè e Francesco Mulè sono inoltre accusati di aver diretto e organizzato le piagge di spaccio ricadenti nel territorio di Palermo Centro, interessandosi, tra l’altro, dell’avvicendamento dei capi della piazza della Vucciria e della riscossione delle somme dovute dai singoli capi piazza.

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