Domenica scorsa nuova “pioggia” di cenere nel catanese. Intervista al primo ricercatore dell’Ingv-Oe sezione di Catania
CATANIA – Dopo settimane di relativa calma, il comportamento dell’Etna è tornato al centro dell’attenzione mediatica, successivamente a delle piccole scosse di terremoto seguite da un comunicato della Protezione Civile che diramava, lo scorso 18 maggio, uno stato di allerta rossa a causa di “un’altissima probabilità di accadimento imminente o in corso di fontane di lava”, e a una ricaduta di cenere nella mattinata del 22 maggio.
Naturalmente, il vulcano continua a svolgere il suo lavoro, e l’allerta non preannuncia un pericolo imminente. Si tratta di uno strumento di contenimento delle possibili emergenze, in modo da tenere sempre alta l’attenzione in caso di necessità. Non bisogna dimenticare che non si possono prevedere con certezza eventi sismici o vulcanici, dunque la prevenzione resta l’unica arma di difesa contro i pericoli. Per comprendere al meglio la situazione ci siamo rivolti a Marco Neri, vulcanologo e Primo ricercatore dell’Ingv-Oe sez. di Catania, che al Quotidiano di Sicilia ha spiegato le dinamiche della recente attività.
“Due dei quattro crateri sommitali dell’Etna, la Bocca Nuova ed il Cratere di Sud-Est, hanno cambiato la loro attività – ha affermato lo studioso -, passando da semplice degassamento ad attività stromboliana. In particolare, il 18 maggio la Bocca Nuova ha generato per alcune ore un’attività leggermente più intensa, passando successivamente il ‘testimone’ al Cratere di Sud-Est”. La fase eruttiva è stata accompagnata da uno sciame sismico nell’area sommitale e da modeste emissioni di cenere.
Contemporaneamente, una debole e superficiale attività sismica ha interessato il versante orientale, tra Acireale, Santa Tecla, Zaffarena e Santa Venerina, dove piccoli sismi compresi tra magnitudo 2.0 e 3.2 della scala Richter hanno creato qualche sconcerto tra la popolazione, a causa della superficialità degli ipocentri.
Come sottolinea il Primo ricercatore, “è possibile che la ripresa dell’attività eruttiva e la sismicità del versante orientale del vulcano siano entrambi stati innescati dalla risalita di magma nel condotto centrale, ma occorre rimarcare che le faglie sismogenetiche della zona acese si muovono per lo più in modo indipendente dal vulcano”. Tale attività, nella mattinata di domenica, è stata seguita da un’intensa fase stromboliana sommitale, che ha prodotto la formazione di una nube eruttiva dispersa dal vento verso Ovest, causando la ricaduta di cenere nella zona compresa tra Adrano, Paternò e Catania.
Nonostante l’attività, gli studiosi non hanno rilevato alcun rigonfiamento del sistema vulcanico. “Quando il magma sale nei condotti magmatici, la pressione esercitata dai gas in risalita può generare una dilatazione dell’apparato vulcanico, ovvero una deformazione piccola ma percepibile dai sofisticati sensori della rete di monitoraggio dell’Ingv”.
Tuttavia, quando il magma erutta in superficie può avvenire il fenomeno inverso, cioè una contrazione da parte del vulcano. Come affermato da Neri, “nel corso della ripresa di attività ai crateri sommitali i sensori della rete che misura le deformazioni del suolo hanno registrato delle piccole variazioni di questo tipo, poi rientrate”.
Al netto di ciò, cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane? Secondo Neri risulta difficile da dire. “L’Etna è definito un vulcano ad attività ‘persistente’ per il fatto che i suoi condotti sono aperti e continuamente percorsi dal magma. In queste condizioni, attività stromboliane come quelle registrate di recente sono assolutamente normali; esse rientrano nel campo di variabilità che ci si aspetta in vulcani di questo tipo e potrebbero continuare per settimane o mesi, senza produrre fenomeni precursori particolarmente rilevanti né evidenti. In caso di risalita di volumi più importanti di nuovo magma, però, le reti di monitoraggio lo segnalerebbero”, ha concluso il vulcanologo dell’Osservatorio Etneo.