Il 24 novembre Filippo Giardina farà tappa al Teatro Ambasciatori di Catania con il suo “Cabaret” che è un viaggio paradossale tra passato
Forte del successo di “Dieci” con cui ha collezionato un sold out dopo l’altro in club e teatri lungo tutto lo Stivale, da ottobre Filippo Giardina è in tournée con “Cabaret”, il suo nuovo spettacolo nonchè undicesimo monologo satirico.
Comico e autore satirico, dal 2001 Filippo Giardina porta in tour i suoi spettacoli di stand-up comedy nei maggiori teatri italiani. Sentendo l’esigenza di una satira adulta, cinica e dissacrante nel 2009 chiama a raccolta un collettivo di professionisti della comicità, per dare vita a spettacoli di stand up comedy e nel 2009 fonda a Roma Satiriasi. Per la TV ha partecipato ed è stato autore di Stand Up Comedy su Comedy Central IT, Sbandati su Rai2 e Nemico Pubblico su Rai3.
Il 24 novembre Filippo Giardina farà tappa al Teatro Ambasciatori di Catania con il suo “Cabaret” che è un viaggio paradossale tra passato, presente e futuro condito da cattiverie gratuite e ingiustizie lessicali.
“Filippo, il 24 novembre sarai al Teatro Ambasciatori di Catania con ‘Cabaret’, il tuo undicesimo monologo. Qual è il tuo rapporto con la Sicilia?”
“Il mio rapporto con la Sicilia è fantastico per due motivi. Il primo motivo è che i nonni di mio padre erano siciliani, quindi, secondo me, la mia carnagione olivastra tradisce origini siciliane. Il secondo motivo è che si mangia da dio in Sicilia. Ha tutte cose positive per me questa terra. In particolare, Catania l’ho sempre vista come una città sempre più moderna. Catania è più piccola di Palermo, ma c’è sempre un pubblico più giovane. Catania mi sembra la Silicon Valley dell’Italia del Sud”.
“Quali sono i bersagli di ‘Cabaret’?”
“Me stesso come sempre! È un atto d’amore nei confronti di un certo tipo di comicità che oggi sta passando di moda. È quella comicità in cui uno prova a parlare di qualcosa di reale. Provo a parlare di temi grandi, cercando di mantenere la leggerezza di uno spettacolo comico”.
“Dicevamo che ‘Cabaret’ è il tuo undicesimo monologo per un tour con date nazionali ed europee. Sei apprezzato nel mondo della stand up comedy. In questi anni, il tuo modo di fare stand up ha avuto un’evoluzione?”
“Per come intendo io la stand-up, è un lavoro di ridefinizione, di artigianato. Più cresci più diventi bravo a fare quel tipo di lavoro perché capisci qualcosa in più, ti specializzi. È un’evoluzione che non finisce mai, anche perché il mondo cambia. Ho iniziato a fare stand up nel 2001 quando non c’era Internet e avevamo i telefoni cellulari da poco. Pensa a quante cose sono successe in questi anni. Il bello è anche cercare di aggiornarsi. Cerco sempre di avere come riferimento per i miei spettacoli ragazzi che hanno vent’anni perché così mi costringo a non rincoglionirmi”.
“Qual è il momento delle tue esibizioni che più apprezzi?”
In realtà, apprezzo proprio l’esibizione. Nella vita sono una persona molto riservata, pieno di insicurezze come tanti e non amo stare al centro dell’attenzione. Quando mi esibisco, è come se fosse l’ultima volta nella vita in cui mi sentissi veramente una rockstar perché mi sento forte. Me la godo come se fosse un viaggio in un posto che mi fa stare tranquillo, sicuro e mi permette di essere spaccone e arrogante, contrariamente a come sono nella vita.
“Si può ridere di tutto? A te chi o cosa fa ridere?“
“Si può, e in qualche modo, si deve ridere di tutto. Ridere non offende l’oggetto della risata. Ti fa guardare qualcosa da un altro punto di vista. Cosa mi fa ridere? L’imbranataggine nella vita. Quando vedo le persone che dicono cose esagerate o fuori luogo o quando qualcuno è in difficoltà. Uno dei meccanismi della risata è la rassicurazione. Nel senso che, mentre tizio cade sulla buccia di banana, rido perché non è successo a me; quindi, riesco a vedere con distacco un’azione che, se avessi vissuto io, mi avrebbe fatto male”.
“Sei sprezzante e cinico sul palco. Quanto di quello che dici nei tuoi spettacoli, lo pensi davvero?“
“La satira è realtà cucinata. Si parte da una base di cose che penso e poi la riempio di spezie, quasi per farti dimenticare il sapore dell’ingrediente principale”.
“E quanto influisce sulla tua quotidianità e nel rapporto con gli altri?”
“Tendo ad essere molto diffidente nei confronti di ciò che è online. Diffido sia delle critiche sia dei complimenti. Online la stessa cosa può generare l’effetto “sei un genio” o “sei il più stupido del mondo”. Nella mia vita, vivo molto tranquillamente. Ogni giorno cerco di studiare, sono molto casalingo, ho i miei amici storici, ho una compagna da dieci anni. Da quest’anno faccio pilates due volte a settimana”.
“Il tuo modo di essere stand up comedian ricorda Angelo Duro per le tematiche e la dissacralità. È un complimento o una critica per te?“
“L’ho incontrato un paio di volte, ma non ho mai visto un suo spettacolo. È molto giovane Angelo Duro come carriera da comico. Io ho sempre fatto questo. Il monologo fatto al Festival di Sanremo mi è sembrato un po’ esile. Non ho mai visto un suo spettacolo, quindi non lo saprei giudicare. Ho cominciato talmente tanto prima che faccio fatica a dire che ricordo Angelo Duro”.
“Luca Bizzarri dichiarava qualche tempo fa che ad oggi non è più creativo fare comicità sui politici dato che già da soli producono abbastanza materiale. Sei d’accordo?”
“Sono scappato dal fare battute sui politici perché penso che la satira debba essere indirettamente politica. Parlare di temi etici o questioni universali è molto più politico di prendere in giro il politico di turno. Per anni, tanta gente ha confuso la satira col fare battute su Berlusconi. E proprio perché sono un grande appassionato di politica sin da bambino, mi dispiace dire cose su persone che scompariranno nei prossimi anni”.
La stand-up comedy oggi
“Oggi molti influencer e content creator si danno alla stand-.up comedy. È come se avere un bacino di followers apra pure a questa opportunità. Cosa pensi di questo fenomeno?“
“Questo spettacolo si chiama “Cabaret” per questo motivo. È come se quella che viene chiamata oggi stand-up comedy l’avessi creata io nel 2009 perché ho creato un gruppo che si chiama Satiriasi e da lì in poi avessi iniziato a fare le serate col microfono in mano. Nella mia testa è una sorta di “io l’ho creata, io l’ammazzo” e adesso faccio cabaret”.
“È una provocazione nei confronti del fatto che oggi chiunque può riempire dei palazzetti perché ha un pubblico, e magari poi è una pippa. Stare da solo su un palco per un’ora e mezza è un mestiere difficile, che da sempre abbiamo fatto in pochi. Non c’è mai stato un momento storico con tantissimi comici. Oramai, invece, complici i social, la gente va a vedere il suo influencer di riferimento e non lo criticherà mai perché lo segue da anni e gli vuole bene. Si è creata una società in cui è più importante chi sei rispetto a quello che sai fare. Mentre io sono della vecchia scuola: non mi importa che vita fai, voglio vedere cosa sai fare”.
“Social network: è un tema caldo nei tuoi monologhi. Cosa ti disturba di questo strumento oggi?”
“Sta creando una vita surrogata. Se un mestiere difficilissimo come il comico può farlo qualunque cialtrone che passa che abbia seguito pensa che avvocati, ingegneri, architetti e politici abbiamo. Quando tutto è basato sul consenso e sulla popolarità, diventa una società di mediocri. I cinepanettoni hanno sempre incassato più di “C’era una volta in America”. La cosa che diventa più popolare è sempre stata una merda nella storia. Adesso, purtroppo, in ogni singolo settore va avanti cosa è popolare. È venuto meno il concetto di critica su tutto. Oggi se critichi, hai problemi, invece da sempre la critica sta alla base del pensiero critico. Oggi sei un rosicone se esprimi un giudizio negativo su qualcosa. Automaticamente diventi hater, quindi, passi dalla parte dei disadattati che sputano veleno. In realtà, se uno pensa ha delle critiche su cosa succede e vede. Oggi è saltato tutto: è tutti contro tutti. Come dico in “Cabaret” – e non voglio fare spoiler – guardiamo avanti perché questo è un mondo che sta collassando su se stesso”.
“Secondo te è una fase o è l’inizio della fine?”
Per me è l’inizio della fine dei social network. Il mondo è incasinato tra guerre e altro. Non c’è da stare tranquilli in questo periodo.
“Perché la stand-up comedy non è ben vista dalla televisione italiana? Secondo te avrebbe senso collocarla in un palinsesto Rai o Mediaset?“
“Il problema è chi guarda oggi la televisione? Gli anziani e le persone grandi. Non si sposano perché è come se ci fossero due target diversi. Dal punto di vista della tv, invece, aiuterebbe moltissimo. Se si mandasse in onda un programma interessante di stand up che scardina, ci sarebbe tanto dibattito. Per assurdo, la stand up potrebbe aiutare la tv. Invece, per assurdo, la tv pensa di poter ancora contare”.
“Dei tuoi colleghi come Ferrario, Giraud, De Carlo e Fumo c’è qualcuno che stimi o con cui ti piacerebbe scrivere dei monologhi?”
“Con Francesco De Carlo ho lavorato per tantissimi anni perché abbiamo fatto insieme Satiriasi. È stata la persona con cui ho condiviso più idee sulla comicità tra tutti. Lui ha preso un’altra strada. È molto più buffo. Anzi, lavorare con lui mi ha aiutato tanto perché io sono sempre stato fissato sul significato, lui sul colore. È stato un bello scambio. Per il resto, tutti quelli della nuova generazione mi sembrano molto bene integrati in questa società dove è più importante diventare qualcuno che preoccuparsi di ammazzarsi per fare lo spettacolo bello. È questa la sensazione che ho. I temi sono ritornati ad essere il rapporto di coppia, le piccole nevrosi quotidiane. Credo sia stato fatto un passo indietro sulle tematiche, mentre il mondo si evolve anche se male. C’è la tendenza a parlare di questioni molto rassicuranti, quindi non apprezzo molto”.
“Non è quello di cui il pubblico desidera sentire?”
“Il fatto è che oggi le coppie sono sempre di meno. Si lasciano sempre prima. La coppia è devastata, è in crisi. Non si parla della crisi, ma come se ci fossero le lotte di trent’anni fa. Quando la comicità sta un passo indietro alla società, a me fa un effetto amaro. Oggi un pezzo comico di un giovane trentenne si potrebbe chiamare “io” perché è una società individualista ormai. Non mi piace perché sembra tutto finto, tutto pensato. La base della comicità, invece, è essere fuori luogo. Quello fa ridere, quello spiazza. Mi sembrano tutte cose tristemente rassicuranti”.
“Se invitato come ospite, andresti al Festival di Sanremo?”
“Assolutamente sì, ma tanto non mi chiameranno mai”.
“Quale futuro immagini per la stand up comedy in Italia?“
“Come nella trap. Prima c’erano i ricchi figli di papà che la facevano, ora sono arrivati i criminali. Nella stand-up comedy, adesso, finirà questa bolla borghese di gente benestante che parla del nulla e avremo ragazzetti con vite più difficili che avranno il piacere di condividere le loro idee sul mondo e loro stessi. Se ne parlerà meno di adesso, ma migliorerà sicuramente la qualità”.