Parla Antonella Polimeni: “Il nostro compito è formare i giovani a diventare cittadini migliori e più consapevoli”
ROMA – Sono giorni di rabbia, ma anche di dolore quelli che portiamo sulle spalle. Altre due donne sono state uccise, due giovani studentesse universitarie. “Un pensiero a Ilaria – così la rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, intervenuta al momento di ricordo per Ilaria Sula a Scienze statistiche – e al suo brutale femminicidio. Un altro. Un evento fotocopia a quello dell’Università di Messina. È come se questi episodi in maniera seriale ricordino una formula e un clichet similissimo. Servono leggi e repressione, fenomeni ma anche tante attività che vadano al cuore della formazione”.
La violenza maschile miete ancora vittime
Sara Campanella e Ilaria Sula portano un numero addosso: il 18 e il 19. Occupano questi posti nella lista di femminicidi che si contano, già, dall’inizio dell’anno a ora. La violenza maschile miete ancora vittime e lo fa, persino, davanti ai luoghi che dovrebbero “salvare il mondo”, cioè le Università. E posson farlo con il potere della conoscenza e dell’educazione.
È nostro dovere, allora, continuare a raccontare e mettere in fila non solo i fatti, nudi e crudi, ma anche le cause di un sistema maschile che per le donne è un letto di ortiche. Tutto ciò che ci separa dalla parità di genere è parte integrante del problema e si riflette in ogni ambito della vita: nei luoghi pubblici, a scuola, a lavoro, in Università. Ed è proprio così, con questo spirito, che continua la nostra iniziativa che affronta il tema della disparità di genere vissuta negli Atenei italiani.
Diciassette le donne in Italia che si trovano ai vertici delle Università
Sono diciassette le donne in Italia che si trovano ai vertici delle Università, su 85 uomini. Ognuna di loro ha da raccontare una brillante carriera professionale che si scontra, spesso, con una realtà iniqua in cui – solo per il fatto di essere donna – un percorso lineare di avanzamento di carriera può diventare una strada più tortuosa. Conciliare vita privata e orari di lavoro “scomodi”, figli e tempi professionali, rompere il muro dei pregiudizi di colleghi che non riconoscono ancora il giusto valore alla figura al femminile.
Cos’è il glass ceiling
Tutto questo è il glass ceiling, fenomeno per cui dal 2013 esiste anche un indice di valutazione: si tratta del glass-ceiling Index (gci), ovvero un indicatore annuale creato da The economist che serve a tenere il punto sul “soffitto di cristallo”. L’indice combina i dati su istruzione superiore, partecipazione alla forza lavoro, divario salariale di genere, esami Gmat sostenuti dalle donne, donne in posizioni dirigenziali, donne nei consigli di amministrazione delle aziende, costi netti per l’assistenza all’infanzia, congedo retribuito per le madri, congedo retribuito per i padri e donne in parlamento. Nel 2022 il Gci, secondo il rapporto pubblicato nel 2024 dal Mur con elaborazioni su banche dati Mur, Dgpbss – Ufficio VI, Servizio Statistico, assume un valore pari a 1,46. Inoltre, l’indice calcolato per ambito disciplinare mostra grosse differenze: si passa da un valore prossimo a 2 per l’area Medical and health sciences a uno prossimo ad 1 per l’area Humanities and the Arts. Gli ambiti Stem Engineering and Technolgy (1,54) e Natural sciences (1,48) sono in linea con la media nazionale. L’andamento del Gci in Italia mostra una lenta riduzione nel tempo: tra il 2005 ed il 2022 passa da 1,8 a 1,5 evidenziando quindi un calo di appena 0,3 punti.
La parità di genere è ancora una chimera
Negli ultimi dieci anni si registra comunque un miglioramento generale nelle università italiane: nei vertici è aumentata la percentuale di rettrici del 4,6%. Poco, di certo, ma abbastanza per poter già raccontare alcune innovazioni della gestione femminile negli Atenei italiani. Infatti, nonostante le percentuali dimostrino che la parità di genere è ancora una chimera, sul campo dell’educazione e della formazione qualcosa si muove. Anche più di qualcosa. Ne abbiamo parlato proprio con Antonella Polimeni, medica italiana e rettrice della Sapienza Università di Roma.
Su 85 partecipanti alla Crui solo 17 sono donne. L’Anvur dimostra che i maggiori ostacoli si incontrano nei ruoli apicali. Il fenomeno è avvertito anche in Sapienza?
“Alla Sapienza si registra una situazione leggermente più favorevole, anche se la forbice si allarga quando ci si avvicina alle posizioni apicali. Le donne sono in maggioranza tra gli assegnisti di ricerca, ma la percentuale femminile decresce progressivamente tra ricercatori, associati e ordinari, sebbene sia un dato di fatto che, negli studi, le ragazze ottengano i risultati migliori oltre a laurearsi prima e meglio dei colleghi. Il trend è comunque positivo. Segnalo, poi, che alla Sapienza le posizioni dirigenziali sono equamente ripartite tra uomini e donne e che al vertice della struttura amministrativa dell’Università c’è una donna”.
La percentuale delle rettrici, in dieci anni, è aumentata. Come commenta questo dato?
“Sicuramente è in atto un cambio di mentalità, una maggiore attenzione verso le problematiche di genere, anche grazie alle politiche messe in atto nel corso degli ultimi anni. La maggiore partecipazione attiva alla vita professionale e pubblica da parte delle donne si riflette anche sul crescente numero di rettrici e di candidate rettrici nelle Università italiane. E questa è un’ottima notizia: va sempre considerato come il gender gap sia un fenomeno culturale che occorre affrontare anche con gli strumenti dell’istruzione e della formazione. Ci tengo a sottolineare un dato positivo a questo riguardo: tre dei quattro Atenei italiani presenti nella classifica delle 100 migliori università europee, secondo Qs World University Ranking, sono guidati da donne. E la Sapienza è uno di questi”.
Secondo lei, l’ampliamento dell’offerta didattica sugli studi di genere può invertire la rotta? Avete qualche corso specifico in merito?
“Il nostro compito è proprio quello di formare i giovani anche a diventare cittadini migliori e più consapevoli. La nostra offerta didattica offre percorsi specifici, come per esempio il Corso di laurea magistrale in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione, e percorsi formativi specifici, come il corso di formazione Culture contro la violenza di genere: un approccio transdisciplinare e in alta formazione Politiche e strumenti per la Gender equality. Dal 20 marzo di quest’anno, inoltre, è attivo il nuovo corso transdisciplinare online La cassetta degli attrezzi contro la violenza di genere, che potrà essere inserito all’interno del piano formativo di ogni studentessa e studente, indifferentemente dal corso in cui si è iscritti. Un unicum a livello nazionale, frutto di un lavoro corale di tutte le componenti della Sapienza, che si pone come obiettivo il contrasto del fenomeno della violenza di genere attraverso l’acquisizione di competenze provenienti dai diversi ambiti del sapere, dalle scienze giuridiche, politiche, sociali ed economiche, a quelle umanistiche, mediche e psicologiche. Un percorso aperto a tutta la Comunità Sapienza”.
Al Sud la situazione è peggiore. Crede che pesi la geografia in questo divario? Magari a partire da una maggiore carenza di servizi pubblici…
“Al Sud le donne affrontano una molteplicità di problematiche che in alcuni casi sono anche maggiori rispetto a quelle che si possono riscontrare in altre parti del Paese. Oltre alle disuguaglianze di genere e alle disparità economiche più accentuate, le donne che vivono al Sud e nelle Isole devono fare i conti con infrastrutture e servizi più deboli che incidono maggiormente su donne lavoratrici con figli o caregiver. Penso, per esempio, alla mancanza in alcune aree, in particolar modo quelle interne, di servizi a sostegno della genitorialità”.
Ci parli della sua esperienza. Che difficoltà o opportunità ha incontrato nel suo percorso personale?
“Non vi è dubbio che senza il sostegno della famiglia, anche per me, sarebbe stato più complicato conciliare la vita personale con quella lavorativa. Soprattutto penso alla possibilità di coniugare gli impegni familiari con quelli di medico oltre che di docente e ricercatrice universitaria. Il sostegno di mio padre e mio marito è stato assolutamente fondamentale, ma ovviamente nessun percorso è possibile senza tenacia e profonde motivazioni. Come dico sempre a tutte le ragazze, ma anche ai ragazzi, che incontro quotidianamente: l’unico strumento per eradicare stereotipi e pregiudizi è l’autorevolezza, che si acquisisce solo con tanto studio ed impegno”.