“Giudici recuperino credibilità con l’impegno quotidiano” - QdS

“Giudici recuperino credibilità con l’impegno quotidiano”

Francesco Sanfilippo

“Giudici recuperino credibilità con l’impegno quotidiano”

sabato 05 Agosto 2023

Piergiorgio Morosini, ospite del QdS per il 3.016° forum con i Numeri Uno
Unica risposta che possiamo dare a percezioni esterne, spesso negative

Intervistato dal vice direttore Raffaella Tregua, il presidente del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, risponde alle domande del QdS.

Ha assunto il ruolo di presidente solo da pochi mesi. Quali sono i suoi obiettivi a breve termine? “L’obiettivo principale è di mettere in condizione tutte le persone che lavorano in tribunale, avvocati, personale amministrativo, magistrati, di poter lavorare al meglio. Il riconoscimento effettivo dei diritti delle persone che si rivolgono a noi, come nel caso del settore civilistico ma vale anche per il penale, sarà all’altezza della situazione se tutte le persone che contribuiscono al processo decisionale, saranno messe in condizione di lavorare in maniera dignitosa, tempestiva e adeguata ai casi. Su questo, chi ha la responsabilità del tribunale, deve interrogarsi, ogni giorno, su cosa fare per garantire queste condizioni”.

Da ciò che dice, sembra che esistano delle criticità?

“Si. Penso ad ambienti decorosi in cui lavorare, alle risorse per assicurare la digitalizzazione dei processi, alla formazione telematica dei vari operatori del diritto, compresi i magistrati onorari. Sono solo alcuni dei problemi, spesso sottovalutati nel dibattito pubblico, ma con notevole impatto sul servizio giudiziario che rendiamo e sulle percezioni dei cittadini che sono i destinatari di quello che è il nostro lavoro quotidiano. L’eventuale inadeguatezza su certi versanti può acuire la sensazione di una “giustizia in difficoltà”, prodromica alla ricerca di forme di “giustizia alternativa”. Non dimentichiamo che, come magistratura, viviamo già un periodo storico di bassa fortuna, dove sono emersi diversi problemi a livello interno da qualche anno a questa parte che rischiano di minare la nostra credibilità. Credo che l’unica risposta effettiva che possiamo dare a queste percezioni esterne, stia proprio nella nostra attività quotidiana. Nel rapporto che abbiamo con i fruitori del servizio come imputati, testimoni e avvocati, dobbiamo ascoltare le parti e spiegare ogni passaggio della nostra attività. Non dobbiamo essere percepiti come persone che incutono timore, ma che infondono fiducia”.

Qual è la situazione negli uffici? Il personale è in numero adeguato? Disponete delle professionalità necessarie?

“I magistrati e i funzionari delle cancellerie di Palermo sono persone assolutamente preparate ed esiste una media molto alta come professionalità. Non bisogna dimenticare che Palermo ha avuto una storia drammatica e le stragi del 1992 che hanno segnato questa terra profondamente, hanno inciso anche moltissimo sull’approccio professionale di tanti e questo ha contribuito a far esercitare le funzioni con particolare serietà, impegno e dedizione. Ciò non di meno il numero dei magistrati giudicanti non è adeguato e siamo sottodimensionati rispetto alle risposte che dobbiamo dare. Anche gli amministrativi sono meno, perché dalla pianta organica dei magistrati dipende quella degli amministrativi. A Palermo, abbiamo i maxi processi per reati di criminalità organizzata, ma esistono anche altri settori delicati che richiedono maggiori risorse in proporzione. Ad esempio, abbiamo la competenza distrettuale sulla protezione internazionale e tutto ciò che sta accadendo in Tunisia ricade su di noi. Questo dato è sottovalutato dal decisore politico, quando alloca le risorse, ma questo è un settore in grande lievitazione. Ogni istanza è un fascicolo a parte da eseguire e comprende un singolo procedimento, senza contare le difficoltà linguistiche e sociali. Esistono dei problemi enormi che si dibattono in pubblico ma che sono la nostra realtà. Un’altra grande questione riguarda i soggetti fragili che vivono in condizioni di disagio economico e in ambienti distanti fisicamente dalla sede del Tribunale. Vorrei ridurre la distanza per questi casi, usando la digitalizzazione, attraverso la collaborazione degli enti locali. Esistono dei problemi enormi che non si dibattono in pubblico ma che sono la nostra realtà”.

Digitalizzazione, formazione fondamentale. I suoi obiettivi indicano che vuole far recuperare fiducia nei confronti della Giustizia.

“Desidererei che il tribunale diventasse la casa di tutti. Non a caso, durante il mio insediamento, ho invitato i rappresentanti delle minoranze etniche a Palermo che costituiscono realtà non indifferenti per la città. Ho cercato di lanciare un messaggio, che il tribunale deve avere una particolare sensibilità per le minoranze, così che le istituzioni diventino anche le loro, prevenendo fenomeni criminali. Un apparato istituzionale votato al riconoscimento dei diritti, deve confrontarsi con una società variegata come la nostra. Un dialogo continuo con il comune diventa indispensabile in questo quadro”.

A che punto è la digitalizzazione?

“Si sta lavorando molto e si sta investendo molto in questo campo, ma, per rendere efficace questo processo, occorre che ci sia un ambiente disposto a recepirla. Ci deve essere, cioè, un’attività di formazione a monte che permetta il pieno sviluppo della digitalizzazione e questo è uno dei compiti che ha un responsabile di tribunale. Al momento, siamo al 60/70% e prevedo che in due o tre anni si possa digitalizzare tutto”.

Qual è la media dei processi a Palermo?

“Facendo la media del processo penale, siamo intorno ai 400 giorni, per quello civile dipende molto dal tipo di processo. Quello che riguarda le separazioni, hanno un iter breve, in genere entro l’anno per le consensuali, mentre per quelli che concernono i diritti reali o le obbligazioni, ci sono delle procedure cautelari che danno risposte rapide, ma i tempi di risposta definitiva sono più lunghi, a seconda la catalogazione del procedimento”.

Riforma Nordio, ogni velleità teorica deve fare poi i conti con la realtà. Cosa può dirci sulla riforma Nordio?

“Quando cambia una norma, occorre un periodo di stabilizzazione nell’interpretazione e nella verifica di questa norma. In questo caso, cambia il reato di abuso d’ufficio, quando già erano stati fissati tutti i paletti per evitare interpretazioni generiche sulla precedente normativa. In questo momento, questa riforma non tiene conto di quella entrata in vigore nel 2020. Poi, le norme sulla custodia cautelare prevedono che le misure cautelari siano prese da un collegio di giudici, quando già esisteva un doppio controllo collegiale dopo qualche giorno dall’arresto con il ‘tribunale del riesame’. In altri termini, la nuova riforma impone sul campo di triplicare il numero di giudici d’indagine preliminare, quando, in questi anni, la magistratura non è riuscita a coprire i posti vacanti. In realtà, ogni velleità teorica deve fare i conti con il principio della realtà”.

Le criticità che sta vivendo la magistratura, oggi, quando sono nate, secondo lei?

“Le criticità attuali sono avvenute con le modifiche all’ordinamento giudiziario negli anni 2006/2007, quando gli assetti normativi che sono maturati per decisioni prese da maggioranze politiche diverse, hanno rimesso insieme due profili incompatibili tra loro, la gerarchia e la carriera. di procura è stato ripristinato per avere nello stesso ufficio una condivisione dei metodi investigativi e dell’interpretazione delle norme. Però, questo principio, che in parte ha contaminato anche la magistratura giudicante, è stato declinato in modo improprio, trasformandosi in un accentramento di prerogative negli uffici, i cui dirigenti fanno anche i rapporti e le relazioni di valutazione sulle attività dei magistrati e ciò porta ad una diminuzione dell’indipendenza interna dei giudici e dei pubblici ministeri. Oltre a questo, l’assegnazione degli incarichi direttivi e semi-direttivi non e’ più fondata sull’anzianità senza demerito, come in precedenza, ma sulla qualità del lavoro svolto anche in chiave organizzativa e su questo sono decisivi i rapporti del dirigente dell’ufficio. Ma con quali criteri può essere attribuito un giudizio? In questo quadro, diventano fondamentali anche gli incarichi ricevuti dal dirigente e quindi il gradimento di quest’ultimo”.

Serve più collaborazione con gli enti territoriali

Quali sono, invece, i suoi obiettivi a lungo termine, da realizzare prima della scadenza del suo mandato?
“In particolare voglio puntare sulle alleanze istituzionali. Sulle questioni strategiche di organizzazione, fermo restando che ci sarà un’assunzione di responsabilità da parte del sottoscritto, voglio arrivare alle decisioni attraverso un confronto capillare con tutti i magistrati del mio ufficio, con gli avvocati e con i funzionari di cancelleria. Dobbiamo ragionare insieme, non solo adottando la prospettiva dei soli magistrati togati. Vanno considerati molto anche i magistrati onorari che sono una parte imprescindibile della giurisdizione. Anche loro sono, troppo spesso, dimenticati e a loro dovrebbero essere garantiti dei diritti fondamentali, perché non sono ancora sistemati dal punto di vista normativo. Questo non significa solo da un punto di vista stipendiale, ma anche della garanzia di alcuni diritti fondamentali, quali il fine rapporto o le coperture sul piano sanitario. Altro obiettivo importante è la collaborazione con gli enti territoriali per il miglioramento dei nostri servizi. La riforma Cartabia prevede un rafforzamento della definizione dei processi in via accelerata con la c.d. ‘messa alla prova dell’imputato’. In fase d’indagine, c’è una contestazione, ma non si svolge subito il processo e si mette a disposizione dell’indagato un programma educativo che prevede lo svolgimento di attività lavorativa presso un ente locale o presso associazioni del privato sociale. Al termine della messa alla prova, si potrà dichiarare estinto il reato, se la prova sarà svolta positivamente. Così, si definirà meglio il processo e si darà all’imputato la possibilità di reinserirsi nel circuito della legalità e del lavoro legale. Se non abbiamo la collaborazione degli enti, questa norma resta vuota. Noi dobbiamo avere più enti che possano accogliere i rei al primo reato e il dialogo con le Istituzione è un passaggio indispensabile”.

Curriculum vitae

Piergiorgio Morosini, classe 1964, è magistrato dal 1993. Ha svolto le funzioni di giudice del dibattimento penale e di Gip presso il tribunale di Palermo dal 1994 al 2014. Dal 2002 al 2005 ha fatto parte del Comitato scientifico del Csm, coordinando l’attività di formazione dei magistrati italiani. Ha fatto parte della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale dal 2006 al 2008.
Dal 2010 al 2012 è stato Segretario nazionale di Magistratura democratica, mentre è presidente del tribunale di Palermo da maggio 2023.

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