Imeservice: la capacità di vendere tv quando in onda non c'era ancora nulla

Imeservice: la capacità di vendere tv quando in onda non c’era ancora nulla

Imeservice: la capacità di vendere tv quando in onda non c’era ancora nulla

mercoledì 15 Marzo 2023

La storia da romanzo per il 50° anniversario di Imeservice e della sua fabbrica di Catania. Il racconto di Carlo Alberto Tregua, che con la sua “coerente follia”, nel 1973 riuscì “a guardare oltre

CATANIA – Se ci trovassimo a teatro il sipario, aprendosi, svelerebbe sul palcoscenico una scopa e un secchio; poi ad entrare in scena sarebbe un visionario e molti “Signor no”, a seguire l’impegno e lo spirito di sacrificio. La rappresentazione sarebbe quella della storia di Imeservice, azienda le cui radici affondano alla fine degli anni Sessanta e si allungano fino ad arrivare ai giorni nostri, raggiungendo proprio oggi l’importantissimo traguardo di cinquant’anni di attività. A raccontare la storia di questo piccolo miracolo imprenditoriale è Carlo Alberto Tregua, “papà” di Imeservice e oggi meglio conosciuto come direttore e fondatore del Quotidiano di Sicilia.

Non è nelle sue corde raccontare fatti che non siano di interesse generale, infatti qui l’obiettivo è preservare la memoria relativa a circostanze di un’epoca ben precisa e dare al lettore (al più giovane e al meno giovane) uno spunto di riflessione, convinto – come lo è da sempre – che solo con l’esempio si possa imparare, che bisogna avere obiettivi chiari (nella professione quanto nella vita privata) e che ordine e metodo devono essere finalizzati ai risultati, sostenuti dalla determinazione. Anche quando – inevitabilmente – sulla nostra strada incontreremo i “Signor no” che ci grideranno (e rideranno) in faccia che la nostra è solo follia.

Eppure, follia volle che nel 1973 Tregua costituì a Catania una seconda azienda televisiva, l’Industria mediterranea elettronica (Imeservice). Sfidando i “costumi” del tempo, chiese all’Irfis (Istituto regionale per il finanziamento alle imprese) il contributo per la ristrutturazione dello stabilimento e quello per l’acquisto. Tregua ricorda che il direttore generale e l’ingegnere capo, con i quali ebbe un colloquio, gli dissero che fosse matto a pensare di realizzare uno stabilimento per la produzione di televisori a Catania, perché nel 1973, in Sicilia, si parlava soltanto di industria pesante o di industrie assistite. Pensare che una realtà produttiva potesse camminare con le proprie gambe e per di più nell’avanzatissimo (per l’epoca) settore dell’elettronica sembrava un’impresa fuori dal mondo.

“Coerentemente pazzo” rispose ai suoi interlocutori che avrebbero ricevuto nel mese di giugno dello stesso anno l’invito per l’inaugurazione dello stabilimento, funzionante. Gli fu detto che se avesse realizzato tutto questo, l’indomani mattina avrebbe avuto il finanziamento. Puntualmente, lo stabilimento vide il taglio del nastro nella V Strada della Zona industriale di Catania e in esso si producevano dieci televisori al giorno. Poi la rete commerciale li vendeva regolarmente ogni mese. Altrettanto puntuale arrivò l’invito al direttore generale e all’ingegnere capo dell’Irfis, i quali non poterono che prendere atto di come si fosse realizzato ciò che Tregua aveva annunciato. E in tempi brevissimi (a loro modo di vedere, perché di fatto ci vollero svariati mesi) il finanziamento – a posteriori – arrivò.

“Arrivò soltanto a posteriori – spiega Tregua – poiché si trattava di un meccanismo penalizzante, conseguenza, forse, del modo di operare di certi imprenditori che incontrai esercitando la professione di dottore commercialista e revisore dei conti dagli anni Settanta. In altre parole, la mentalità di allora non era imprenditoriale ma speculativa, più indirizzata a usufruire dei contributi pubblici che a realizzare progetti d’impresa. Sulla scia della riforma fiscale del ministro Visentini (1972) gli imprenditori ricercavano artifizi fiscali e finanziari, in modo da pagare poche imposte, non richiedevano informazioni sulle agevolazioni per il proprio progetto, ma per attività speculative”.

La sede milanese della Galaxy, in zona San Siro

Introducendo la storia di Imeservice abbiam parlato di “una seconda azienda televisiva”. Dunque, quella di Catania non era la prima…
“No. Non lo era. Qui i ricordi mi riportano ai filoni delle attività familiari iniziate da mio padre, Luigi Umberto Tregua. Era il 1958 quando si cominciò a irradiare in Sicilia la Televisione, che aveva cominciato a Torino nel 1954. Tutti aspettavano il boom che doveva arrivare. Mio padre, così, in occasione di una Fiera specialistica che si svolgeva in settembre a Milano, conobbe un giovane perito industriale che aveva, come direbbero a Milano, una fabbrichetta in uno scantinato di via Giulietti 27. Lì produceva dei televisori di grande robustezza e ottimo design denominati Urania. Mio padre non aveva alcuna competenza tecnica, ma ebbe molta fiducia in questo ventiseienne. La fiducia, vorrei sottolinearlo, tanta parte ha avuto nelle relazioni di quegli anni. Mio padre cominciò a comprare centinaia di quei televisori che arrivarono a Catania: il problema era a quel punto vendere uno strumento che nella nostra Isola, per via di un segnale che ancora non arrivava, erano ancora inutilizzabili, ma la cosa non mi spaventò. Presi il catalogo e cominciai a proporre gli Urania ai rivenditori della Sicilia, spiegando loro che acquistandone una decina, immagazzinandoli e avendo la possibilità di pagarli comodamente a rate, appena fosse arrivato il segnale anche in Sicilia, da lì a qualche mese, avrebbero cominciato a fare notevoli profitti. Era come vendere frigoriferi in Alaska, ma riuscii a vendere qualche migliaio di televisori. A quel tempo un apparecchio costava al rivenditore oltre 150 mila lire e poi era rivenduto a 350-400 mila lire”.

Dunque grazie a Imeservice in Sicilia si aprì il filone Urania. Come si sviluppò il business?
“Nel 1968 il titolare dell’azienda di televisori Urania chiuse i battenti: fu captato e divorato dalla famosa Banca privata di Michele Sindona. Questa Banca usava aprire i crediti alle aziende più piccole o medie e le faceva ‘scantonare’. Quando andavano troppo oltre gli chiudeva il fido e gli imponeva di rientrare. Le aziende, trovandosi nell’impossibilità di far fronte al debito, erano costrette a cedere l’azienda per quattro soldi. In questo meccanismo perverso capitò anche il mio amico Udalrigo Favìa e così dovetti rifornirmi da altri. Un certo giorno, però, egli mi chiamò chiedendomi di vederci. Era Natale del 1969. Mi propose di aprire un’azienda di televisori a Milano. Ci vedemmo nel capoluogo lombardo e fummo dell’opinione che questa avventura avesse un futuro. Cosicché il 15 marzo del 1970 stipulammo l’atto, il rogito di costituzione della Galaxi electronic company con sede a Milano. Il che mi costrinse ad addizionare un’altra attività a quelle che già svolgevo a Catania. Prendemmo un bello stabile nella centrale via Ciardi 5, vicino San Siro”.

E tornando allo stabilimento di Catania, come andarono le cose?
“Nel 1978, precorrendo i tempi, cominciai a pensare che una piccola azienda nel campo dell’elettronica non avesse futuro, tanto a Catania quanto Milano, per il rapido progresso del settore, che avrebbe portato a una selezione a livello mondiale dei soggetti che avrebbero potuto restare sul mercato. Una piccola azienda sarebbe stata via via schiacciata da questi meccanismi e non poteva che sparire dal mercato. Decisi, così, di cessare l’attività dell’Industria mediterranea elettronica. Mi premurai di sistemare i circa venti dipendenti che avevo in altre aziende, vendetti tutta la merce, pagai tutti i fornitori e le banche. Affittai i locali e cambiai vita. E qui cominciò la mia seconda vita: l’associazionismo”.

Cosa direbbe ai più giovani (e non solo) per stimolare l’iniziativa imprenditoriale?
“Sono entrato in azienda come ‘delfino’, ma senza privilegi. Il primo giorno mio padre mi diede secchio e scopa e mi disse: ‘Comincia a lavare perché io l’ho fatto e lo farai pure tu. Chi non sa fare non sa comandare’. Avrebbe ripetuto questa frase in molte altre occasioni. Non me la presi più di tanto, indipendentemente dal fatto che mi piacesse o meno. Così cominciai la mia maratona lavorativa e formativa, perché nel frattempo mi iscrissi alla Facoltà di Economia e Commercio a Catania. Sono convinto che impegno e spirito di sacrificio, insieme a una buona e sana dose di esperienze e incessante curiosità siano alla base della formazione umana e professionale di una persona, da cui poi l’essere visionario, ossia colui che sa vedere oltre l’orizzonte, dove gli altri non vedono. Dispiace vedere giovani universitari fuori corso che ritardano il loro percorso di esperienze lavorative: Scuola e Università hanno una grande responsabilità. Non meno la famiglia, che deve educare secondo etica e valori. Non è un caso se uno dei miei libri si intitola: ‘Spieghiamo ai giovani che la vita è dura’”.

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Un commento

  1. rosario arena ha detto:

    Egr. Dott. Tregua,
    concordo sul fatto che la pratica è la madre della teoria e che la cultura è la madre della democrazia.
    Faccia in modo che la Sua storia arrivi alle nuove generazioni.
    Cordiali saluti.

    rosario arena

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