La Sicilia, solo quest’anno colpita da 77 eventi estremi e con le temperature più alte d’Europa, rischia di diventare inabitabile in un futuro tutt’altro che remoto
Il Mediterraneo, e ancor più la Sicilia, portano in sé i segni evidenti di un cambiamento climatico già in atto e dagli effetti sempre più invadenti nella vita dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda. L’Isola, come evidenziato dal Centro Euro-mediterraneo dei cambiamenti climatici (Cmcc) è un vero e proprio “hotspot”, il che l’ha resa un bersaglio perfetto per gli eventi estremi, ben 77 solo quest’anno. Le calamità naturali che hanno coinvolto la regione altro non sono che effetti diretti di un mutamento già in atto nell’area da diversi decenni ma che, adesso, sembra esplodere in tutta la sua forza.
La nostra terra, però, non sembra incassare bene i colpi inferti, come dimostra il crescente succedersi di incendi, alluvioni, siccità e desertificazione. L’intero processo segue un percorso del tutto “artificiale”, in quanto fenomeni di per sé naturali si trasformano repentinamente in catastrofi che mettono in ginocchio popolazione, territorio e, last but not least, l’intera ruota economica isolana.
Mentre i Big del mondo cercano di trovare un accordo per ridurre le emissioni inquinanti entro il 2030 e di mantenere l’innalzamento delle temperature globali entro la soglia massima di +1,5 gradi, in Sicilia Comuni e imprenditori fanno la conta dei danni per gli effetti di un clima che oscilla continuamente tra la sete e il fuoco.
Quest’estate, complici le temperature bollenti, è andato letteramente in fumo il 3% dell’intero territorio regionale e fino ad oggi si sono succeduti 100 giorni senza pioggia. Non a caso è arrivato l’allarme dell’Autorità del bacino per cui “le riserve sono le più scarse dal 2010”. Dal rapporto dell’ente regionale è emerso infatti che, secondo il “prospetto” contenente i dati ufficiali sui “volumi d’acqua invasati” nei 25 bacini siciliani, aggiornato all’1 giugno scorso, nell’Isola erano disponibili solo 480 milioni di metri cubi, ovvero il 48,75% della capacità totale di 984,75 milioni. In una terra, ricordiamo, in cui oltre 2 terzi del territorio rischiano di trasformarsi in deserti e, allo stesso tempo, in cui il mare rischia di fagocitare totalmente oltre 10 km quadrati di costa da qui a un’ottantina d’anni.
Sebbene l’acqua piovana scarseggi, danneggiando così campagne e agricoltori, si succedono sempre più eventi estremi di portata devastante, basti pensare al ciclone mediterraneo che nell’area catanese e siracusana, proprio un paio di settimane fa, ha portato con sé in meno di 48 ore la pioggia di 5-6 mesi, praticamente quasi il 50%, con 200-300mm a fronte dei 500-600mm medi annui. Non a caso la Regione ha dichiarato lo stato di emergenza regionale per i fenomeni atmosferici intensi degli ultimi mesi che hanno coinvolto 86 comuni isolani, vale a dire il 25% del totale.
Tutto ciò, però, non sorprende e le amministrazioni locali sembrano cieche e sorde. Basti pensare che, l’arma più importante in mano ai Comuni per ridurre le emissioni climalteranti del 40% entro il 2030, ovvero il Piano di azione per l’energia ed il clima (Paesc), è stato presentato all’Ue soltanto da 25 amministrazioni, nella maggior parte dei casi tra il 2020 e il 2021. Dunque, mentre la Sicilia rischia di diventare in breve tempo invivibile, siamo ancora all’anno zero. Il 2030, invece, è dietro l’angolo.