Si tratta del primo cortometraggio ideato dai giovani partecipanti al progetto "FunKino - cinema for inclusion" e in queste ore è in anteprima mondiale al "Los Angeles - Italia Film Festival"
«Da Palermo
a Los Angeles, un percorso cercato ma al tempo stesso inaspettato e che
ci rende molto felici». È un emozionato Alessio
Genovese a raccontare l’attesa per il debutto di “Jabal – La montagna”.
Il primo cortometraggio, ideato dai giovani partecipanti al progetto “FunKino
– Cinema for Inclusion” e di cui ha curato la regia, è infatti in queste
ore in anteprima mondiale al “Los Angeles – Italia Film Festival” (18 – 24
aprile), rassegna che ogni anno nella città simbolo della cinematografia
internazionale promuove il meglio del cinema nostrano nel mondo, e sarà
visibile gratuitamente online su mymovies.it fino al 23 aprile.
Un debutto italo-americano per un film dal sapore tutto siciliano.
Prodotto e distribuito dall’associazione Zabbara di Palermo, con il
contributo della sede di Ginevra dell’UNHCR e del Centro
Diaconale La Noce – Istituto Valdese, è il frutto di un ciclo di laboratori
di scrittura partecipativa durato sei mesi, condotto nel 2019 dal
regista Genovese in collaborazione con l’esperto di progettazione sociale Daniele
Saguto.
Progetto che ha visto coinvolti venti adolescenti di
diversa provenienza, geografica e sociale – palermitani e non, richiedenti
asilo e italiani di seconda generazione – diventati autori e protagonisti del
soggetto cinematografico in ogni sua fase. Tanti immaginari diversi che si
mescolano e che arrivano ad un risultato armonico e condiviso. «Il nostro –
racconta Genovese – è un film frutto di un lavoro di indagine dal basso. Siamo
felicissimi di essere riusciti a realizzare l’immaginario di un gruppo di
ragazzi che hanno preso parte a un percorso di formazione. A maggior ragione
perché arriva in un momento complesso come questo: i nostri ragazzi sono
adolescenti che vivono in condizione di svantaggio e che hanno sofferto molto
l’anno che abbiamo attraversato. Spero sia per loro uno sprono e un
incoraggiamento a inseguire i loro sogni con dedizione e impegno oltre che con
la grande umiltà che questo mestiere richiede».
Un obiettivo raggiunto con il cosiddetto “metodo FunKino”
che unendo elementi dello storytelling partecipativo e del teatro
dell’oppresso si avvale anche del gioco per affrontare e portare in
scena una tematica o una vicenda. «All’inizio di un laboratorio – spiega
Genovese – non sappiamo mai quale storia racconteremo e quale storia emergerà
dal laboratorio stesso. Quello di Jabal è un soggetto venuto fuori da un lavoro
fatto all’interno del gruppo che ha portato alla consapevolezza che la
principale tematica a cui tenevano tutti i ragazzi era la ricerca di sé.
Questo è diventato poi il tema su cui abbiamo lavorato e tutta la storia che
abbiamo voluto raccontare».
Il film, girato prima dell’inizio della pandemia, è
ambientato nel capoluogo panormita. È proprio avventurandosi da sola per le
strade di una Palermo grigia e aggressiva che Giusy, la giovane
protagonista, trova l’occasione nell’incontro con un vecchio poeta errante di
evadere dai legami e dall’indifferenza degli adulti e delle sue compagne di
comunità. Il suo coraggio la farà dapprima intervenire in soccorso dell’anziano e poi seguirlo mentre scompare al crepuscolo nel
ventre di una montagna (in arabo, jabal).
«Giusy è una ragazza un po’ ribelle. Matura per la sua età
ma un po’ immatura per via delle poche esperienze e del contesto in cui vive»,
così la descrive Cecilia Arena, l’attrice esordiente che ne veste i
panni. «È molto sensibile e vive la solitudine con un peso maggiore rispetto
agli altri. Per questo, forse, si
intravede in lei una certa infelicità. È alla ricerca di una libertà e di un
qualcosa in più.. al di fuori del contesto in cui si ritrova e che le sta
indubbiamente stretto. Cerca qualcosa che nemmeno lei sa o può sapere cos’è,
che è altro da lei e dal suo mondo».
Un debutto quello della protagonista che si cimenta per la
prima volta con la recitazione, «arrivata
-ricorda il regista – un po’ per gioco e un po’ per noia l’ultimo giorno
di casting senza mai avere fatto alcun tipo di esperienza attoriale prima.
Eppure è stata una folgorazione: c’è qualcosa in lei che non ci ha lasciato
indifferenti, qualcosa che ci ha fatto credere che anche lei come Giusy stesse
cercando ostinatamente di conoscere il proprio limite. Una carica elettrica
pronta ad esplodere di fronte alla prima cosa in grado di produrre meraviglia,
alla prima scoperta, come il canto di una balena che squarcia la notte dei
marinai».
«Sì, primissima esperienza. Totalmente nuova per me, sto
facendo una collezione di prime esperienze», conferma emozionata l’attrice. «È
nato tutto un po’ per caso. Mi sono voluta lanciare. Ero a caccia di esperienze
nuove e una mia amica mi ha segnalato il provino incoraggiandomi a farlo. Non
so come ma nonostante la mia timidezza mi sono lanciata e ho voluto provare.
Inaspettatamente mi hanno chiamata dopo il provino, ero l’ultima dell’ultimo
giorno di casting». L’inizio di una carriera? «Perché no? Se dovesse capitarmi
qualche altra occasione da cogliere al volo, sicuramente non me la farò
scappare. Non posso che augurarmelo, soprattutto in questo momento. È stata
un’esperienza bella, divertente, di quelle che vorresti rifare e che non puoi
dimenticare. Se ne capiteranno altre le acchiapperò al volo».
Accanto a lei sullo schermo, tra gli altri, il Maestro Mimmo Cuticchio, Giuseppe
Lo Piccolo e Simona Malato. «È stata una mia proposta. Ho scelto – racconta Genovese –
di lavorare con un’attrice non professionista per il ruolo della protagonista
perché dal copione emergeva un personaggio che si sarebbe dovuto meravigliare
di fronte alla possibilità della scoperta di una nuova via e ho avuto il
piacere di rendere possibile questa cosa scegliendo un’attrice emergente.
Avendo un cast prevalentemente composto da attori non professionisti perché
tutti i ruoli minori, e non soltanto le comparse, sono stati ricoperti dagli
stessi ragazzi che hanno preso parte al laboratorio, ho voluto delle figure di
appoggio in grado di sostenere il set e di offrire – sia con il lavoro con gli
attori professionisti sia con quello insieme professionisti della troupe sul
set – un’occasione di ulteriore crescita alla FunKino gang, come la chiamiamo
noi. Le due persone cui avevo pensato sin da subito erano Mimmo e Simona.
Siamo stati fortunati perché entrambe hanno amato il progetto e hanno deciso di
prendervi parte».
«Una grande emozione per me», confessa Cecilia Arena.
«Inizialmente ero – aggiunge – oltre un po’ intimidita e in soggezione dalla
figura di Mimmo Cuticchio ma poi mi ha stupito mettendomi a mio agio con
la sua dolcezza. È una persona capace di comunicare anche senza aprire bocca,
solo con gli occhi. Riesce subito a calmarti e aiutarti nel lavoro. Mi sarebbe
piaciuto fare più scene con lui, abbiamo girato insieme solo una giornata».
L’intero cast è stata una grande famiglia in cui arricchirsi e crescere
insieme. «Simona Malato è una grande professionista Bravissima e attenta ai
dettagli oltre che una donna molto dolce e premurosa, mi ha fatto sentire
sempre in grado di farcela e mi ha portato anche nelle condizioni per e di
farcela», racconta. «Così come Alessio, il regista. Sono stati – racconta – i
miei pilastri e che ringrazierò sempre insieme all’amica che mi ha spinta a
iniziare tutto questo e che come loro mi ha sempre incoraggiata. Ed è tanta la
soddisfazione di aver conosciuto tutte le persone coinvolte in questo progetto,
che spero vada lontano perché lo merita».
Los Angeles quindi è
solo la prima tappa di questo viaggio verso mete lontane. «Il debutto a Los Angeles
è un traguardo di tutti», racconta il regista. «Io – continua – ho curato la
regia, è vero, ma è il traguardo di tutti perché si tratta “un’utopia di
collettivo che si realizza” come lo ha definito Simona Malato. La regia, per
come l’ho interpretata io, è stata una regia di servizio, a servizio di un’idea
collettiva. Questo è stato lo scrupolo in ogni fase: mantenere il
coinvolgimento dei ragazzi».
E mentre Jabal arriva sugli schermi oltreoceano già a
Palermo si guarda al futuro. «È un po’ – commenta il regista – il coronamento
di una visione, quella di cui da anni l’associazione Zabbara si fa portavoce,
cioè della necessità di creare occasioni per promuovere la promozione di un
nuovo immaginario dal basso. Questo è solo un primo passaggio. Stiamo già
realizzando un nuovo progetto e a noi piacerebbe coinvolgere nel tempo altri
sceneggiatori, registi, autori e attori e perché non anche produzioni e pensare
a qualcosa di più grande»
Valentina Ersilia Matrascia