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La storia di Riccardo

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La storia di Riccardo

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venerdì 02 Dicembre 2022

Ciascuno di noi ha, ed è una storia. Una traccia di umanità in un mondo che spesso digerisce tutto come un intestino crasso. Ma qui la riflessione deve farsi tenue, per l’universale mistero della vita e della morte, e per il rispetto al dolore degli affetti. Riccardo Faggin era uno di noi, non un essere anomalo, diverso.

Era uno dei nostri figli, oggi assurdamente disagiati da quasi tre anni di pandemia. Riccardo ha deciso di terminare il suo cammino. Il peso di angosce, disagi, inadeguatezza percepita, lo ha accasciato. E si è lasciato andare. Ha liberato un’anima oppressa da un corpo piegato da aspettative e destini che non riconosceva, e non più sopportava.

Il problema sotteso alla scomparsa di Riccardo tendiamo a descriverlo e circoscriverlo, ampliarlo disturba tanto e tanti, ma purtroppo è immenso.

Una recente ricerca svolta nelle scuole del centro nord ha rilevato, tramite una cassettina anonima del disagio, una percentuale abnorme tra i ragazzi che sfiora il 40%. La risposta istituzionale a questo disagio, che viene da lontano, è stato un debole, soprattutto dal punto di vista organizzativo, bonus psicologico. In Italia negli anni 80 si realizzarono i Sert per la cura della tossicodipendenza. Ma qui siamo davanti ad un nemico più subdolo, più nascosto, l’insondabilità delle menti umane, le fragilità che spesso hanno la consistenza di un capello.

La presa di coscienza dei genitori è totalmente insufficiente, non ci si vuole arrendere alla propria fallibilità. Si spera a volte in maniera tremebonda, a volte con sicumera, che il fulmine, come se fosse un mero fatto incidentale, cada distante da noi. Spesso, come nel caso di Riccardo, non è così. Il fulmine ti cade di sopra, e oltre il dolore c’è l’angoscia di non aver intuito, venti e nubi, di aver sottovalutato segnali imputati al carattere o alla mutevolezza adolescenziale. Il mestiere dei genitori è secolarmente difficilissimo, ed oggi dobbiamo riconoscere che non siamo adeguati, non abbiamo sufficiente preparazione, in un test invalsi saremmo sonoramente bocciati.

Certo poi è facile scaricare il barile su un mondo disperso, su Stranger Things di Netflix, su tutti quegli agenti di divaricazione che influenzano il processo di formazione delle coscienze.

Le pressioni numerose e plurali, gli archetipi di identificazione, o di esclusione, che oggi i ragazzi subiscono non sono lontanamente paragonabili a quelli delle generazioni precedenti, anche se la parabola del figliol prodigo è millenaria. Riccardo ha lasciato una traccia, scavato un solco, ha segnato mondi intorno a sé, al di là del suo gesto eclatante.

Ci ha detto che tanti, tantissimi, falangi di ragazzi come lui, hanno bisogno di essere capiti, ascoltati, con la pazienza del pescatore del Vecchio e il mare. Ci vuole tempo, tantissimo tempo dedicato, oltre ad una pazienza da donne ed uomini forti, nelle certezze ma soprattutto nei dubbi.

Riusciamo in questo mondo frettoloso, labile, liquido come diceva Bauman, a trovare il tempo? Oltre ad una pazienza antica, che abbiamo perso, senza in cambio aver raggiunto una sensibilità di un mondo nuovo.

Cosi è se vi pare.

Giovanni Pizzo

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