"Le città visibili", Lo Verso porta in scena Calvino: l'intervista al QdS

“Le città visibili”, l’attore Enrico Lo Verso porta in scena Calvino e parla al QdS: “Mai abbandonate le mie radici: la Sicilia è casa mia”

Daniele D'Alessandro

“Le città visibili”, l’attore Enrico Lo Verso porta in scena Calvino e parla al QdS: “Mai abbandonate le mie radici: la Sicilia è casa mia”

Sandy Sciuto  |
venerdì 06 Settembre 2024

Lo Verso ci parla di spettacolo, del rapporto con il teatro e gli spettatori, di cosa pensa del cinema di oggi e della sua città invisibile.

In occasione della rassegna “Metti un libro a teatro”, domenica 8 settembre presso la GAM di Catania e lunedì 9 settembre al Castello di Donna Fugata a Ragusa, Enrico Lo Verso porterà in scena “Le città visibili”, adattamento teatrale del celebre libro di Italo Calvino, a cura di Ergo Sum Produzioni. Non ha bisogno di presentazioni Enrico Lo Verso. L’attore siciliano vanta una carriera ricca di ruoli tra cinema, teatro e televisione e innumerevoli attestazioni di stima, nonché candidature ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento. Nell’intervista che ci ha rilasciato, Lo Verso ha raccontato dello spettacolo, del suo rapporto con il teatro e gli spettatori, di cosa pensa del cinema di oggi e della sua città invisibile.

L’intervista a Enrico Lo Verso

L’8 e il 9 settembre porterà in scena “Le città visibili” alla GAM di Catania e al Castello di Donna Fugata a Ragusa. Come è nato lo spettacolo?

Lo spettacolo è nato dalla mente e dalla penna di Alessandra Pizzi che è la regista, autrice e produttrice con cui lavoro dal 2016. Lei ha la mission di portare i classici a teatro. Prende i grandi classici della letteratura, fa un adattamento teatrale, li porta in scena e avvicina il pubblico alla lettura. Dopo gli spettacoli, tanti vengono a dirci “mi è venuta voglia di leggere o di rileggere questo libro” oppure molti vengono con il libro da firmare, come se fossimo noi gli autori. Succede spessissimo con “Uno nessuno e centomila”, ma anche con “Le metamorfosi” di Ovidio” e l’“Apologia di Socrate” di Platone, “Itaca per sempre” di Malerba e adesso con “Le città invisibili” di Italo Calvino. L’idea di Alessandra era di fare quasi una lezione teatralizzata su Calvino e invece è diventato uno spettacolo tratto da “Le città invisibili”, ma con un inizio diverso.

Quali sono le città visibili in senso letterale e in senso lato?

Le città diventano visibili perché attraverso la lettura, le esperienze di Marco Polo – ma anche no – attraverso le parole di altri autori e la musica viene fatto un viaggio nel mondo. Ho sempre usato per il cinema una grande metafora ossia che “il cinema è una grande agenzia di viaggi”. Tu entri, paghi il biglietto e vai ovunque nello spazio e nel tempo. Con questo spettacolo avviene la stessa cosa.

Il titolo dello spettacolo richiama il libro di Calvino. Cosa dovrebbe avere la sua città invisibile?

Il rispetto per gli altri, l’educazione e il riconoscimento dei diritti di ciascuno di noi. La mia città invisibile dovrebbe essere il regno di utopia per cosa sta succedendo nel mondo oggi.

Uomini e città. Secondo lei, le città cambiano un essere umano?

Sicuramente lo formano, lo plasmano e lo indirizzano, ma cambiarlo no. Un amico diceva che non si cambia, ma ci si evolve come un seme che metti a terra. Quindici anni dopo lo vedi cambiato, ma è diventato un albero. Non è cambiato, è sempre stato quello.

Da qualche anno, ha scelto di tornare a vivere in Sicilia, la sua terra natale, e di lasciare Roma. Molti vanno via senza voltarsi, però lei è ritornato: perché?

In “Nuovo Cinema Paradiso” Alfredo diceva al bambino: “Vattinni, questa è terra maledetta!”. Pasquale Squitieri concludeva il suo “Briganti” con le masse di genti che andavano via dal Sud dopo le stragi dei Savoia e Franco Nero, il maresciallo, chiedeva dove andavano e loro rispondevano: “Noi briganti migranti”. Si parte per cercare di definirsi, per cercare sé stessi e il proprio cammino. Per non diventare briganti, appunto, si diventa migranti. Si può essere briganti nell’accezione negativa in casa propria. Se si parte, lo si fa perché si vuole continuare a vivere onestamente.

Io sono tornato perché probabilmente la mia strada l’ho trovata. Io non ho mai abbandonato le mie radici. Le ho sempre sentite fortissime e nel momento in cui ho capito che non avevo più bisogno di stare fuori per conoscermi, potevo stare comodamente a casa mia.

Cosa le dà la Sicilia che altrove non ha trovato?

In Sicilia sto in una dimensione a contatto con la natura. Sto in campagna, lavoro la terra. Questa è una cosa che rimette a posto tutte le priorità e le gerarchie. In città sei inconsapevole di tante cose. In campagna devi lavorare per ottenere qualunque cosa e questo ti aiuta a comprendere molto molto di più.

Quando ha scoperto questa propensione per la campagna?

Lentamente. Parte da un amore generale per la natura, per gli animali e per il rispetto delle piante. Piano piano, vivendoci, impari che vanno rispettati gli alberi, i vari cicli ed è la campagna che diventa maestra. Non il contrario.

 Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso novembre ha raccontato che non aveva un buon rapporto con il teatro fin quando non ha incontrato Alessandra Pizzi. A distanza di anni, cosa rappresenta il teatro per lei?

Non è assolutamente vero, perché con il teatro ho sempre avuto un buon rapporto. Le cose che avevo fatto prima erano sempre andate bene. Era il meccanismo del teatro in Italia che mi lasciava molto perplesso perché si osa poco, si ripetono le stesse cose allo stesso modo e con gli stessi attori. Con Alessandra – alla quale inizialmente avevo detto di no – ho capito che era un’altra che invece osa con coraggio. Mettiamo in scena cose che altri non farebbero, o almeno non come le facciamo noi. Abbiamo un riscontro di pubblico che è straordinario.

Le faccio un esempio. Siamo andati una settimana fa a Lecce a fare “Uno nessuno e centomila”. Era la quindicesima volta che facevamo uno spettacolo a Lecce. Abbiamo avuto di nuovo il teatro pieno e problemi con i posti perché era sold out. La maggior parte delle persone era gente che aveva visto lo spettacolo almeno tre volte. La cosa bella è che, quando facciamo altri spettacoli, anche in altre parti d’Italia dove spesso torniamo, alla fine mi trattengo con gli spettatori e ho un feedback immediato, veloce e sincero. Il teatro ha senso farlo, se lo si fa migliorandosi. Devi renderlo vivo, non puoi fare le repliche uguali a sé stesse ogni volta. Si nota che gli spettatori sono venuti a vedere più spettacoli perché hanno imparato a conoscere una sorta di marchio di fabbrica. Agli spettatori chiedo quale è piaciuto di più. La risposta è che non lo sanno perché sono tutti diversi, ma che gli sono piaciuti tutti.

Immagino che con gli anni cambi la sua interpretazione…

Se succede, per me in modo inconsapevole. Ci siamo accorti che cambia lo spettatore ossia lo stesso spettatore che ha visto lo spettacolo almeno tre volte, all’ultima volta sostiene sia diverso. In realtà, noi non abbiamo cambiato niente, ma probabilmente è cambiato lui e la percezione delle cose che diciamo. Probabilmente è questa la bellezza dell’arte ossia che ha bisogno del contributo di chi la fruisce.

È in corso la Mostra del cinema di Venezia. Cosa pensa del cinema di oggi?

Bisogna osare e permettersi di prendersi dei rischi. In questo mestiere bisogna essere sinceri. I grandi artisti, come Van Gogh o Modigliani, spesso non erano compresi dai loro contemporanei però non potevano inseguire i gusti del pubblico. Dovevano essere sé stessi. E rimanendo sé stessi, hanno vinto la sfida con il tempo.

È in concorso il nuovo film diretto da Gianni Amelio per il quale è stato protagonista di molti suoi film. Quanto è stato utile lavorare con Amelio per diventare l’attore che è oggi?

È stato utilissimo. Tutti gli incontri che facciamo contribuiscono a plasmarti e a costruirti carattere e caratteristiche. Se hai la fortuna di lavorare con un genio come Gianni e di averci un rapporto personale di confronto continuo, quello è un periodo di crescita che ti aiuta a sviluppare attenzioni e sensibilità.

L’abbiamo vista in “Dante” di Pupi Avati e ne “I leoni di Sicilia” di Genovese. La vedremo nella seconda stagione di “The Bad Guy”. C’è un regista con cui vorrebbe lavorare?

Ci sono dei registi che mi piacciono molto, però più che lavorare con quel regista bisogna capitare il film giusto.

Qual è il film giusto?

Un film in cui mi diverto, dove credo nel personaggio che sto facendo, nell’entusiasmo che vedo intorno e nella consapevolezza di star realizzando una cosa importante.

Diventare attore era il suo sogno da bambino. A quel bambino oggi cosa direbbe?

Non so cosa direi a quel bambino. I sogni da bambino hanno preso contorni più precisi, più nitidi e più consapevoli.


Iscriviti gratis al canale WhatsApp di QdS.it, news e aggiornamenti CLICCA QUI

Tag:

Articoli correlati

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017