Fino a quando questi nodi gordiani non verranno sciolti, la guerra continuerà e la tenuta sociale ed economica degli Europei sarà messa a fortissimo rischio
È di questi giorni il rilancio di Putin al vertice eurasiatico di Samarcanda. Il dittatore, questo è, di Mosca ha riunito un contesto di Paesi che rappresentano 3 miliardi di persone, non proprio quattro gatti. L’idea è di fare fronte comune per ridurre all’impotenza l’Occidente e più direttamente, essendo un fronte a contatto diretto, l’Europa. Nel frattempo in Ucraina avviene, senza soluzioni di continuità, una tragedia umanitaria con migliaia di morti e milioni di sfollati.
La risposta di Washington è che questo innalzamento del fronte internazionale testimonia il successo delle attuali risposte occidentali, forniture militari e sanzioni. Ma, intanto, i Paesi europei si interrogano come Amleto sulle risposte interne e comunitarie da trovare per accendere i riscaldamenti e accendere i forni per il pane. Certo, Briatore non avrà problemi a ribaltare il caro energia sulle sue pizze, ma quante pizzerie di periferia lo potranno fare senza desertificare i clienti? Quante fabbriche energivore potranno essere aiutate dai piani di Cingolani e quante invece chiuderanno?
Quanti cassaintegrati produrrà questa guerra delle materie prime? Non ci sono solo il gas e il petrolio, ma anche altre materie prime, soprattutto l’acciaio ormai del tutto in mano indo-cinese, due Paesi che erano con Putin a Samarcanda. Samarcanda è in Uzbekistan, sulla via della Seta – e lì Putin è con Erdogan leader della Turchia – e questa parola fa venire a galla l’ipocrisia dell’Occidente.
La Turchia è da anni alleata e sodale di Putin, soprattutto nel Mediterraneo, ma fa parte della Nato. Cosa aspetta la Nato a fare chiarezza? La Turchia e le sue basi servivano per fronteggiare l’ex Unione Sovietica e oggi sono la base politico militare, con più chance del passato, dell’alleanza eurasiatica.
Le sanzioni sono efficaci per fermare Putin? Per niente, sostengono molti analisti. E allora cosa fare? Alcuni, molti, guardano l’Italia come l’anello debole della catena, quello che farà crollare il fronte anti russo in Europa e nella Nato.
La Meloni occupa il 70% del suo tempo elettorale ad assicurare che non c’è nessuno più atlantista di lei, e soprattutto che lei è più affidabile di Salvini. Ma cos’è stata la NATO? La NATO venti e poco più anni fa intraprese l’operazione che arrivo alla costituzione dell’IFOR per l’intervento militare in Kossovo, per impedire la pulizia etnica delle milizie serbe. Non vi sembra che questa guerra sporca sia assolutamente simile? L’Occidente, la NATO, non pensò che le sanzioni potessero sfiancare Milosevic e intervenne militarmente in un Paese al di fuori dell’alleanza atlantica.
Washington oggi rispetto al 1999 ha cambiato strategia, non interviene militarmente avendo paura dei contraccolpi interni più che internazionali. Un intervento militare farebbe automaticamente vincere le elezioni alla destra non interventista di Trump, da sempre favorevole a disimpegni militari. Ecco il motivo per cui da un lato favorisce forniture, che fanno contenta la potente lobby della Difesa americana, dall’altro promuove sanzioni che colpiscono di sponda solo l’Europa.
Perché la NATO non interviene militarmente in Ucraina come ha fatto in Kossovo? Perché l’Europa non ha un peso nella NATO, in quanto divisa e non disponendo di un esercito comune che può stare al tavolo dello Stato Maggiore Alleato e imporre le sue strategie. Fino a quando questi nodi gordiani non verranno sciolti, la guerra continuerà e la tenuta sociale ed economica degli Europei sarà messa a fortissimo rischio.
Così è se vi pare.
Giovanni Pizzo