Puntare sulla portualità non significa solo quadruplicare l’AV/AC Genova-Milano, ma creare una rete di scali interconnessi. Rimandare il Ponte vuol dire prolungare la decadenza del Paese
Da una decina d’anni almeno, un gruppo sempre più nutrito di ferventi meridionalisti pone alle forze politiche italiane una domanda: quale può essere il ruolo dell’Italia – e del Meridione in particolare – nel panorama euromediterraneo in tempi di globalizzazione? Qual è la vocazione di un Paese al centro del Mediterraneo, povero di materie prime, con un agroalimentare penalizzato da norme comunitarie sempre più rigide, una ricerca sostenuta da risorse insufficienti, un turismo incapace di dare, da solo, un futuro a un Paese di 60 milioni di abitanti?
L’italia è un Paese privo di grandi gruppi industriali
Un Paese privo di grandi gruppi industriali la cui bilancia dei pagamenti è tenuta in piedi dalle esportazioni di piccoli e medi industriali manifatturieri, vessati dall’erario e dalla burocrazia; sempre più tentati di delocalizzare o vendere. Un Paese in cui è ogni giorno più evidente che non basta una sola locomotiva, per quanto potente, per trainare un treno con troppi vagoni volutamente privati della possibilità di contribuire alla spinta.
Un Mezzogiorno al centro degli scambi tra tre continenti
In attesa di una risposta che non arriva, si consolida una strategia fondata sulla sinergia tra Manifattura settentrionale – che deve guardare al mercato africano, in rapidissima espansione economica e demografica – e una Logistica che solo un Mezzogiorno al centro degli scambi tra tre continenti è in grado di sviluppare adeguatamente. Non è un’idea totalmente originale: già alcuni decenni fa, nel mondo del trasporto circolava la convinzione che “la Logistica, per l’Italia, può diventare quello che è il petrolio per i Paesi arabi” … ma solo policy maker incompetenti o in malafede potevano credere che questo risultato si ottenesse bloccando a Napoli l’AV/AC ferroviaria. Come, invece, è accaduto.
Incapacità strategica dei governi nazionali
Eppure, le conseguenze dell’incapacità strategica dei governi nazionali erano evidenti: tutte le regioni italiane hanno perso posizioni nella graduatoria europea, fino a scendere, in maggioranza, sotto la media del Pil per capita dell’Ue. Sarebbe bastato leggere i dati di Eurostat … e non era consolatorio notare che il Sud arretrava più rapidamente del Nord.
Una crescita squilibrata non è crescita
Pandemia, guerra in Ucraina, crisi energetica e delle materie prime hanno accelerato l’esigenza di avviare cambiamenti in sintonia con fenomeni quali l’accorciamento delle Value Chain e l’estensione verso aree depresse di produzioni e consumi. Che è suicida mantenere geograficamente concentrati, pena degrado e tensioni sociali. Il tentativo di rivoluzionare l’economia planetaria rappresentato dalla Belt and Road cinese si rispecchia nel Mezzogiorno, con la captazione dei flussi mercantili che sfiorano la Sicilia. Non comprendere i meccanismi di questo processo accentua la marginalizzazione, cioè l’esclusione dalla rete logistica che determina lo sviluppo. Vale per Genova e Milano come per Taranto, Gioia Tauro e Augusta. Una crescita squilibrata non è crescita: prima o poi presenta un conto molto salato.
Un grande asse trasportistico “irradia sviluppo” nei territori attraversati. Le 12 città italiane toccate dall’AV hanno visto il Pil crescere del 10% in un decennio contro il 3% delle province che distano più di due ore da una stazione AV/ AC. Siamo invitati ai vari G7 e G8 più per simpatia e abitudine che per la nostra effettiva posizione nella graduatoria per Pil a parità di valore d’acquisto – che è quello che conta –: altro che ottavi! Siamo tredicesimi e, tra dieci anni, saremo sotto la ventesima posizione.
Dobbiamo al più presto riappropriarci della centralità geografica
Dobbiamo al più presto riappropriarci della centralità geografica che Madre Natura ci ha generosamente concesso. Puntare sulla portualità non significa solo quadruplicare l’AV/AC Genova-Milano ma, insieme e organicamente con essa, creare una rete di scali distribuiti lungo gli ottomila km delle nostre coste, interconnessi da un sistema trasportistico multimodale dove retroporti e Zes rappresentano i nodi in grado di contrastare i blocchi originati dagli eventi incontrollabili ai quali oggi assistiamo.
Non è una rivendicazione localista: in un recente libro, Pietro Spirito, già presidente dell’AdSP del Tirreno centrale, ipotizza uno scenario nel quale il futuro del pianeta sarà deciso dall’integrazione delle tre grandi piattaforme che governano gli scambi mondiali: quella manifatturiera, quella digitale e, appunto, quella logistica. Il fenomeno, battezzato “Capitalismo della Mobilità”, ha come catalizzatore l’e-commerce, giunto al 30% del prodotto lordo mondiale. Per un valore di 26 trilioni di dollari. Promesso sposo della triplice alleanza tra armatori che possiede l’85,2% della capacità di stiva mondiale …
Il nostro Paese vuole evitare di essere stritolato dai colossi planetari o preferisce vivere da mediocre comparsa, in un mondo diviso tra oligarchi e sudditi del Web? La globalizzazione non sta scomparendo. Si evolve in forme più articolate e socialmente più accettabili. Era inevitabile che le nuove opportunità di guadagno stimolassero “l’insaziabile voracità delle élite” (Galbraith). Non è solo volontà di accaparrarsi quote crescenti di valore aggiunto ma anche la capacità di influire sullo sviluppo di settori industriali e territori.
L’ex Bel Paese procede ottusamente sulla strada del degrado
Guardiamo ai finanziamenti pubblici per le grandi opere e vi individueremo la pesante mano dei nuovi oligopoli. Lo stesso PNRR italiano è stato piegato a finalità diverse dall’interesse generale e da quello originario dettato dall’Ue. Mentre il pianeta cambia rapidamente, l’ex Bel Paese procede ottusamente sulla strada del degrado, sordo a quanto avviene intorno. Uno dei maggiori esperti italiani di trasporti e infrastrutture, l’ing. Ercole Incalza, lancia l’ennesimo allarme: “Per oltre 15 anni il Sud non disporrà di nessuna infrastruttura in più rispetto a quelle odierne”. è questo il modo di contrapporsi al “Capitalismo della Mobilità”? È questo il modo di aderire al Next Generation Plan Ue? È bloccando lo sviluppo del Mezzogiorno che si riducono le diseguaglianze? O, invece, bisogna saper rispondere alla domanda iniziale creando un sistema logistico diffuso sul territorio mediante le infrastrutture che sono alla base della catena del valore, pur accorciata?
La realizzazione del Ponte sullo Stretto è il simbolo della nuova strategia. Rimandarne l’inizio lavori – come sta cinicamente facendo anche Draghi con risibili motivazioni – si traduce nel prolungare la decadenza del Paese e aggravare il degrado del Sud. Una scelta irresponsabile.