Urge ritornare al 2018
I parlamentari 5 Stelle eletti il 4 marzo 2018 erano complessivamente 338. Oggi sono formalmente 228; ne hanno persi per strada 110. Fra questi serpeggia un malcontento generale sapendo che, nella primavera del 2023, forse soltanto una novantina rientrerà in Parlamento.
Perché questa caduta verticale dei consensi, da quel 32,7 per cento all’attuale circa 13 per cento? Vi sono diverse spiegazioni, ma ve ne è una che, ci sembra, possa prevalere sulle altre. Riguarda l’azione di un partito politico. Se protesta, vale a dire se dà voce a tutte le cose che non vanno, a tutti i desideri dei cittadini, a tutte le voglie che spuntano di qua e di là, allora i consensi aumentano considerevolmente. Se, invece, lo stesso partito di protesta si trasforma in un partito di governo, e quindi responsabile di dover dire di no a tante parti, ecco che il suo consenso diminuisce fortemente.
M5s ha seguito questa strada, per cui l’attuale ala governista, capeggiata da Luigi Di Maio, sta portando l’intero Movimento a una caduta verticale; fatto deprecabile.
Giuseppe Conte, fattosi eleggere presidente di questo Movimento, si trova in una tenaglia: da un canto, appunto, vi è la parte governativa, che resta attaccata alle poltrone dei Ministeri; dall’altra, il tumulto che proviene dai propri parlamentari, i quali si sentono sommergere dalle proteste cui lo stesso Movimento non dà più voce, perché si è trasformato.
Ora, non è utile protestare e protestare senza fare proposte per risolvere i diversi problemi sociali ed economici. Ma è dannosa l’acquiescenza ai meccanismi governativi, i quali seguono anche logiche provenienti da lobbies, da gruppi e da interessi settoriali, che non sono interessi generali.
Cosicché, vediamo con dispiacere l’affievolimento dei consensi verso questo Movimento, che ha sostenuto le speranze di un terzo dei votanti, i quali si aspettavano delle riforme vere e serie che cambiassero gli equilibri, ovvero mettessero a posto gli squilibri che una classe partitocratica aveva creato nei decenni precedenti.
Un Paese come il nostro, che si è addormentato all’inizio di questo secolo, proseguendo un sonno che arrivava dalla fine dello scorso, sta portando a una crisi drammatica che il Pnrr non potrà scongiurare.
Una vera riforma, profonda e incisiva, di cui tutto il popolo italiano deve essere grato al M5s, riguarda il taglio del numero dei parlamentari da 945 a 600.
La conseguente riforma di ridurre i compensi a questi ultimi, però, non è stata portata a compimento, per cui i parlamentari della prossima legislatura godranno di tutti i privilegi dei precedenti, rimasti intatti e neanche scalfiti.
M5s non è riuscito a fare una terza riforma interna a Camere e Senato, vale a dire l’adeguamento a ribasso, con relativa ristrutturazione, di tutta l’organizzazione interna e della conseguente riduzione del personale, che resterà in esubero rispetto alle necessità, col Parlamento ridotto di un terzo dei suoi componenti.
Ma, si sa, non tutto è perfetto, non tutto si può fare. Resta però che deputati e senatori saranno 600.
Qui interviene il problema dell’attuale legge elettorale, che non è né carne né pesce, né sembra possibile una sua radicale riforma.
Il Movimento inventato da Gianroberto Casaleggio, cui Beppe Grillo ha dato grande notorietà, aveva una ragion d’essere e cioè proprio quella prima indicata: rinnovare profondamente le strutture dello Stato e il loro funzionamento, diffondendo fra i cittadini più equità, anche mediante una maggiore redistribuzione delle risorse.
Ma nel realizzare questa buona idea, i grillini hanno commesso l’errore di approvare una legge giusta (il Reddito di cittadinanza) in un modo sbagliato. Hanno sbagliato nella denominazione, perché avrebbero dovuto chiamarla “Assegno di povertà”, e hanno sbagliato nel distribuire a pioggia risorse dello Stato – recuperate dalle imposte pagate dai cittadini – a una quantità di soggetti non controllati preventivamente, che non ne avevano diritto.
Conte vuole ritornare alle percentuali da cui è partito nel 2018 il M5s, ma non ha altra strada che sganciarsi subito dal Governo e riprendere a proporre e, dall’opposizione, ricominciare a protestare giustamente su tutte le cose che non vanno, lasciando agli altri l’onere di gestire fiaccamente la situazione attuale.