L’analisi dell’Istat: nel settore il nostro peso sull’export mondiale è sceso in dieci anni dal 4,6 al 3,8 per cento. La Spagna si è difesa meglio dalle economie emergenti, mantenendo le sue quote nelle vendite all’estero
ROMA – È notizia di questi giorni che il debuttante liceo del Made in Italy ha raccolto solo 375 iscrizioni in tutta la Penisola. Secondo Adolfo Urso, ministro del Made in Italy, “è un buon inizio che potrà ulteriormente migliorare in questo anno pilota”. Ma cosa si intende con questa espressione? Secondo Treccani l’espressione Made in Italy “viene utilizzata a partire dagli anni Ottanta. Quando se ne parla ci si riferisce in genere al nostro vino, al cibo, alle produzioni agroalimentari di qualità, alla raffinatezza e alla creatività del settore tessile, dell’abbigliamento e dell’arredamento”. Quanto è apprezzato questo patrimonio, oltre i nostri confini, e quali sono i nostri competitor si è discusso in uno dei podcast Istat del ciclo “Dati alla mano”, dal titolo: “Made in Italy”. A spiegarne le dinamiche ci ha pensato Cristiana Conti, che in Istat lavora nella Comunicazione, informazione e servizi a cittadini e utenti, insieme a Mirella Morrone, esperta Istat di commercio internazionale.
L’analisi è partita dalle criticità, tra cui quelle delle produzioni di tipo tradizionale a basso contenuto tecnologico, che sono più esposte alla concorrenza delle economie emergenti. È il caso dei prodotti del settore tessile. Nel 2022 la nostra bilancia commerciale, ossia la differenza tra quanto abbiamo esportato e quanto abbiamo importato, è negativa per quanto riguarda questi prodotti. Ciò significa che abbiamo acquistato dall’estero più di quello che abbiamo venduto oltre confine. La Spagna, per esempio, nel settore tessile in cui rappresenta un competitor per l’Italia, sui mercati internazionali si è difesa meglio dalle economie emergenti, mantenendo le sue quote nell’export mondiale. Il nostro peso sull’export mondiale del tessile nel 2013 era del 4,6 per cento, ma si è ridotto nel 2022 al 3,8 per cento.
Eppure – si sottolinea nell’analisi – nel periodo della pandemia l’export, per il nostro Paese, ha rappresentato mediamente una sorta di resilienza, anche per le imprese più piccole. Ciò nonostante, ritornando al tessile, nel 2022 il suo valore è comunque cresciuto del 18,1 per cento rispetto all’anno precedente. Ma se consideriamo il volume esportato l’aumento è solo del 2,2 per cento. Cosa vuol dire questo? Che vi è stato un aumento dei prezzi e chi ha comprato “made in Italy”, ha pagato di più questi prodotti rispetto all’anno precedente, per via dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.
C’è poi da analizzare la peculiarità del mondo delle imprese italiano, molto diverso dal resto d’Europa, perché formato da piccole e medie imprese. Nel 2019 le imprese dell’industria e dei servizi in Italia erano 3,6 mln. Nello stesso anno in Francia erano 3 mln, in Spagna 2,7 e in Germania 2,6. Quindi, diremmo che da noi ce n’erano di più. Ma in Italia prevalgono le microimprese (meno capaci di aggredire il mercato), quelle che impiegano al massimo nove addetti. Quindi, mentre la dimensione media delle imprese italiane è di 4,4 addetti, quella della Germania è di 12 addetti. Se si considerano le imprese medie, tra i 50 e i 200 addetti le differenze di accentuano: in Italia sono 21 mila, in Germania 56 mila. Se poi si considerano le grandi imprese, dai 250 addetti in su, l’Italia ne conta poco più di 3.600 mentre in Francia sono 4.800 e in Germania 11.800.
Si è cercato di capire con Mirella Morrone, esperta Istat di commercio internazionale, chi sono gli acquirenti. Si è considerata una delle produzioni più tipiche: il vino. Tra i paesi che più lo apprezzano ci sono gli Usa, dove nel 2022 l’Italia ha esportato vino per 1.860 mln di euro. E il trend è in crescita visto che rispetto al 2000 la quantità di vino venduta agli Usa è quasi raddoppiata. E in Europa, qual è il trend? Al primo posto troviamo la Germania che nel 2022 ha comprato vino italiano per 1.180 mln di euro. In seconda posizione il Regno Unito con 811 mln.
Per quanto riguarda i vini spumante la classifica vede al primo posto gli Usa, seguiti da Regno Unito e Germania. Dal 2017 è stata introdotta una voce specifica per il prosecco nella nomenclatura dei prodotti usata in Europa. Dalla Francia, poi, è apprezzata la mozzarella, che nel 2022 ne ha acquistata per 271,5 mln di euro. Mentre in Germania sono apprezzatissimi Parmigiano reggiano e Grana padano.
Italia seconda dopo la Germania per valore delle esportazioni delle merci rispetto al Pil
Parlare di Made in Italy è anche capire l’internazionalizzazione dell’economia italiana, di cui interessanti dati si trovano nella pubblicazione dell’Istat “Storia dell’internazionalizzazione dell’Italia dall’Unità a oggi”. Secondo lo studio la media di import ed export di beni e servizi (ossia l’apertura commerciale) sul Prodotto interno lordo (Pil) in Italia oggi è stabilmente superiore al 30 per cento e ha raggiunto il 35 per cento negli anni 2021-2022, sulla scia dei rincari dei prezzi delle materie prime. Ed ancora, si consideri l’export italiano rispetto a quello degli altri Paesi. Osservando singolarmente il valore delle esportazioni di merci sul Pil, nell’Unione europea l’Italia risulta attualmente seconda dopo la Germania; per i servizi, invece, il nostro Paese è meno internazionalizzato rispetto a Francia, Germania e Spagna e il divario è in crescita.
Per quanto riguarda l’andamento settoriale dell’export, ad esempio, i prodotti manifatturieri rappresentano il 97 per cento del valore delle esportazioni di beni dal nostro Paese e circa l’80 per cento delle importazioni. Non ultimo, un dato in crescita è quello relativo all’internazionalizzazione produttiva, e agli investimenti a essa associati: nel 1980, il capitale estero investito in Italia, così come gli investimenti italiani all’estero, rappresentavano meno del 2 per cento del Pil.
Oggi, entrambi sono prossimi al 30 per cento, e il personale impiegato dalle controllate estere delle aziende italiane è pari a 1,7 milioni di addetti, mentre le imprese italiane a controllo estero ne occupano 1,5 milioni, originando oltre il 30 per cento dell’export del nostro Paese e più della metà dell’import.
Interessante a tal proposito un’osservazione di Mirella Morroni, esperta Istat di commercio internazionale, ossia che una fetta rilevante dei prodotti realizzati in Italia da multinazionale estere è destinata al paese di provenienza, come a dire che queste aziende producono in Italia perché gli interessa la qualità italiana, rivendendo poi nel mondo e soprattutto nel Paese di provenienza.