La discarica sequestrata usata per nascondere il rame rubato. E sullo sfondo l'ombra pesante di Cosa nostra.
La discarica sequestrata usata per nascondere il rame rubato. E sullo sfondo l’ombra pesante di Cosa nostra. Nelle carte dell’inchiesta Asmundo, che ieri ha portato in galera alcuni presunti esponenti del clan Nardo e ai domiciliari l’ex assessore regionale Pippo Sorbello, c’è una storia in cui riaffiora, per essere stato citato dagli indagati, anche il nome di un colletto bianco già noto alle cronache giudiziarie. Si tratta di Nino Paratore, l’imprenditore della Cisma che tra il 2017 e il 2021, insieme al figlio Carmelo, è finito sotto la lente della Direzione distrettuale antimafia di Catania perché sospettato di essere in affari con il boss ergastolano Maurizio Zuccaro. Fatti per i quali è ancora in corso un processo di primo grado e in vigore una misura di prevenzione del valore di un centinaio di milioni di euro. La vicenda, che avrebbe interessato un corposo quantitativo di rame, sta all’origine di un momento di tensione che si sarebbe registrato all’interno del clan. A riscaldare gli animi sarebbe stata propria la consapevolezza che i terreni interessati erano dei Paratore, i quali – va sottolineato – sono del tutto estranei all’indagine.
Accostamenti che tornano
“M’ha muntuau a Paraturi… Zuccaro”. Mi hanno fatto i nomi di Paratore, Zuccaro. La frase, intercettata dai carabinieri, è pronunciata da Antonello Costanzo Zammataro, 50enne originario di Bronte ma residente a Melilli, nella frazione di Villasmundo. L’uomo, tra gli arrestati nel blitz di ieri, nel 2022 si sarebbe messo in moto per cercare di capire a chi fosse riconducibile un escavatore avvistato all’interno della discarica di contrada Fornello. Il sito – un tempo destinato a ricevere rifiuti speciali non pericolosi e da oltre un decennio chiuso perché ormai saturo, e dunque diverso da quello attualmente in coltivazione – è tra i beni di proprietà della famiglia Paratore, che l’anno prima erano stati sequestrati dal tribunale di Catania. Provvedimento quest’ultimo disposto quattro anni dopo l’operazione Piramidi, in cui per la prima volta era stata ipotizzata una correlazione tra gli interessi degli imprenditori con quelli di Maurizio Zuccaro, killer della famiglia Santapaola-Ercolano. A spingere Costanzo Zammataro a condurre la propria personale indagine sarebbe stata una voce che si era sparsa in paese: un uomo avrebbe avuto intenzione di dissotterrare dalla discarica un ingente quantitativo di rame con l’obiettivo di rivenderlo.
Proposito che però, stando a quanto ricostruito nell’inchiesta Asmundo, non sarebbe apprezzato. “Siccome ci sono amici nostri che sono pattruni ddocu e sunu in galera, chiddri, dici, vuonnu sapiri”, dice Costanzo Zammataro, facendo poi i nomi di Paratore e Zuccaro. Il passaparola porterà a un risultato: l’autore dell’azione solitaria, infatti, sarebbe stato individuato nel 57enne Giuseppe Montagno Bozzone, anche lui di origini brontesi e con una lunga serie di precedenti penali anche per mafia. L’uomo è considerato dagli inquirenti un affiliato ai Nardo, in posizione subordinata rispetto a Costanzo Zammataro e a Vincenzo Formica, anche lui citato nella vicenda del rame. A fare il nome di Montagno Bozzone sarebbe stato il figlio del titolare di una ditta attiva nel movimento terra di Villasmundo. “Costanzo Zammataro – scrive la gip Giuseppina Montuori – rintracciava Montagno Bozzone e gli intimava di sospendere gli scavi avviati specificandogli di parlare in nome e per conto di Zuccaro e Nino Paratore”.
Un affare da centomila euro
Per la giudice per le indagini preliminari la vicenda è “sintomatica della esistenza dell’associazione mafiosa” e dell’appartenenza a essa delle persone ieri destinatarie della misura cautelare. Nell’ordinanza si fa cenno anche al possibile guadagno che sarebbe potuto derivare dalla vendita: centomila euro. Stando agli attuali prezzi di mercato, che vedono la quotazione del rame riciclato intorno ai 5-6 euro al chilo, significherebbe che all’interno della discarica di Cisma ci sarebbero state oltre 15 tonnellate del prezioso metallo. Tuttavia, stando a quanto appreso dal Quotidiano di Sicilia, a oggi non sono stati fatti approfondimenti investigativi per appurare la veridicità di quanto pronunciato dagli indagati. Certo è che l’intera vicenda – a partire dalla ricerca del responsabile – si sarebbe svolta in un periodo in cui le quote della società proprietaria della discarica ormai dismessa erano formalmente passate sotto il controllo del tribunale di Catania.