Forum con Massimo Midiri, rettore dell’ateneo palermitano. Dopo gli anni dedicati al risanamento dei conti, tocca agli investimenti. Come integrare l'Università con la città, aiutandone l'economia
Massimo Midiri, laureato in Medicina e Chirurgia, è professore ordinario di Diagnostica per immagini al Dipartimento di Biomedicina, Neuroscienze e Diagnostica avanzata dell’Università di Palermo. Inoltre, è direttore del Dipartimento assistenziale integrato di Radiologia diagnostica, interventistica e stroke del Policlinico Paolo Giaccone di Palermo. È stato presidente della Società italiana di radiologia medica dal 2017 al 2020. Eletto Rettore dell’Università di Palermo a luglio 2021, guiderà l’Ateneo dal prossimo 1 novembre.
Intervistato dal presidente Filippo Anastasi, il rettore dell’Università di Palermo, Massimo Midiri, risponde alle domande del QdS.
Il risanamento dei conti dell’Università di Palermo ha inciso, negli ultimi due Rettorati, sulle politiche di rilancio dell’Ateneo. Lei come immagina il futuro?
“Dopo gli anni di risanamento, il mio mandato deve essere quello degli investimenti. Il rilancio dell’Università di Palermo si basa sul numero degli iscritti e sull’evitare l’emorragia continua degli studenti verso le lauree magistrali fuori dal nostro territorio. Infatti, l’ultimo anello della formazione che parte dell’asilo, con un investimento economico della comunità, è quello della laurea magistrale che dovrebbe collegare l’Università al mondo del lavoro. A Palermo si vede, invece, che buona parte dei ragazzi decide di andare fuori perché considera meglio spendibile il titolo di laurea conseguito a Milano, a Roma, alla Luiss, al Politecnico. Il primo elemento su cui intervenire è la riformulazione dell’offerta formativa, che deve essere studente-centrica, ovvero quello che i ragazzi si aspettano di trovare in un Ateneo moderno ed europeo. Oltre ad ascoltare i ragazzi, occorre avere contatti anche con gli stakeholder per il collegamento dell’Ateneo con il territorio, perché è da lì che provengono le esigenze specifiche di questa terra. Non si tratta solo di un problema culturale specialistico di formazione professionale, ma di offrire una crescita culturale che solo l’integrazione dell’Università con una città può realizzare”.
L’Università, oggi, può seguire questa via?
“Per far funzionare il collegamento dell’Università con il territorio, innanzitutto, occorre recuperare la specificità dei poli periferici per arrivare a creare l’Università della Sicilia occidentale. Personalmente, immagino l’Ateneo di Palermo come hub e i poli come spoke, con capacità di offerta formativa identica nella qualità rispetto alla sede entrale. Abbiamo la responsabilità etica e morale di formare ragazzi dai 18 ai 24 anni nella loro crescita di cittadini consapevoli. Per far questo, non occorrono soltanto aule moderne, ma bisogna pensare a tutto ciò che sta intorno alla lezione, come biblioteche, spazi verdi ed eventi socializzanti di tipo teatrale, cinematografico, sportivo. Vorrei recuperare la dimensione del campus americano, dove c’è un mondo interessante fuori dalle aule”.
Come pensa di integrare l’Università con la città?
“Noi abbiamo una struttura multi campus con il Policlinico, le sedi di via Archirafi, via Maqueda, viale delle Scienze. Tutti questi edifici insistono in quartieri che dovrebbero ricevere un impulso fecondo e positivo da UniPa, che non deve essere isolata e autoreferenziata. Chi vive in questi quartieri, per esempio, dovrebbe poter partecipare alle manifestazioni culturali organizzate dall’Ateneo e dovrebbe usufruire della biblioteca. Palermo merita una crescita collettiva e UniPa ne diventa il primo attore”.
Com’è stato vissuto il distanziamento sociale per il Covid dagli studenti?
“Da un lato l’esperienza è stata vissuta come un’occasione comoda per non spostarsi nelle Facoltà; dall’altro gli studenti ci hanno chiesto di tornare in aula in presenza. E anche la vicenda del green pass va letta in questo senso, perché è un modo per permettere a tutti gli studenti, docenti e personale che ci circonda di tornare a vivere una socialità che fa crescere”.
In che modo UniPa può aiutare la crescita economica della città?
“Un Ateneo non può modificare l’assetto industriale o macroeconomico del territorio, però può supportarlo nel fare impresa e nel convincere i ragazzi a lasciare i brevetti in Sicilia. Tra le iniziative, penso al rilancio del consorzio Arca. Oggi si devono intercettare i temi della transizione ecologica e di quella digitale con idee innovative. Così, penso sia importante avere partner di calibro interazionale tra i soci di Arca per avere gli strumenti in grado di fare impresa in chiave e europea e di creare occupazione. Sarebbe fondamentale creare anche un’Anagrafe delle imprese per raggiungere l’obiettivo di conoscere le potenzialità del territorio, favorendo una spinta alla sua economia. Sto maturando, per esempio, l’idea di inserire nel cda un imprenditore che dia indicazioni, dentro la genesi di idea di governo del rettore, anche nell’ottica del miglioramento del rapporto dell’università con il mondo del lavoro”.
A cosa servirebbe l’Anagrafe delle imprese?
“L’anagrafe delle imprese dovrebbe contenere le aziende siciliane, nazionali ed estere di rilievo. Servirebbe a realizzare gli stage degli studenti dell’ultimo anno delle magistrali per creare un punto di collegamento con il lavoro grazie anche a finanziamenti offerti dall’università. Dobbiamo portare lo studente che s’iscrive ad UniPa a pensare che l’ateneo si occupa, oltre che dei suoi studi, anche del suo futuro lavorativo”.
Per la realizzazione dei suoi progetti, ci saranno cambiamenti dal punto di vista organizzativo?
“Poiché dobbiamo rispondere a notevoli complessità, dobbiamo migliorare il governo dell’Università e ho ritenuto, mutuando questa idea da atenei del Nord, di modificare lo statuto, aumentando i pro-rettori da quattro a otto. I pro-rettorati si occuperanno di salute e benessere lavorativo; diritto allo studio e innovazione dei processi di apprendimento; terza missione, pianificazione strategica e cooperazione con il territorio; vivibilità e benessere lavorativo; didattica e internazionalizzazione; qualità sviluppo e rapporti con i dipartimenti; ricerca, trasferimento tecnologico e rapporti con l’amministrazione; inclusione, pari opportunità e politiche di genere; edilizia e valorizzazione del patrimonio architettonico”.
Come si trasformeranno in realtà queste idee?
“Per ogni pro-rettorato ci saranno uffici corrispondenti ed esperti che dovranno occuparsi di tradurre l’idea in progetto. Aumenteremo, per esempio, anche le aree dirigenziali nella didattica, nella ricerca e nella terza missione. Io immagino anche ambulatori per la prevenzione di patologie come diabete, ipertensione, malattie sessualmente trasmissibili. Siamo una popolazione di 45 mila persone e lo studente che viene da noi deve sapere che l’Ateneo non si occupa soltanto della sua formazione, ma anche del suo vivere di studente. Penso a una di cabina di regia di delegati del mondo delle professioni e delle imprese che affianchino i pro-rettori per un confronto più ampio e per dare un impulso maggiore al governo del rettore”.
Ci sono altre modifiche in cantiere sullo statuto?
“Un’altra modifica sarà quella della decadenza automatica del mandato del rettore che decide di presentarsi a una competizione elettorale. Questo è un mestiere che si deve portare a compimento nei sei anni di mandato che gli elettori hanno consegnato. Con la politica, si deve dialogare per intercettare e proporre soluzioni per i bisogni della comunità, ma non bisogna confondere i ruoli”.
Come pensa di riuscire a migliorare l’ospitalità degli edifici dell’Università?
“Ho in mente diverse idee sulla sostenibilità. Penso, per esempio, all’efficientamento energetico dei plessi che ci permetterebbe di risparmiare quattro milioni l’anno di energia elettrica per poterli destinare ad altro. Vorrei sostituire la plastica con l’utilizzo dei distributori d’acqua e vorrei creare navette ecologiche per lo spostamento tra i plessi. Sarebbe interessante anche uno spazio commerciale con il brand di UniPa per gadget e per prodotti che si creano all’interno dei nostri campi sperimentali. L’altro tema è quello dell’internazionalizzazione”.
In che modo pensa di attrarre studenti di altri Paesi?
“Occorre costruire un’ospitalità a 360 gradi. Oggi non ci cono residenze universitarie per studenti stranieri e l’idea è quella di utilizzare le caserme in disuso. Ho già avuto interlocuzioni in tal senso con l’esercito. Le Caserme non più utilizzate che sono vicine al perimetro universitario, sono recuperabili come alloggi e hanno ampi spazi all’aperto che ci consentirebbero di realizzare mini campus nell’ottica anche di ospitare eventi di scambi culturali”.
E i ragazzi locali che escono dai licei?
“Rafforzeremo il Cot, Centro orientamento e tutorato, al fine far conoscere ai giovani le potenzialità della nostra Università”.
Il processo di informatizzazione ha già raggiunto un livello sufficiente?
“Potenzieremo l’informatizzazione con un portale ammodernato secondo le esigenze degli studenti. Non vogliamo più assistere a lunghe code per richiedere servizi che si possono ottenere con la digitalizzazione”.