La nostra intervista in esclusiva a Maria Cristina Messa, ministro dell'Università e della Ricerca. “Quella che ripartirà dal prossimo anno accademico sarà diversa da come l’abbiamo sempre conosciuta”
ROMA – Mercato del lavoro in continuo mutamento e messo a dura prova dai colpi inferti dalla pandemia, università troppo chiusa su se stessa e formazione non sufficientemente orientata verso le cosiddette professionalità del futuro. Come uscire dall’impasse? Ne abbiamo parlato con Maria Cristina Messa, ministro dell’Università e della Ricerca (Mur).
Ministro, in un’intervista pubblicata qualche giorno fa su Italia Oggi, Roberto Di Lauro, fondatore di Life Learning (una piattaforma di formazione on line) ha detto che “le aziende sono sempre più alla ricerca di competenze scientifiche che difficilmente vengono formate all’interno dei percorsi di studio accademici”. È davvero così?
“Occorre che il sistema nazionale della formazione superiore e della ricerca si allinei alle esigenze di fornire all’economia e all’intera società il diffuso accesso a competenze avanzate e a una cultura scientifica aperta e dinamica. Dovremmo ripartire cercando di ridare forza al capitale umano in tutte le varie attività. Oggi servono competenze e conoscenze variegate, da quelle più semplici del diplomato a quelle, invece, più complesse e articolate di un dottorato di ricerca. Sicuramente, in Italia abbiamo un largo margine per colmare i gap rispetto alla media europea o a Paesi come Francia e Germania su laureati e dottorati di ricerca”.
Di Lauro dice anche che è fondamentale una formazione tecnica che contempli il lavoro “sul campo” ma aggiunge anche che la formazione on line non deve essere demonizzata. In quale misura, secondo lei, questi due aspetti devono coesistere nel percorso formativo dei giovani?
“L’emergenza che abbiamo attraversato e che stiamo ancora vivendo ha, da una parte, messo ancora più in evidenza divari, criticità, insufficienze che, come Paese, accumuliamo da anni e, dall’altra, contribuito ad accelerare processi e cambiamenti che erano appena avviati. Di certo l’Università del futuro, quella che partirà con il prossimo anno accademico, sarà diversa da quella che abbiamo finora conosciuto. Penso a un’università più aperta, in grado di recuperare una dimensione più internazionale dopo anni nei quali la tendenza è stata quella di chiudersi troppo su se stessa. La digitalizzazione, la possibilità di accedere a corsi a distanza, combinata con riforme normative a cui il ministero sta lavorando, possono agevolare la flessibilità e la mobilità di studenti, ricercatori, professori. Così l’università potrà essere davvero volano di ripresa economica e sociale e di circolazione di conoscenze”.
Una cosa è certa: il mercato del lavoro è in continuo mutamento. Il mondo accademico si è adeguato a questi mutamenti? L’Università italiana è in grado di preparare i giovani a quelle che l’Ue ha definito le professionalità del futuro?
“Come detto, occorre che i percorsi della formazione superiore soddisfino sempre più adeguatamente il fabbisogno di competenze espresso, oggi, dal mercato del lavoro. Per questo, ciò che stiamo facendo è avviare un percorso di cambiamento che parta dall’analisi e dall’ascolto di ciò che la pubblica amministrazione, le aziende, il settore produttivo chiedono e prevedono per il futuro. Abbiamo chiesto ai vari Ministeri competenti, da quello per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale a quello della Transizione ecologica, a quello della Pubblica amministrazione, le figure di cui avranno bisogno per portare avanti, negli anni, le politiche che stiamo promuovendo. Da qui partiremo per rivedere anche l’offerta di corsi universitari. E stiamo dando concretezza ad alcune riforme avviate nei mesi scorsi e pensate per garantire delle competenze interdisciplinari e una maggiore flessibilità dei percorsi di studio per quanto attiene alle attività formative affini o integrative, poiché sempre di più alla conoscenza tecnica si affianca la necessità di saper gestire, mediare e risolvere problemi”.
Come immagina l’Università del futuro?
“L’università che ripartirà dovrà ideare modalità di insegnamento blended, in presenza e a distanza, volta a formare studenti in modo più completo e agevole per loro. Immagino un’Università molto attenta nel dare un ambiente che sia compatibile con ciò che vogliamo oggi, con un’attenzione agli spazi, al verde, al digitale e alla sostenibilità ambientale. L’Università è pronta a essere vissuta in presenza e a costruire un modello inclusivo e innovativo che parta dalla trasformazione digitale ed ecologica. La immagino anche un’Università pronta a interagire sempre di più con il mondo produttivo, con una spinta alla mobilità e all’internazionalizzazione. Il Covid ci ha mostrato che i confini non esistono; l’Università deve ritrovare questa sua dimensione che ha sempre avuto, ma che forse ha rischiato di perdere”.
L’Italia sconta decenni di mancati investimenti nella ricerca. Quali opportunità ci offre il Recovery Fund sotto il profilo delle risorse messe a disposizione?
“La tragedia Covid ha riportato al centro dell’attenzione pubblica la ricerca come un elemento centrale nella vita dei cittadini. Per il mondo della ricerca questo potrebbe essere davvero un momento di svolta. Dobbiamo essere onesti e bravi nel non perdere questo momento particolare, facendo capire in modo molto concreto, puntuale e trasparente a cosa portano gli investimenti in ricerca. Vista l’assoluta singolarità, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può rappresentare davvero una svolta per il Paese. Può esserlo, però, solo se ne definiamo correttamente i confini: il Piano è stato concepito come un “piattaforma temporanea”, un insieme di iniziative finalizzate, nell’orizzonte di tempo in cui si svolgono, a generare un incremento di potenziale e di competitività che si possa, terminato il piano, sostenere nel tempo. Anche le modalità di supporto finanziario sono fortemente legate alla temporaneità del Piano: dopo uno stanziamento iniziale che copre una parte minore dei costi complessivi associati alle varie iniziative approvate, si procederà per gradi di avanzamento. Anche in ragione della sua temporaneità, quindi, il PNRR non è l’unico strumento a disposizione del sistema della ricerca per consentire azioni, ancora più durature, di sviluppo: esso dovrà prevedere azioni complementari, inserendosi in un’ottica di sistema, in un quadro che prevede, fortunatamente, anche altri strumenti”.
Sul fronte degli investimenti del Next Generation EU destinati a Università e ricerca, quali sono i punti prioritari su cui dovrà reggersi il recovery plan? Ha avanzato proposte concrete?
“Dobbiamo potenziare la formazione terziaria per renderla più funzionale alle transizioni individuate come prioritarie dalla Commissione Europea: green deal, digitale e resilienza sociale e culturale. In questa direzione vanno le iniziative pensate per aumentare l’attrattività e l’accesso equo sul territorio al sistema di ricerca e università come studentati, campus, borse di studio e un migliore sistema di orientamento più attivo e integrato già dalla scuola secondaria. Parlando di ricerca, dobbiamo renderla più collaborativa e competitiva con le filiere dell’Europa e degli altri Paesi dell’Unione. Penso a iniziative relative ai programmi di ricerca che dovranno coinvolgere a livello sempre più alto giovani e donne sia in forma individuale che coordinata. Nel PNRR una parte specifica è riservata al potenziamento delle infrastrutture di ricerca europee e alla realizzazione di nuove infrastrutture di ricerca aperte all’ingresso di capitale privato in forma di partenariato pubblico-privato”.
Curriculum vitae
Classe 1961, Maria Cristina Messa nasce a Monza. Laureata in Medicina e Chirurgia con specialità in Medicina Nucleare, è professore ordinario di Diagnostica per immagini.
Dal 2013 al 2019 è stata rettore dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, prima donna alla guida di un ateneo milanese.
Impegnata nella valorizzazione della ricerca e dell’innovazione come fondamento strategico dell’attività istituzionale, durante il suo mandato ha dedicato particolare attenzione ai rapporti tra Università e territorio a livello internazionale.
Dal 2011 al 2015 è stata vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Ha una lunga esperienza nella ricerca sperimentale in Diagnostica per Immagini, Medicina Nucleare, Scienze Radiologiche, con particolare riguardo alle trasformazioni neurodegenerative e neoplastiche.
Maria Cristina Messa è autore di più di 180 lavori scientifici. Le sue pubblicazioni hanno ricevuto più di 6 mila citazioni, con una media di più di 300 citazioni per anno negli ultimi 15 anni, inclusi i lavori scientifici con più di 110 citazioni. Nel 2014 ha ricevuto il premio Marisa Bellisario, “Donne ad alta quota”.
quello che ho scritto è scmparso – grazie e arrivederci Manuela Alboreto