Nei giorni pasquali ho approfittato di un po’ di tempo libero per rileggere alcuni pensieri dei Grandi del passato, che rischiarano, con la loro intelligenza, la nostra vita di tutti i giorni. Fra questi, ho letto alcuni brani del Dizionario della Saggezza di Michel de Montaigne, con pensieri illuminanti circa la cessazione della nostra vita terrena, quella che comunemente si chiama morte.
Se ci fa paura, essa può diventare un tormento continuo perché: “Incombe su di noi come il martello di Tantalo”. Se essa sta sempre con noi, non possiamo vivere bene, in quanto ci peserà come un macigno e non riusciremo a goderci il presente, cioè quello che stiamo vivendo, troppo distratti/e dal futuro. Per superare tale paura il primo passo è cercare di comprendere la morte.
C’è chi dice che insieme al momento della nascita, vi sia anche quello determinato della stessa. Proprio per questo dobbiamo utilizzare al meglio il tempo in cui viviamo e godere in esso la “Normalità”, oltre che tentare di mantenere una buona salute, sapendo che non c’è successo che tenga perché comunque il punto finale arriverà.
L’appuntamento non può essere procrastinato, almeno così sembra, tuttavia dobbiamo vivere con prudenza e accortezza per evitare i pericoli che incontriamo ogni momento e migliorare la qualità della vita.
Pur sapendo che vi è un termine, fissato o meno, dovremmo avere la consapevolezza che possiamo morire un momento dopo e, comunque, progettare come se pensassimo di vivere mille anni o più, a qualunque età.
Per questo dovremmo allontanare la paura di un momento inevitabile, avendo cognizione che comunque il nostro spirito continuerà, pur non sapendo né come né dove.
Bisogna essere preparati/e a morire e, quindi, vivere con un certo distacco dalle comodità e da tutte le cose, anche belle, che siamo abituati/e a godere, cercando però di goderle il più possibile. A Socrate dissero: “I trenta tiranni ti hanno condannato a morte”. Egli rispose: “La Natura ha condannato loro”. Il grande filosofo sapeva bene cos’era la morte e vi andò incontro con serenità perché non poteva e non voleva ripudiare tutto ciò che aveva insegnato ai suoi discepoli e in cui credeva fermamente.
Vivere bene, il meglio possibile, non contando su agiatezze e ricchezze, ma sulla cosiddetta “Normalità”. È un modo per non morire prima di morire e per vivere senza ansia nel momento in cui ognuno di noi cesserà.
Quanto dispiacere mi fanno tante persone che vanno in pensione e non fanno più nulla, cioè di fatto cessano di vivere e anticipano il momento della tumulazione. Costoro non sanno che l’utilità della vita non è la sua durata, ma la sua qualità.
Non sembri un nonsenso pensare che, tutto sommato, la fine diventa più agevole se non vi è stata paura della stessa, perché dobbiamo esaltare il nostro spirito e mai conversare del nulla, cioé senza contenuti.
Le considerazioni che precedono non debbono rattristarci, ma metterci in una condizione di, ripetiamo, serenità. Guai a non mettere a confronto tutto l’esistente che noi conosciamo con quella parte dell’esistente che non conosciamo, ma che possiamo intuire non solo col nostro istinto ma anche con le numerose letture che ci possono illuminare e farci capire quello che vediamo e quello che non vediamo.
Ricordate ‘A livella, la storia che inventò Antonio De Curtis, in arte Totò? Significativa e molto precisa contro la presunzione estesa delle persone umane, che si credono qualcosa perché discettano di qualcosità. E non sono neanche qualcuno se pensassero che alla fine il corpo cessa comunque e in ogni caso. Noi aggiungiamo che un luogo di livellamento per tutti i viventi, principi/principesse o plebei, è anche la toilette.
Pensare alle piccole cose di tutti i giorni ci aiuta ancora una volta a tenere conto della “Normalità”, che dovremmo apprezzare di più, mentre molti/e si esaltano a pensare a cose secondo loro grandi, ma che in effetti sono piccole. Questo illusorio comportamento è alimentato dallo smartphone, che fa vedere mondi irreali, i quali alimentano desideri sproporzionati. Ecco perché bisogna avere il senso della realtà e della concretezza, pur non castrando l’immaginazione.