Eni, Enel, Terna e Poste sono solo alcune tra le eccellenze italiane. Ma ancora troppe le “scatole vuote”. 496 su 7.969 inattive e con zero addetti
PALERMO – Partecipate pubbliche protagoniste del RepowerEu. È il sogno “realizzabile” del nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che proprio qualche giorno fa ha riunito a Palazzo Chigi i ministeri competenti e gli amministratori delegati dei quattro colossi pubblici dell’energia (Claudio Descalzi per l’Eni, Stefano Donnarumma per Terna, Francesco Starace per l’Enel e Stefano Venier per Snam) per avviare un confronto sul nuovo capitolo da inserire nel Pnrr relativo al RepowerEU, il Piano europeo per fronteggiare le difficoltà del mercato energetico globale causate dalla guerra in Ucraina e aggiornare così il Recovery, in modo da rispettare la deadline fissata dall’Europa.
Un atto di fiducia da Meloni nei confronti di quelle che sono considerate alcune tra le eccellenze italiane, e non solo nel campo dell’energia. Alcune, per l’appunto.
Accanto ai “gioielli”, fiore all’occhiello del tessuto produttivo italiano, infatti, ci sono anche le “zavorre”: una galassia di enti a partecipazione pubblica che vivacchiano senza produrre o che, peggio ancora, restano in piedi anche se ridotte a contenitori vuoti, senza neanche un addetto al suo interno.
Dagli ultimi dati Istat (relativi all’anno 2020) pubblicati nel report “Le partecipate pubbliche in Italia”, si evince infatti che le “zavorre” di cui sopra sono ancora troppe.
Basta un numero per confermarlo: il 6,2 per cento delle 7.969 partecipate pubbliche presenti nella nostra Penisola – che tradotto in valore assoluto equivale a 496 unità – ha zero addetti.
A fronte di una produttività in calo, l’Istituto nazionale di Statistica rileva un aumento del numero degli addetti, passati dagli 895.075 del 2019 ai 908.571 del 2020.
Se guardiamo solo ai dipendenti, dal rapporto emerge una retribuzione media (lorda) di 37.563 euro a fronte di un costo del lavoro (a carico delle suddette partecipate) che ammonta complessivamente a 29,6 miliardi di euro – dato che si ottiene moltiplicando il numero dei dipendenti che l’Istat ci ha fornito, vale a dire 556.716, per il costo del lavoro per dipendente, pari a 53.181 euro. Una cifra non certo irrisoria.
A fronte del fatto che il costo del lavoro per dipendente rimane pressoché stabile (53.410 euro del 2019 contro i 53.181 del 2020) diminuisce (e non di poco) il valore aggiunto per addetto: dai 104.681 euro del 2019, l’anno successivo si scende infatti a 94.916 euro, con un decremento del 9,3 per cento che in termini assoluti vuol dire quasi 10.000 euro in meno.
Cresce il numero di imprese controllate dal Mef: +3,7%
Il report individua 3.448 imprese attive a totale controllo pubblico, dove sono impiegati 582.669 addetti, vale a dire mediamente 169 addetti ad impresa. Fra queste, 2.272 appartengono a gruppi che hanno al vertice un’unica amministrazione pubblica, occupano 490.477 addetti e hanno una dimensione media di 216 addetti.
Le 336 imprese sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze incidono sulle oltre 3.400 imprese in esame per il 9,7 per cento ma impiegano 309.000 addetti: il 53,1 per cento del totale. Un addetto su due delle imprese a controllo pubblico è quindi sotto il Mef. Attraverso il controllo diretto o indiretto esercitato sui grandi gruppi, il Ministero dell’economia e delle finanze rimane il soggetto controllante di maggiore rilevanza in termini di occupazione. Il numero di imprese controllate dal Mef cresce del 3,7%, ma si riduce la loro dimensione media (920 addetti contro i 962 del 2019).
Il numero più cospicuo di imprese a controllo unico invece appartiene a province, città metropolitane e comuni: 1.488 su 3.448, ovvero il 43,2 per cento delle controllate pubbliche. Un dato inferiore all’anno precedente dove si contavano 1.570 imprese con quasi 132.000 addetti. Se il numero delle imprese controllate da province ed enti locali diminuisce, ad aumentare è quello degli addetti: 134.161, con un’incidenza pari al 23% del totale e una dimensione che in media si attesta a 90 addetti (era 86 nel 2019).
Nel 2020 (primo anno di crisi dovuta alla pandemia da Covid-19), le imprese a controllo pubblico hanno generato oltre 52 miliardi di valore aggiunto, con un crollo del 9,4 per cento rispetto al 2019. Il valore aggiunto per addetto è sceso a 94.916 euro (era 104.681 nel 2019). Questo valore – sottolinea l’Ista – è “fortemente influenzato dal settore della Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata, in cui si concentrano le grandi aziende di Stato” poiché “al netto di tale settore, la produttività delle controllate pubbliche diminuisce fino a 67.256 euro”.
Circa duemila sono concentrate in 3 Regioni
I dati Istat contenuti nel report sulle partecipate pubbliche in Italia rivelano che negli ultimi anni il numero di imprese attive a partecipazione pubblica si è ridotto notevolmente, con una flessione del 25,8 per cento rispetto al 2012. Tra il 2019 e il 2020, in particolare, la riduzione è del 2,7 per cento, con variazioni che oscillano a livello di ripartizione territoriale tra il -4,2 per cento del Sud e il -1,3 per cento del Nord-est.
Analizzando i dati regionali, il primo posto spetta alla Lombardia, che ha all’attivo 981 imprese partecipate. Seguono Lazio (594) ed Emilia-Romagna (496).
Quanto al numero di addetti, a discapito di quanto si potrebbe pensare, non è il Mezzogiorno l’area della Penisola a detenere il primato: qui lavorano appena 78.000 dei quasi 869 mila addetti. Sono, piuttosto, le regioni del Centro Italia ad avere la maggiore concentrazione di addetti (411.000, ovvero il 47,3 per cento del totale), con in testa il Lazio – prima a livello nazionale con i suoi 350.000 addetti.
In questa area, la dimensione media delle imprese partecipate è di 310 addetti. Il valore è fortemente influenzato proprio dalle 594 partecipate localizzate nel Lazio (nonostante il decremento del 3,1 per cento rispetto al 2019) che presentano una dimensione media di 590 addetti.
Nelle regioni settentrionali sono invece impiegati 380.000 addetti, 149.000 dei quali si trovano nella sola Lombardia che, dopo il Lazio, ha il secondo numero più alto di addetti a livello nazionale, seguita al terzo posto dal Piemonte (85.812 addetti).
Nelle 237 imprese partecipate attive in Sicilia lavorano quasi 20.000 unità. Un totale che, diviso per il numero di imprese, equivale a una media di 84 addetti per ciascuna di esse, un dato ben al di sotto della media nazionale che si attesta a 155 addetti.
5.622 sono ancora attive, a prevalere le “Srl”
Il report elaborato dall’Istat sulle 7.969 unità economiche partecipate dal settore pubblico presenti nel Belpaese attesta che più della metà di esse – 4.312 per la precisione – hanno una quota di partecipazione pari o superiore al 50 per cento e 2.249 (il 28,2 per cento) hanno una quota al di sotto del 20 per cento, mentre quelle in cui la quota si attesta tra il 20 e il 50 per cento costituiscono la fetta più piccola (17,7 per cento).
Su quasi 8.000 partecipate pubbliche, 5.622 sono costituite da imprese attive operanti nel settore dell’industria e dei servizi, il 61,3 per cento delle quali sono “controllate”, vale a dire partecipate da soggetti pubblici per una quota di partecipazione superiore al 50 per cento.
Nel dettaglio, quello delle attività professionali, scientifiche e tecniche si conferma il settore di attività economica con il maggior numero di imprese attive partecipate (14,5 per cento), seguito dai settori relativi a fornitura di acqua, reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento (12,7 per cento) e a fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (11,5 per cento). Medaglia di legno per il comparto trasporto e magazzinaggio (10,7) mentre istruzione e sanità si fermano rispettivamente al 2,2 e al 2,1 per cento.
Quanto alla forma giuridica, le imprese partecipate organizzate in società a responsabilità limitata sono le più rappresentative (43,9 per cento), seguite da società per azioni (31,3 per cento), consorzi di diritto privato e altre forme di cooperazione tra imprese (18,6 per cento) e società cooperative (3,7 per cento).