Perché insegnare storia è considerato un pericolo - QdS

Perché insegnare storia è considerato un pericolo

Perché insegnare storia è considerato un pericolo

Salvo Fleres  |
mercoledì 15 Novembre 2023

La storia, purtroppo, si insegna poco e male, e l’educazione civica, quasi, non si insegna affatto

Qualche tempo addietro, mentre chiacchieravo con un amico al fresco del suo albero di cedro, quasi all’unisono, è scaturita una comune considerazione, nata da una domanda retorica che si siamo fatti: ma dove sono i politici di una volta?
Non ci sono, ci siamo detti, né ci sono i loro eredi, vale a dire coloro i quali dovrebbero aver preso il testimone, che gli è stato lasciato dai più nobili predecessori per andare avanti, certo in situazioni diverse, ma lungo la stessa corsia democratica.
Il discorso posto in questi termini, probabilmente, appare monco, quindi provo ad essere più esplicito con qualche esempio, per chiarire come mai nessuno abbia ritenuto di dover raccogliere quell’importantissimo testimone.

A mio avviso questo è accaduto perché nessuno ha ben spiegato alle generazioni successive chi fossero quei predecessori e cosa avessero fatto per tutti noi durante la loro vita.
Nessuno, o pochi, infatti, e parlo soprattutto della scuola, si è preoccupato di illustrare adeguatamente ai giovani di oggi chi fossero i La Malfa, i Berlinguer, i Moro, i De Gasperi, gli Ingrao, i Lombardi, i Nenni, i Malagodi, gli Almirante o, nell’importante campo sindacale, i Lama, i Vanni, i Carniti, ecc.
Come dovrebbero fare a capire la differenza abissale che c’è tra i politici ed i sindacalisti appena citati e quelli attuali, se nessuno glielo spiega?
Come dovrebbero fare, le giovani generazioni, a comprendere che una cosa è battersi per la libertà dei popoli ed altra cosa è battersi per la libertà di infettare, se nessuno si sofferma ad illustrare per bene la storia d’Italia e la storia in generale?
Come dovrebbero fare le generazioni odierne a comprendere che una cosa è battersi per il diritto al lavoro ed altra cosa è mendicare un sussidio di stato, per restare a non fare nulla o a fare lavori in nero?
Come dovrebbero fare, le giovani generazioni, a capire che una cosa è scrivere la Costituzione italiana e battersi perché il popolo intero la condivida ed altra cosa è fare le conferenze stampa notturne, dettando comode “regole d’ingaggio”?

Una cosa è sforzarsi di generare politiche capaci di produrre crescita e sviluppo per tutti, altra cosa è adottare scelte aventi effetti elettoralistici per alcuni, magarti a carico del debito pubblico che pesa su tutti.

Capire ciò che siamo e come ci siamo arrivati, senza capire il percorso che è stato compiuto e quali sono stati i protagonisti dei vari passaggi è molto difficile, forse addirittura impossibile, ma forse comodo.

Tuttavia, ad esempio, solo così possono comprendersi, ma non giustificarsi affatto, le follie di chi, con un fotomontaggio, sostituisce la lugubre frase “Arbeit macht frei”, che campeggiava sui cancelli dei campi di concentramento tedeschi, con la frase “andrà tutto bene”, riferita al Covid.

La storia, purtroppo, si insegna poco e male, e l’educazione civica, quasi, non si insegna affatto, proprio perché forse bisogna rendere difficile la possibilità di fare paragoni tra ciò che è stato, nel bene e nel male, e ciò che è, soprattutto in termini di competenza e di lungimiranza.

I paragoni con chi agisce oggi, oppure con chi ha agito meglio ieri, fanno male, non servono a prendere voti, semmai fanno correre il rischio di perderli e questo i politicanti dei nostri tempi lo sanno benissimo.
In casi del genere la società civile si indigna, chiede conto, prova a capire meglio la situazione, studia, e reagisce.

Ma se nessuno ha spiegato alla cosiddetta società civile cosa sia l’indignazione e la conseguente reazione, anzi, si è fatto in modo di scambiare l’indignazione con l’invidia sociale, come si potranno mai capire i fatti, comprendendone le dinamiche, le ragioni e la loro contestualizzazione?

Insomma, la cattiva conoscenza della storia o la sua interpretazione faziosa, non serve alla crescita civile, non serva a migliorare la qualità della vita, non serve a sviluppare l’economia e l’occupazione, serve invece a chi non ha voglia di dare giustificazioni delle scelte che compie, a chi preferisce agire senza spiegare ed a imporre, senza passare per le più comuni regole della democrazia.

Tag:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017