Con la sua Piccola cucina sta diffondendo i sapori della nostra Isola negli Usa
La qualità delle materie prime per una cucina casalinga ma raffinata
Chi
Philip Guardione, 41 anni, dopo essersi diplomato in Sicilia ha fatto esperienza in importanti cucine stellate. Ha una moglie e due figlie.
Dove
New York City, la Grande Mela. Una città sempre in movimento e che cambia continuamente pelle, anche grazie alle tante etnie che la popolano.
Meno hamburger e più maccheroncini alla norma, meno patatine fritte e più insalate con arance e finocchi. A New York il modo di mangiare sta cambiando e con esso anche l’idea di cucina italiana, ormai quasi un sinonimo di sicilianità. Il merito è anche di Piccola Cucina e del suo executive chef-manager Philip Guardione, 41enne nato a Francavilla di Sicilia ma cresciuto a Catania, che nel giro di pochi anni sembra essere riuscito quasi a educare i palati degli abitanti della Grande Mela.
Quando lo raggiungiamo telefonicamente ha quasi il fiatone: sono le ore 20 italiane, le 14 in quella parte degli Usa, e il suo ristorante di Park Avenue, nei pressi dell’angolo Sud-Est di Central Park, è giunto quasi al termine del servizio del pranzo, quando i dipendenti dei numerosi uffici situati in zona si fermano prima di ricominciare a lavorare. “La gente – spiega – qui può permettersi una pausa di quindici, venti, massimo trenta minuti. Quindi abbiamo necessità di far girare i tavoli molto velocemente. Quelle del lunch sono ore di fuoco”.
Ma il lavoro sodo non ha mai spaventato Philip, che prima di arrivare negli Stati Uniti ha accumulato numerose esperienze in giro per l’Europa. Dopo aver frequentato l’Istituto alberghiero Giovanni Falcone di Giarre, in provincia di Catania, ha accumulato tanta esperienza all’interno di cucine prestigiose e stellate tra cui quelle del Milano Four Seasons Hotel – sotto la guida dello chef Sergio Mei – e quelle di Parigi, nei ristoranti Il Carpaccio e Le Taillevent. Poi, il salto oltreoceano. “A New York arrivai nel 2007 – racconta – quando avremmo dovuto aprire un locale con un imprenditore italiano. Poi ci fu la crisi del 2008 e quel progetto iniziale fallì. Così decisi di mettermi in gioco per conto mio. Soprattutto all’inizio, però, non è stato facile”.
Guardione ci racconta dei suoi primi anni a New York e di un inizio molto complicato. Le difficoltà ad ambientarsi in un ambiente professionale completamente nuovo, la necessità di proporre sempre qualcosa di nuovo per non venire sopraffatto da una concorrenza sempre più agguerrita. Ma con il tempo e tanta caparbietà, le soddisfazioni sono arrivate.
Il primo locale fu quello di 184 Prince, una location che oggi non esiste più. “Adesso – spiega Guardione – abbiamo tre sedi a New York e una in Montana, a dieci minuti da una delle entrate del Parco di Yellowstone. Ci stiamo allargando cercando di diversificare il più possibile la nostra offerta. Il filo conduttore è sempre la sicilianità, ma diamo la possibilità alla gente di provare sempre esperienze nuove”.
Ciò che non può mai mancare è la qualità delle materie prime, in una connessione con la tradizione siciliana che alla lunga si è rivelata un’arma straordinaria. “La mia unica alternativa per competere nella realtà newyorkese – spiega Guardione – è puntare sulla qualità dei prodotti. Quando sono arrivato ho iniziato con una cucina un po’ più gourmet, perché venendo da un’esperienza tre stelle Michelin a Parigi la mia intenzione era quella di creare una proposta molto ricercata. Poi ho aggiustato il tiro e ho puntato sulla mia tradizione, ma senza dimenticare le tecniche. Per esempio, proponiamo delle polpettine di carne di cavallo con a fianco dei pop corn di quinoa: qualcosa di gustoso ma capace anche di incuriosire e stuzzicare la gente dal punto di vista estetico”.
E così i newyorkesi, al posto di spaghetti con polpette, chicken parmesan e pasta Alfredo hanno iniziato a mangiare arancini, maccheroncini alla norma, pasta con le sarde o al nero di seppia. “Siamo ancora in pochi a fare queste cose – spiega Philip Guardione – e a lavorare le materie prime in un certo modo, portandole con grande attenzione sul piatto dei clienti. Non abbiamo nulla in busta. Anche i ravioli li facciamo noi a mano. Posso dire, con un pizzico di presunzione, che forse abbiamo dato più noi a New York di quanto lei abbia dato a noi, perché dietro l’alimentazione c’è anche salute e noi stiamo attenti a curare ogni piccolo particolare”.
Ed è proprio l’attenzione a ogni dettaglio che ha fatto di Piccola cucina uno dei locali più gettonati di Manhattan. “Vogliamo continuare a migliorare – conclude Philip – quello che stiamo facendo. Lavoriamo su cambiamenti strutturali al locale, perché il livello della clientela si sta alzando sempre di più, e intendiamo spingere maggiormente sulla pasticceria, in particolare con il gelato. Cerchiamo sempre di fare qualcosa di più, di nuovo. Ogni settimana pensiamo a cosa poterci inventare”.
Insomma, per questo giovane siciliano che ha trovato il successo negli Stati Uniti, quanto costruito finora non è un punto d’arrivo, ma soltanto una tappa all’interno di un percorso molto più ampio. Anche perché, come ci ripete più volte, a New York chi si ferma è perduto. E Philip Guardione, da quanto è entrato per la prima volta in una cucina, non si è praticamente mai fermato.