Il ritorno alla normalità si presenta estremamente difficile, perché le istituzioni centrali e regionali hanno martellato la testa dei cittadini con uno stantio: “Statevi a casa”. Inoltre hanno inculcato nella testa della maggioranza della gente una sorta di folle paura nei confronti di questa particolare influenza epidemica che ha colpito il mondo intero e, tutto sommato, non in maniera molto grave l’Italia, salvo che la Lombardia.
Ora, è difficile per la gente impaurita e tartassata, uscire da casa e riprendere la normale attività. Infatti i negozi non si sono riempiti come si sperava, le prenotazioni di vacanze anche brevi vanno a rallentatore, la gente che si vede in giro ha un viso contratto e non contento come dovrebbe essere chi finalmente ha riacquistato la libertà di movimento.
L’abbiamo scritto più volte, governanti pavidi sono rimasti sotto l’influsso dei cosiddetti scienziati, che senza saper nulla hanno generato un’enorme paura, che è degenerata in un’epidemia di terrore, creando enormi problemi a tutta la popolazione.
Per ricominciare a vivere in modo normale occorre che l’economia riparta e ritorni ad uno standard ordinario. Perché questo avvenga, occorre competenza e saggezza da parte del Governo e delle Giunte delle Regioni, per promuovere investimenti in opere pubbliche, in infrastrutture e in attività private, tagliando con coraggio la spesa corrente.
In altre parole, occorre più lavoro produttivo e meno sussidi, in modo tale che per ogni euro investito se ne mettano in moto cinque o dieci, mentre come è noto, il sussidio o lo stipendio, per ogni euro pagato, ne mette in moto forse un altro e uno solo.
Certo, il Governo deve avere nervi saldi per dire al popolo italiano che è finita l’epoca del magna magna, è finita l’epoca degli assegni a perdere a coloro che invece sono in condizione di lavorare. Occorre che il Governo abbia il coraggio di progettare il futuro, che parte da oggi, investendo sulla competenza dei cittadini e, soprattutto, su quella dei pubblici dipendenti, funzionari e dirigenti.
Dunque, ripetiamo, più investimenti, meno spesa corrente, più lavoro produttivo, meno sussidi.
L’ammonimento del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, con i suoi sette punti più volte pubblicati, è chiarissimo: il Governo deve intervenire per rinforzare le strutture economiche del Paese, creando opportunità di lavoro, senza alcuna esitazione.
Ma siccome il lenzuolo è corto, non potrà investire la massa di denaro necessario a far crescere l’economia se, d’altra parte, non taglia tutti gli assegni pagati a vario titolo, sia a chi ne ha bisogno sia a chi invece non ne ha, ma dovendo dare opportunità vere di lavoro.
C’è un problema che si trascina da molti decenni, forse dal dopoguerra, e riguarda il sottosviluppo del Mezzogiorno. In questo territorio il reddito pro capite è molto inferiore a quello del Nord e all’altro della media nazionale, il Pil pro capite idem, il benessere allo stesso modo, la disoccupazione è in qualche regione del Sud doppia rispetto alla Lombardia.
È il tasso infrastrutturale colpevole di questo stato di cose, perché è noto come senza adeguate infrastrutture, l’economia non si sviluppa, persone e merci non circolano con adeguata velocità.
Sono le infrastrutture che fanno correre dati, idee, merci e persone. è l’innovazione che dà le ruote al futuro. è la competenza che alimenta lo sviluppo. Tre paradigmi su cui quasi tutti sono d’accordo – salvo gli stupidi o coloro che sono in malafede – che però non vengono adottati nei comportamenti, negli atti del Governo centrale e delle Giunte regionali.
Non sappiamo se da ora in avanti il presidente del Consiglio e i suoi ministri saranno in condizione di affrontare con giusta energia gli eventi che accadranno da domani in poi e che già potenzialmente si sono manifestati, non sappiamo se la rissosa maggioranza quadripartita avrà la forza di scollarsi dai propri interessi particolari e concentrarsi sull’interesse nazionale.
Ma se il Governo e la sua maggioranza non avessero questa forza, sulla popolazione accadrà la sciagura del retrocedere dell’economia, dell’aumento della disoccupazione e dell’estensione a macchia d’olio della povertà.
Auguriamoci che ciò non accada.