"Riduzione spazi democrazia? Il punto è piuttosto cosa un politico restituisce a tutti i suoi elettori”. Taglio ai costi della politica ed efficientamento delle istituzioni e avvio di un serio dibattito sul superamento del bicameralismo: i cittadini diano un segnale forte
A favore della riduzione del numero dei parlamentari si schiera Ida Nicotra, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Catania e Componente del Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione dal 2014.
Professoressa Nicotra, il 20 e il 21 settembre gli italiani sono chiamati a decidere se tagliare o no del 30 per cento i parlamentari. Perché votare sì?
“Innanzitutto questa riforma non è una novità per il nostro sistema costituzionale, per la nostra storia repubblicana perché almeno da quarant’anni le varie commissioni bicamerali, i vari tentativi di riforma sottoposti a referendum hanno provato a ridurre i parlamentari che sono in realtà i più popolosi d’Europa, se escludiamo il parlamento inglese, dove 800 componenti sono Lord e non sono votati dai cittadini ma sono nominati a vita. Abbiamo il Parlamento più popoloso malgrado la nostra popolazione sia inferiore a certi paesi dell’Europa. Questa è la prima considerazione. La seconda riguarda la capacità di lavoro di un organismo più snello ed efficiente che rimane comunque un organismo di 600 componenti perché consideriamo che la riforma porterebbe da 945 a 600 i parlamentari eletti: un numero ragionevole, proporzionato per rappresentare il corpo elettorale. C’è una terza motivazione che secondo me è importante: un parlamento più snello, che lavora meglio, che decide, che è efficiente e tempestivo potrebbe far recuperare anche quella credibilità, quella dignità, quell’autorevolezza che esso in questi ultimi decenni in Italia purtroppo ha perso. Quindi ci sono delle considerazioni importanti e, secondo me, il tema del risparmio che è stato posto in essere come la ragione di questa riduzione, di questa razionalizzazione è un tema recessivo: il parlamento più snello funziona meglio, restituisce scelte fondamentali perché esso è fatto per fare le leggi e quindi per soddisfare gli interessi generali dei cittadini e questo può fare recuperare alle assemblee elettive anche quella credibilità e quella fiducia del corpo elettorale rispetto proprio ai parlamentari. Ritengo che lo scollamento, la disaffezione che vi è in questi ultimi decenni rispetto alla classe politica, al parlamento potrebbe venire meno e si potrebbe recuperare la consonanza fra gli elettori e gli eletti. Quindi per me il tema centrale è lo snellimento ai fini dell’efficienza e del miglior funzionamento delle istituzioni parlamentari che rimangono al centro. Non ritengo che sia vero che la rappresentanza venga diminuita, che possa soffrire di questo aspetto perché, secondo me, la rappresentanza è legata alla qualità dei parlamentari e alla qualità del lavoro che viene svolto in Parlamento. Quindi la selezione della classe dirigente è un tema diverso, è semmai il tema della legge elettorale, non di un numero più congruo di parlamentari. Questa è la mia idea sulla riforma ed è per questo che io voterò convintamente sì”.
Quello del danno alla rappresentatività è uno degli argomenti cardine su cui puntano i sostenitori del no: c’è tale rischio?
“Il numero più basso, più circoscritto di parlamentari che vi è nelle altre parti del mondo – perché il nostro è il Parlamento più affollato del mondo, se escludiamo l’assemblea nazionale cinese e, come accennavo prima, il Parlamento britannico – sconta il tema della minore rappresentanza o tale tema è legato a quello che i parlamentari riescono a restituire agli elettori, alla comunità che rappresentano? Questo è il tema che ci dobbiamo porre: come oggi questa politica rappresenta e riesce a soddisfare le istanze, le aspirazioni, i sogni delle persone. Anche i sogni, perché la politica con la p maiuscola significa questo. Io penso che la risposta l’abbiamo chiara: è possibile che, con il taglio, si possa recuperare anche un rapporto più forte fra elettore ed eletto e che ne possa giovare il miglioramento delle Istituzioni nel rapporto anche con la cittadinanza, con gli elettori”.
Taglio di 345 parlamentari, almeno tre buoni motivi per scegliere il “Sì”
Taglio sì o taglio no? Questo è il dilemma. Il QdS, da sempre a favore dei tagli agli sprechi e agli insopportabili privilegi, ha deciso di schierarsi dalla parte del Sì alla riduzione del 36,5% dei parlamentari e lo ha fatto per svariate ragioni.
La prima, la più importante, è quella economica: con il taglio di un terzo dei parlamentari le casse dello Stato risparmierebbero 100 milioni all’anno, 500 milioni a legislatura. A stabilirlo è il Dipartimento per le Riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Mezzo miliardo in cinque anni: altro che un caffè.
La seconda ragione è di carattere logistico: riducendo il numero dei parlamentari da 945 a 600 si ridurrebbe la frammentazione dei gruppi parlamentari, responsabilizzando gli eletti e rendendo più snelle le due Camere. La Camera infatti approverebbe le leggi e il Senato avrebbe al massimo 40 giorni per discuterle e proporre modifiche, su cui poi la Camera esprimerebbe la decisione finale: niente più rimpalli da una Camera all’altra e, dunque, maggiore efficienza del potere legislativo. Senza contare il fatto che riducendo i parlamentari si ridurrebbe al contempo la presenza dei cosiddetti cespugli, quei politici cioè che non identificano in nessun gruppo parlamentare ma che possono orientare l’ago della bilancia da un verso o dall’altro. Questo garantirebbe al Governo più stabilità e alle opposizioni più poteri di controllo.
La terza motivazione riguarda l’allineamento della nostra democrazia al resto d’Europa e del mondo. L’Italia è fra i Paesi con il più alto numero di parlamentari direttamente eletti dal popolo: 945, vale a dire un parlamentare ogni 63 mila abitanti. La sforbiciata del numero dei parlamentari ci avvicinerebbe all’Europa e al resto del mondo: avremmo un parlamentare ogni 100 mila abitanti. In Francia il rapporto è uno 72 mila, in Germania è uno ogni 105 mila, in Cina è uno ogni 430 mila e negli Usa è addirittura uno ogni 600 mila.
Nonostante i leader delle diverse forze politiche continuino a battere la strada della lotta ai privilegi, di fronte ad un banco di prova importante come quello dell’imminente referendum hanno optato per lasciare ai loro cadetti la libertà di voto.
Italiani che vivono all’estero: come votare
Gli italiani residenti all’estero votano per corrispondenza, esprimendo il loro voto su schede che vengono recapitate al loro indirizzo di residenza all’estero.
L’elettore, ricevuto il plico con la scheda:
a) esprime il proprio voto sulla scheda referendaria: il voto è espresso tracciando un segno sulla risposta prescelta e, comunque, nel rettangolo che la contiene;
b) introduce la scheda nella relativa busta piccola e la chiude;
c) inserisce, nella busta grande affrancata, il tagliando staccato dal certificato elettorale (comprovante l’avvenuto esercizio del diritto di voto) e la busta piccola contenente la sola scheda;
d) spedisce, infine, il tutto al Consolato competente.
Saranno considerate valide le buste pervenute al Consolato entro le ore 16, ora locale, del martedì antecedente la data stabilita per la votazione in Italia, e quindi entro martedì 15 settembre 2020 (art.16, comma 1, lett. a) del decreto legge 16 luglio 2020, n.178). Gli elettori residenti all’estero che, entro quattordici giorni dalla data della votazione in Italia, non abbiano ricevuto a casa il plico con la scheda, possono farne richiesta presentandosi di persona al proprio Consolato.