Uno sguardo dettagliato alle importanti novità inserite nel Decreto legislativo numero 87, già pubblicato in Guri. Disposto il ritorno a un sistema che, di fatto, somiglia moltissimo a quello della vecchia pregiudiziale tributaria
ROMA – Grosse novità nel Decreto legislativo riguardante la riforma del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale. Tale Decreto legislativo porta il n. 87, è datato 14 giugno 2024 ed è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.150 del 28 giugno 2024.
Di quelle più significative ne abbiamo sinteticamente già parlato dalle pagine di questo Quotidiano. Questa volta ci soffermiamo sulla importantissima novità riguardante la relazione tra il processo tributario amministrativo e quello tributario penale. Come si ricorderà, fino al 1982 vigeva il principio della così detta “pregiudiziale tributaria”, nel senso che l’azione penale per le violazioni di carattere tributario che costituivano anche violazioni di natura penale, non poteva avere corso fino a quando non veniva definito il procedimento tributario. Fino a quella data, pertanto, il giudizio penale era subordinato a quello amministrativo tributario. Senonché, con l’articolo 12 della legge n. 516/82, tale principio venne completamente rovesciato, introducendo la nuova regola secondo la quale l’azione penale poteva essere iniziata senza attendere l’esito finale del contenzioso tributario.
L’art. 20 del Dlgs.74/2000 ha poi rafforzato tale nuovo principio, comunemente detto del “sistema del doppio binario” con la completa autonomia dei due giudizi, nei quali il giudice penale e il giudice tributario sono chiamati all’accertamento del medesimo fatto, potendo conseguentemente giungere a conclusioni differenti. Ora, però, le regole che disciplinano i rapporti tra processo penale e processo tributario cambiano nuovamente.
In pratica si torna a un sistema che somiglia moltissimo alla vecchia pregiudiziale tributaria. Con l’articolo 1, lettera i), del Decreto legislativo di cui parliamo, viene modificato il Decreto legislativo n. 74 del 2000, inserendo, all’articolo 20, dopo il comma 1, la seguente disposizione: “1-bis. Le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili, e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato”.
È stato poi inserito il nuovo articolo 21-bis (Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione), in cui si afferma che “1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio”.
Insomma, i binari cessano di essere paralleli. Le sentenze tributarie irrevocabili possono essere acquisite nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato mentre le sentenze penali irrevocabili di assoluzione (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso) hanno efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti oggetto di valutazione nel processo tributario.
Le mutate relazioni tra processo penale tributario e processo tributario amministrativo si riscontrano anche con l’introduzione, sempre nel Decreto legislativo 74/2000, del nuovo articolo 21-ter (Applicazione ed esecuzione delle sanzioni penali e amministrative). In base a tale nuova disposizione “1. Quando, per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva”.
In pratica, una sorta di applicazione del noto principio del “ne bis in idem” (art. 649 Cpp), richiesto sia dalla Ue che dalla stessa legge delega per la Riforma tributaria, la legge n. 111 del 9 agosto 2023, principio che, in questo caso, prevede la riduzione della sanzione (amministrativa o penale) al fine di tenere conto, in sede giudiziale, o anche in sede amministrativa, di quella già irrogata ai fini penali o amministrativi.
A tal fine, modificando l’articolo 129 delle disposizioni attuative del Codice di procedura penale, di cui al Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, aggiungendo il comma 3 quater, viene stabilito che “quando esercita l’azione penale per i delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, il pubblico ministero informa la competente direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate, dando notizia della imputazione”.
Inoltre, modificando gli articolo 32 del Dpr 600/73 e 51 del Dpr 633, viene ora stabilito che “quando l’Agenzia delle Entrate riceve comunicazione da parte del pubblico ministero dell’esercizio dell’azione penale ai sensi dell’articolo 129, comma 3-quater, delle disposizioni attuative del Codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, risponde senza ritardo trasmettendo, anche al competente Comando della Guardia di Finanza l’attestazione relativa allo stato di definizione della violazione tributaria”.
Tali disposizioni entrano in vigore a decorrere dal giorno successivo alla data di pubblicazione del decreto legislativo (dal 29 giugno 2024). Tutte le altre disposizioni previste dal medesimo decreto agli articoli da 2 a 4, entrano in vigore, invece, a decorrere dal 1° settembre 2024 e, anche quelle più favorevoli al contribuente, non sono retroattive, una disposizione, quest’ultima, fortemente criticata in quanto in contrasto con il principio del “favor rei”.