A oltre due mesi dalla revoca dell'ordinanza emergenziale del sindaco Roberto Lagalla per il rischio diossina, si continua a discutere
Quanto è sicuro mangiare carne e bere latte da aziende che si trovano nel raggio di pochi chilometri da Bellolampo, là dove a fine luglio divampò uno degli incendi più pericolosi tra quelli che hanno segnato il 2023 in Sicilia? A domandarselo, a due mesi e mezzo dalla revoca dell’ordinanza emergenziale disposta dal sindaco Roberto Lagalla per il rischio diossina, è l’Osservatorio permanente sui disastri ambientali. Costituito in estate da numerosi attivisti, con l’intento di tenere alta l’attenzione sui temi della tutela dell’ambiente e della salute, l’Osservatorio nelle ultime settimane è riuscito a entrare in possesso dei risultati dei campionamenti effettuati da Arpa e dall’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, per determinare il livello di contaminazione dei terreni e delle matrici vegetali e animali. Quando si parla di diossine, infatti, il rischio è che possano finire all’interno della filiera agroalimentare, dai campi e dalle fattorie, dunque, fino alla tavola. Tuttavia, per le istituzioni, nel caso di Bellolampo tale scenario è stato scongiurato: “Considerato che gli esiti analitici risultano conformi, decadono le motivazioni che hanno reso necessaria la proroga dell’ordinanza”, si legge in una nota inviata il 7 settembre dall’Asp a Lagalla. Per gli attivisti, però, le cose rischiano di stare in tutt’altro modo: “Le valutazioni sono state fatte tenendo conto di campioni non significativi e da scartare. L’intera gestione dell’emergenza non ha tenuto in considerazione il principio di precauzione”, dichiara al QdS Gioacchino Genchi, chimico, ex dirigente della Regione e oggi tra i componenti dell’Osservatorio.
“Pochi controlli e fatti anche male”
La tesi degli attivisti poggia sui documenti rilasciati dal laboratorio dell’Istituto zooprofilattico di Bologna, a cui l’Asp, per il tramite dell’Istituto zooprofilattico di Palermo, ha inviato i campioni prelevati nell’area intorno a Bellolampo. “Innanzitutto quello che colpisce è il numero ridottissimo di controlli effettuati, appena 13 a fronte di roghi che in pochi giorni hanno interessato oltre 60 chilometri quadrati oltre l’area della discarica”, commenta Genchi, che da dirigente regionale seguì da vicino quanto accadde a Bellolampo nel 2012. “In quel caso, nonostante l’incendio fu confinato per dieci giorni soltanto alla discarica, decidemmo di eseguire controlli su una zona ampia 270 chilometri quadrati, facendo accertamenti in 98 aziende per un totale di 319 analisi su 11 matrici alimentari diversi. Alla fine – ricorda l’esperto – furono 74 i campioni che risultarono contaminati. Stavolta, invece, il monitoraggio è stato oltremodo carente con i rischi che ognuno può immaginare in termini di conseguenze per la salute”.
Le critiche dell’Osservatorio non riguardano soltanto l’aspetto quantitativo dei controlli, ma anche quello qualitativo. “Dai documenti in nostro possesso possiamo affermare che cinque campioni su sei di latte e due su tre di tessuto adiposo sono da considerare anomali e dunque da scartare”, afferma Genchi. Per comprendere i motivi di ciò bisogna tenere in considerazione che le diossine sono sostanze liposolubili e persistenti, la cui presenza dunque è più facilmente rintracciabile nel grasso. Quando si parla di latte, per esempio, la percentuale di grasso – considerando quello intero, ovvero nella forma naturale che segue la mungitura – deve essere superiore al tre per cento. “Dalle analisi risulta che cinque campioni su sei hanno un contenuto in lipidi inferiore, alcuni addirittura risultano intorno all’un per cento, quasi fosse latte scremato – attacca Genchi – Questo, oltre a sollevare perplessità sull’origine della matrice esaminata, mina in profondità l’attendibilità della ricerca delle diossine”.
Gli attivisti ritengono che un discorso simile possa essere fatto anche per quanto riguarda i campionamenti delle carni. “Le diossine vanno ricercate nei tessuti adiposi e invece ci troviamo con analisi effettuate su campioni che hanno un contenuto di grasso sottocutaneo praticamente risibile, rispetto alle percentuali comuni del 75-80 per cento. È come se – aggiunge Genchi – fosse stato prelevato muscolo e non tessuto adiposo, mentre sia le diossine così come i policlorobifenili si accumulano nei grassi”. A fronte di questi rilievi, per l’Osservatorio la revoca dell’ordinanza emergenziale non poggerebbe su sufficienti evidenze scientifiche: “Siamo di fronte a considerazioni fatte prendendo in esame campioni caratterizzati da difformità macroscopiche rispetto alle caratteristiche che quel determinato prodotto dovrebbe possedere per legge – sottolinea Genchi – Ci chiediamo se ci sia accorti di tali anomalie e, se sì, perché non si siano accertate le cause delle stesse. Per tutto ciò – conclude l’esperto – sarebbe necessario che la commissioni Ambiente e Salute all’Ars approfondissero ciò che è accaduto”.
“Inutili allarmismi, controlli tutti in regola”
Tra i firmatari della nota che ha portato alla revoca dell’ordinanza da parte del primo cittadino Roberto Lagalla c’è anche Francesco Francaviglia, direttore della Uoc Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche. È lui a rispondere a distanza alle critiche provenienti dall’Osservatorio permanente sui disastri ambientali, ritenendo insussistenti i motivi di preoccupazione da parte degli attivisti. “La situazione emergenziale scaturita dagli eventi di luglio ha richiesto il coinvolgimento di tutte le professionalità a disposizione a livello nazionale. La scelta – quantitativa e qualitativa – dei campionamenti è stata determinata da un piano di monitoraggio basato su una serie di criteri adottati con estrema cura, nulla è stato lasciato al caso”, assicura Francaviglia al QdS. “Così facendo siamo siamo stati in grado di determinare in materia adeguata le condizioni ambientali dell’area che avrebbe potuto risentire della presenza di diossine oltre i livelli di guardia”.
Il direttore della Uoc che si occupa degli allevamenti spiega anche il motivo per cui si è deciso di non effettuare i rilievi immediatamente. “Le diossine sono sostanze abbastanza pesanti che salgono in aria per effetto del calore. Quando l’aria si raffredda – spiega – ricadono sul suolo e accumulandosi possono dare seri problemi. Parliamo di patologia di accumulo ed è questo il motivo per cui abbiamo deciso di attendere che non ci fossero più diossine in aria e sul suolo. In modo da avere la possibilità di determinarne il livello accumulato sulle matrici vegetale e animale”.
Sui criteri utilizzati per individuare quali aziende monitorare, Francaviglia dichiara che “il nostro piano di monitoraggio è stato frutto di una valutazione del rischio per cui si sono ritenuti a basso rischio gli allevamenti che nei giorni dell’incendio non avevano animali al pascolo e che potevano usufruire di riparo per i capi di bestiame e per i mangimi e il fieno, mentre sono stati considerati ad alto rischio quelli senza riparo o con alimentazione a rischio contaminazione. Nel caso delle aziende produttrice di latte – sottolinea – il campionamento è stato fatto indiscriminatamente, in modo da escludere qualsiasi rischio”.
Il direttore della Uoc Iapz ricorda che il monitoraggio ha tenuto conto anche delle distanze delle aziende rispetto al luogo dell’incendio, portando all’esame di stabilimenti che si trovano tra uno e tre chilometri dalla discarica, e che comunque nell’attesa dei risultati ogni attività è stata sospesa. In merito, invece, alle critiche riguardanti le presunte difformità dei campioni rispetto agli standard, Francaviglia afferma: “Se è vero che le diossine sono sostanze rinvenibili soprattutto nei grassi, non deve portare a trarre conclusioni affrettate il fatto che alcuni campioni, sia di latte che di tessuto adiposo, siano risultati con un basso livello di lipidi. Nel primo caso si è trattato probabilmente di campionamenti effettuati nelle vasche in cui il latte viene accumulato e potrebbe essere stato determinato da un prelievo effettuato in profondità, nel secondo – prosegue – il risultato è scaturito dal fatto che gli animali esaminati avevano scarsi depositi di grasso”. Su quest’ultimo punto, Francaviglia si sofferma: “L’esame effettuato in un tessuto maggiormente muscolare e con bassa concentrazione di grassi dà una fotografia più tempestiva rispetto all’accumulo di grasso nella fascia perirenale”. Quanto è fondamentale, quindi, mandare nei laboratori materie ad alto contenuto di lipidi? “Bisogna tenere conto di un fattore: gli esami vengono eseguiti dando un risultato in picogrammi per grammo di grasso. Ciò significa – commenta Francaviglia – che il riferimento è relativo sempre a un grammo di grasso e importa poco il quantitativo di materia a cui esso corrisponde. Peraltro – va avanti – lo stesso laboratorio che ha verificato la bassa percentuale di lipidi ha ricalcolato i tenori di diossine così come previsto dal regolamento europeo”. Il direttore della Uoc Iapz conclude cercando di dissipare qualsiasi sospetto in merito alla correttezza dei controlli: “Quasi tutti quelli che abbiamo effettuato hanno visto la partecipazione dei carabinieri del Nas”.
Questioni di trasparenza
Le spiegazioni fornite da Francaviglia non convincono gli attivisti: “Premesso che l’Osservatorio ha chiesto già dieci giorni fa all’Asp delucidazioni sui campioni di latte e di tessuto adiposo senza ottenere alcuna risposta, né all’epoca dei fatti né fino a oggi si è avuta notizia di un piano di monitoraggio”, dichiara Genchi. Che poi aggiunge: “C’è da rimanere davvero sbalorditi davanti al tentativo di giustificare le anomalie, per usare un eufemismo, dei campioni di latte e di tessuto adiposo, i quali, a una semplice constatazione non corrispondono alle caratteristiche intrinseche che li dovrebbero caratterizzare. Il dato preoccupante è che l’emergenza è stata liquidata in un mese mentre quella del 2012 durò, per salvaguardare la salute della popolazione, ben otto mesi. Ognuno può trarre le conclusioni”.
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