Sanità, in Sicilia una crisi senza fine

Sanità, in Sicilia una crisi senza fine. Lucchesi (CGIL): “Situazione ospedali drammatica post Covid”

Sanità, in Sicilia una crisi senza fine. Lucchesi (CGIL): “Situazione ospedali drammatica post Covid”

Hermes Carbone  |
lunedì 29 Gennaio 2024

La situazione sull'isola si fa sempre più preoccupante: i dati mostrano come ormai gli ospedali siciliani siano ridotti all'osso

Saranno circa cinque i miliardi di euro i fondi statali che verranno meno nelle tasche della Sicilia. Un taglio netto elaborato in uno studio fatto dalla Cgil regionale e confrontato con l’ultimo report della Fondazione Gimbe che racconta lo stato dei disagi con i quali convivono gli abitanti dell’isola.

Si passa dall’abolizione del Reddito di cittadinanza al mancato gettito fiscale (150 milioni) passando per il taglio previsto per l’insularità (altri 150 milioni): temi inseriti nel Def di aprile e scomparsi nella Finanziaria. E poi il miliardo e mezzo di euro stornato dal fondo per gli interventi pubblici e inserito in previsione della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Con l’Autonomia differenziata approvata in parlamento, la Sicilia perderà un altro miliardo e mezzo di euro l’anno. E non è finita qua. Da considerare, infatti, c’è anche lo stato della sanità siciliana. Qui saranno oltre 200 i milioni di euro di tagli, come approvato dalla spending review varata dal governo Meloni sui fondi del PNRR. A essere tagliati saranno ben 808 posti di terapia intensiva (-23%) e 995 di terapia sub intensiva ( -24% – fonte fondazione Gimbe).
Un piano politico chiaro e spinto a gonfie vele verso la privatizzazione delle principali prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale. Tutto cristallizzato nel quadro di una regione, la Sicilia, nella quale sono presenti meno posti letto rispetto al resto d’Italia, meno infermieri, meno medici, un tasso di emigrazione sanitaria in altre regioni del 6,2% che costa 177 milioni di euro. Infine una quota di persone, rispondente a quasi un cittadino su dieci, che rinuncia alle cure principalmente per motivi economici o per le difficoltà di accesso al servizio. Una forbice che si sta ampliando ancor di più in seguito al periodo post pandemico.

Situazione drammatica negli ospedali siciliani

Ma come se la passano gli ospedali dell’isola? A rispondere è Francesco Lucchesi, Segretario CGIL Sicilia comparto Sanità: «Sono tutti al collasso: non ci sono medici né infermieri sufficienti per rispondere al fabbisogno della popolazione. Alcuni pronto soccorso sono costretti a chiudere, come nel messinese. Altri funzionano male e i casi di malasanità si moltiplicano anche per questo. Pensiamo all’ultima denuncia e seguente perquisizione dei Nas all’ospedale pediatrico “Di Cristina” di Palermo». Doppi turni e orari massacranti, riposi dimezzati o addirittura inesistenti. Precarietà del personale. Medici che lavorano a partita Iva. Operatori che prestano servizio attraverso le agenzie interinali prima di trasferirsi nei centri del nord Italia per assunzioni stabili. E ancora il piano assunzioni per 1500 dottori stranieri indetto dalla regione e andato deserto (solo una cinquantina le richieste pervenute, ndr). Con una criticità che si staglia all’orizzonte soprattutto per l’assenza di alternative. A Leonforte, in provincia di Enna, il “Ferro – Branciforti – Capra” serve sei importanti comuni presenti in zona. L’ospedale, inaugurato appena un ventennio fa, ha già subito i tagli di punto nascite, ginecologia, anestesia, radiologia e con un pronto soccorso che funziona a singhiozzo. «Oggi a Leonforte si eseguono solo piccoli interventi di chirurgia, ma le prospettive sono nerissime», spiega la CGIL locale. Situazione ancor più grave nel messinese: qui gli atavici problemi del “Fogliani” di Milazzo e del “Cutroni Zodda” di Barcellona Pozzo di Gotto – senza considerare il perenne stato di crisi dell’ospedale di Lipari che serve l’arcipelago delle Eolie – hanno portato all’ennesima denuncia della popolazione. Manifesti inquietanti con l’immagine di un cadavere sono infatti apparsi lo scorso 18 gennaio nei pressi dei poli ospedalieri e dei palazzi comunali dei centri tirrenici che servono una popolazione di oltre 150 mila abitanti.

Due settimane fa l’ultimo caso che aveva fatto esplodere la protesta, con 38 persone, di cui 8 codici rossi, in fila al pronto soccorso di Milazzo e la chiamata al 118 – andata deserta per mancanza di ambulanze – dei medici del nosocomio milazzese per richiedere lo spostamento dei pazienti in altri ospedali della zona (LINK). A Messina non sono ancora terminati i lavori del pronto soccorso del Policlinico (consegna prevista e non rispettata nel 2022, ndr), che opera a mezzo servizio. E poi la paventata e sempre rinviata chiusura della cardiochirurgia pediatrica di Taormina, al momento rinviata al prossimo 31 luglio 2024 grazie anche alle posizioni pubbliche prese da vip come Fiorello e Flavio Insinna.
Cambiando provincia e spostandoci a Caltanissetta, il “Vittorio Emanuele” di Gela rientra nella classificazione spoke, esegue tutti gli interventi previsti per una popolazione di 70 mila abitanti. «Anche qui, però, il progressivo depotenziamento è già cominciato: via terapia intensiva, neurologia, psichiatria, chirurgia senza primario. Garantite quindi solo le emergenze, con accessi resi difficili al pronto soccorso per via di un solo medico in servizio per turno. E poi liste d’attesa infinite per usufruire della sanità pubblica», spiega Lucchesi.

E se a Gela non c’è modo di accedere alla specialistica di riferimento, ci sarebbe sempre l’ospedale di Licata a trenta chilometri di distanza. Peccato che tutto l’agrigentino non se la passi affatto meglio. A Ribera sono stati infatti chiusi i reparti di geriatria, pneumologia e malattie infettive. A Sciacca manca anche una sala parto al piano di ostetricia. Come detto, c’è poi Licata, il centro messo peggio. Qui le chiusure totali o parziali riguardano i reparti di neonatologia, utic, rianimazione, oculistica, otorino, geriatria, lungodegenza/riabilitazione e urologia.
«In Sicilia mancano circa 3500 funzionari ospedalieri tra medici e infermieri. Di fatto, le chiusure o i tagli generalizzati stanno penalizzando i cittadini, troppo spesso costretti a migrare nelle regioni del nord Italia per avere accesso a cure di qualità che dovrebbero essere loro garantite anche nell’isola. Il futuro prevede una sanità di serie “C” per la Sicilia», aggiunge Lucchesi.
Il tutto in un quadro di generale mutamento. Entro il 31 gennaio prossimo, come dichiarato dalla regione, le ASP locali cambieranno management. A tal proposito, è già cominciato il toto-nomi, con la politica che ancora una volta giocherà un ruolo chiave. I siciliani si augurano possano stavolta essere curriculum e competenze a essere posti in primo piano nelle scelte presenti sul tavolo del governatore Schifani.

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