Ne abbiamo parlato con il professor Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all'Università di Catania.
La pandemia come una guerra. Non solo nella semantica, con termini bellici entrati a fare parte del corrente linguaggio in relazione alla diffusione del Covid 19. Le industrie, le imprese, l’economia, hanno reagito e continuano a reagire al fenomeno, divenuto cesura storica, di cui cioè si può evidentemente distinguere il prima e il dopo. Ne abbiamo parlato con il professor Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università di Catania.
Due anni di Covid e restrizioni: è possibile determinare cosa è cambiato dal 2020 a oggi nel panorama economico?
Dal Covid-19 è scaturita una profonda crisi economica, sociale e sanitaria. Sul piano economico, è stato uno shock sia sul versante dell’offerta, da parte delle imprese, sia sul versante della domanda, da parte dei consumatori. Ci si potrà riprendere da questo doppio shock, ma ci vorrà un po’ di tempo per ritornare alla situazione pre-Covid. E non è detto che sia un ritorno alla piena normalità.
Durante i periodi bellici si parlava di riconversione industriale. Anche relativamente alla pandemia le imprese hanno dovuto adeguarsi ai cambiamenti in atto?
Ha detto bene. La pandemia è come se fosse stata una guerra. Forse non ce ne rendiamo conto, ma è così. In tempi di guerra, molte imprese sono bombardate e distrutte, altre chiudono i battenti, altre arrancano e faticano, altre ancora aspettano che tutto finisca per ricominciare. Ma solo chi è abile a riconvertirsi gioca in anticipo rispetto al futuro. E’ innanzitutto una questione di atteggiamento degli imprenditori e dei manager.
Come sono cambiate le imprese locali? Quale l’impatto sull’economia in generale e sui consumatori?
Hanno sofferto di più, perché molte di esse operano in settori maturi più esposti sia al lockdown che a tutta la pandemia. Ad esempio, gli esercizi di vicinato o le attività di ristorazione e di intrattenimento oppure le imprese della ricettività turistica. Oggi sono in ginocchio. Ed è ovvio che se queste aziende sono in difficoltà, lavorano di meno, dunque impiegano meno personale, e questo – in assenza di tempestivi interventi a sostegno da parte dello Stato – riduce il potere d’acquisto di molte famiglie dei lavoratori dell’indotto, costrette poi a fare una selezione negli acquisti.
Al termine della pandemia ci sarà una nuova riconversione o resteranno alcune abitudini?
Alla fine di questa guerra, ci sarà da ricostruire. Non c’è dubbio. Alcuni comportamenti manifestatisi durante la pandemia rimarranno. Penso allo smart working, sempre più diffuso in imprese ed organizzazioni. Oppure alla cresciuta propensione dei consumatori ad acquistare on line o ancora ad effettuare pagamenti con carta di credito e bancomat. C’è stata insomma un’accelerazione dei comportamenti digitali.
Il paniere dei siciliani, come del resto degli italiani, sembra profondamente cambiato: è la nuova domanda a spingere l’offerta o viceversa?
Entrambe. Il potere d’acquisto si è ridotto, molte famiglie sono in difficoltà, la fascia di povertà si è allargata. Dal punto di vista dell’offerta, le imprese più attente al rapporto qualità-prezzo saranno percepite come più responsabili e quindi attireranno nuove fasce di consumatori, ad esempio i giovani della Generazione Z. Dal punto di vista della domanda, questa non crescerà in modo uniforme in tutti i comparti. Dunque alcune imprese, ad esempio nei settori connessi al turismo, continueranno a soffrire.
Quali prospettive per l’Isola nei prossimi anni?
Al di là del rialzo del PIL siciliano nel 2021, per effetto di un rimbalzo dell’economia dopo l’annus horribilis del lockdown, le prospettive di sviluppo sono legate alla definizione di un’armonica politica economica che, nell’ottica della transizione, non lasci indietro nessuno e incentivi i migliori a farsi carico delle nuove sfide, soprattutto a livello internazionale. Una Sicilia più digitale e green mi piacerebbe di più in prospettiva, sicuramente. Ma ahimè non tutti la vogliono, forse perché la temono
Pensa possa esserci una ricetta per la ripresa e, soprattutto, per trasformare questo periodo in una grande opportunità?
Non è tempo di ricette, è tempo di sbracciarsi in tutti i campi, in tutte le organizzazioni. E’ così che l’Italia ha conosciuto il suo boom economico dopo la seconda guerra mondiale. Alcune categorie, quelle impiegatizie pubbliche, i disagi economici della pandemia non li hanno conosciuti e quindi sono più resistenti al cambiamento.
La politica ha sbagliato qualcosa? Cosa? Ci sono margini di ripresa?
Non saprei dire dove ha sbagliato e a quale livello. La politica, da quella locale a quella regionale, sia maggioranza che opposizione, deve imparare però a fare meno proclami, evitare inutili litigi e migliorare invece nella capacità di fare bene i compiti per casa per guadagnarsi più rispetto a livello nazionale e comunitario. In questo modo potrà farsi trovare pronta agli appuntamenti importanti, come lo è oggi ad esempio il PNRR. Altrimenti i problemi e le opportunità si inseguono faticosamente, quando invece andrebbero pianificati ed organizzati per tempo, con intelligenza e senza affanno.