Sicilia, crescita e povertà

Sicilia, crescita e povertà

Sicilia, crescita e povertà

Giovanni Pizzo  |
lunedì 30 Dicembre 2024

Una riflessione sulla situazione economico-finanziaria in cui versa la Sicilia in questo finale di 2024 tra amarezza e disillusione

Da un lato la crescita, la Sicilia cresce come PIL più della media del Paese, dall’altro l’Unione Europea ci avverte che abbiamo raggiunto il dato devastante del 38% di siciliani in povertà. Intanto la crescita per avere un impatto sulla società, considerando il valore assoluto della produzione e la sua composizione, bisognerebbe avere un trend da tigre asiatica. Per cui crescita e povertà insieme non ci scandalizzano. Sembra un paradosso matematico ma non è così, i due dati in un mondo che si polarizza possono coesistere. Mentre c’è una Sicilia che partecipa ai dati di crescita economica, prevalentemente a causa dei primi effetti degli appalti PNRR, e per l’influsso residuale dell’edilizia gonfiata dai bonus e superbonus, un’altra Sicilia, nelle zone interne e nelle periferie delle grandi città, si è ritirata in una disoccupazione da sfiducia ormai consolidata nel tempo. Carenze da istruzione, la dispersione scolastica è oltre il 20%, situazioni di disagio strutturale, vite ormai dedite ad arrangiamenti di lavoro precario in nero, economie illecite o illegali, neet che in Sicilia hanno la loro culla europea con dati Guinness dei primati. Tutto questo fa capire il tracollo delle principali funzioni sociali degli enti preposti, Stato, Regioni e Comuni. C’è una carenza sanitaria forte, in Sicilia più che in altre regioni, poco lavoro giovanile e femminile, carenze nell’istruzione con un analfabetismo spinto, di andata o di ritorno, che non può essere messo in condizioni occupazionali, i servizi sociali dei comuni ridotti all’osso da decenni di riduzione dei trasferimenti, un’assoluta assenza di nuova edilizia popolare o di social housing. A questo si aggiunge che il salario reale, oltre a quello nominale, in Sicilia si è molto abbassato rispetto ad altre regioni. La favola che il costo della vita in Sicilia è più basso dipende da un paniere dei beni che è molto cambiato.

La grande distribuzione ha gli stessi prezzi in tutto il paese, non è che la pasta dei grandi marchi abbia prezzi minori, e così le bollette elettriche, quelle telefoniche e dei beni durevoli quasi tutti prodotti al nord, oppure il costo del carburante, nonostante noi lo produciamo, rispetto alle altre regioni, con notevoli costi ambientali. Tutto questo ha impoverito anche e soprattutto il ceto medio, in Sicilia costituito da impiegati pubblici o para pubblici, visto che non abbiamo un livello industriale elevatissimo. Anche perché se sei un forestale a 900 euro al mese o un precario a 700 euro in un comune sei già sulla soglia di povertà, nonostante tu sia considerato un para pubblico. Un autista di municipalizzata negli anni ‘80 si costruiva la seconda casa, magari un po’ abusiva, il cosiddetto “villino”. Oggi non riesce a mandare i figli all’università, e se c’è da rifarsi i denti ci rinuncia.

Se poi ti separi e sei una famiglia monoreddito, come molte famiglie siciliane, sei al collasso economico, sia lui che lei. Questi dati, se uno sociologicamente osserva la realtà, ci porterebbero ad un maggiore intervento su politiche sociali, tant’è che anche nel centrodestra siciliano si cominciano a copiare le politiche pentastellate sui redditi di cittadinanza, che in Sicilia avevano trovato praterie, portandola a diventare la terra più grillina d’Italia, capitale del pauperismo. E tra pauperismo e povertà il binomio è chiaro.

Così è se vi pare

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