Originario della Sicilia, a diciassette anni Giuseppe Amato ha lasciato la sua terra e a ventitré ha iniziato uno stage di sei mesi presso il ristorante di Heinz Beck “La Pergola” di Roma
Il 22 novembre 2021, LES GRANDES TABLES DU MONDE ha assegnato il premio Miglior Pasticcere da ristorazione al mondo a Giuseppe Amato.
Chi è Giuseppe Amato
Originario della Sicilia, a diciassette anni Giuseppe Amato ha lasciato la sua terra e a ventitré ha iniziato uno stage di sei mesi presso il ristorante di Heinz Beck “La Pergola” di Roma. I sei mesi sono diventati 18 anni, da parecchi dei quali Amato è il responsabile della pasticceria del tristellato locale.
È uno dei fondatori di PASS 121, un collettivo di cucina dolce, e membro dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani del cui direttivo fa parte dal 2021. Attualmente dirige scuole di alta formazione a Roma e a Palermo. È autore, con Lucilla Cremoni, di Rigore creativo. La pasticceria da ristorazione contemporanea (Chiriotti Editori, 2020), un lavoro seminale e pionieristico sull’argomento.
Ha ricevuto il premio “Domori l’Espresso” -I ristoranti d’Italia- Le Guide de L’Espresso assegnato alla Pergola come migliore pasticceria dell’anno nel 2018 e il riconoscimento come miglior Pastry Chef d’Italia per il SANTA ROSA PASTRY CUP nel 2019.
Nel 2020-2021-2022 è tra i 10 migliori Pastry Chef d’Italia per la guida Pasticceri e Pasticcerie del “GAMBERO ROSSO”.
Nel 2021 è stato giudice alla Coupe du monde de la Pâtisserie sezione Pastry Chef.
È un venerdì pomeriggio quando direttamente da “La Pergola” di Roma, Giuseppe Amato risponde al telefono e inizia a parlare di sé. Si racconta senza risparmiarsi. Traspare subito la sua umiltà quando gli chiedo come sta, il legame forte con la Sicilia quando passa in rassegna i ricordi dell’infanzia e il grande amore per la pasticceria quando entusiasta descrive le sue creazioni.
Un premio che emoziona
Giuseppe, Miglior Pasticciere da ristorazione al mondo per Les Grandes Tables Du Monde. L’ennesimo riconoscimento per lei. Suona abbastanza altisonante, almeno per me. Come la vive stavolta?
(Nda ride) “Al momento mi trovo al centro di un mare mosso con una piccola barca e sto aspettando di rientrare al porto. Le spiego perché: sono bombardato da mille chiamate, mille messaggi. È difficile dirle come la sto vivendo. Provo emozione pura e immensa gratitudine. Mi stanno mostrando molta vicinanza sia gli amici e i parenti sia la parte media e social. Sono strafelice. Il lavoro si sta aprendo in modo pazzesco: non che prima non ce ne fosse, ma adesso sembra che tutti mi vogliano. Purtroppo, non riesco ad accontentare tutti, ma è davvero una grandissima soddisfazione”.
Qual è la giornata tipo di Giuseppe Amato, pasticciere da ristorazione?
“Lavoro da diciotto anni presso “La Pergola”. Sono direttore di due scuole: una a Palermo e una a Roma. Collaboro con due aziende, faccio parte dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani di cui dal 2021 sono nel direttivo e sono co- fondatore del gruppo PASS 121. Cerco di barcamenarmi fra tutte queste cose.
Abito a 40 chilometri dal ristorante. Per cinque giorni su sette mi alzo alle 6, faccio lezione dalle 8 alle 14, poi vado al ristorante dove lavoro fino a quando c’è l’ultimo cliente in sala. Domenica e lunedì mi dedico alla scuola di Palermo, dove cerco di andare almeno due volte al mese. A questo si aggiungono lezioni in altre scuole dove cerco di trasmettere ai ragazzi la mia passione. Più che passione è amore”.
La pasticceria iniziata come gioco
Qual è il primo ricordo che ha di lei bambino che prepara un dolce?
“Se non erro, avevo undici anni. Mia madre è casalinga e ci coccolava preparando dolci in casa. Ho avuto la fortuna di avere una madre che mi faceva “sporcare le mani”. Il mio primo dolce è stata una crostata crema e fragole. All’epoca era un gioco, adesso non lo è più”.
Su quali dolci tentennava all’inizio?
“Tentennavo su tutto perché la pasticceria è difficile. A volte si sminuisce il lavoro del pasticciere, ma la pasticceria è fisica, chimica e precisione. Bisogna studiare e non perdere mai la voglia di imparare. E poi c’è la manualità. Bisogna affinarla ma anche capire che ciascuno ha la propria; per questo la stessa ricetta non viene a tutti allo stesso modo, come ripeto sempre ai ragazzi con cui condivido le giornate. Chi conosce di più la materia prima e il metodo, vince. Ma è solo una questione di esperienza”.
L’esperienza a “La Pergola”
È a “La Pergola” da 18 anni. È iniziato tutto con uno stage di pochi mesi e oggi è il responsabile della pasticceria del locale. Quanto è stato importante avere una realtà che credesse in lei?
“Nella mia carriera personale credo di aver dato qualcosa a “La Pergola”, però posso dire che ho ricevuto veramente tanto dal punto di vista di formazione, crescita personale, conoscenza della materia prima e possibilità di affinare il palato, cosa fondamentale per noi pasticceri da ristorazione. Mi ha permesso di viaggiare e conoscere realtà nuove e internazionali che mi hanno arricchito professionalmente, esperienze che poi ho riversato nel mio lavoro al ristorante. Anche se un giorno dovessi lasciarla, sarò sempre grato alla Pergola e allo chef (Heinz Beck, nda) che ha creduto in me e mi ha dato la possibilità di esprimermi al meglio e sviluppare le mie potenzialità”.
Che pasticciere è Giuseppe Amato?
“Un pasticciere strano (nda ride) perché mi piace provare, sperimentare, mettersi in gioco. Ma senza mai scordare che lo scopo più importante, e la gratificazione più grande, è soddisfare il cliente”.
A proposito di sperimentare, fino a dove spingersi per non intaccare la tradizione?
“Ciò che cerco di fare è innovare dal punto di vista visivo, mantenendo gli ingredienti dei dolci tradizionali. Gusti vicinissimi, accostamenti probabilmente diversi, ma sempre rimanendo sul tema. Se il cannolo siciliano richiede l’arancia candita, il mio cannolo deve avere quell’ingrediente, magari ma sotto forma di aroma o di altro. Ma solo se si conosce bene la tradizione la si può “stravolgere” trasformandola in un dolce contemporaneo”.
La Sicilia sempre presente nei dolci di Giuseppe Amato
Della Sicilia cosa c’è nei suoi dolci?
“Tutto. La inserisco anche quando in teoria non c’entra nulla. Ad esempio, arancia, limone o mandorla non sono solo prodotti, ma simboli che ci rappresentano e io li inserisco, magari in percentuali minime, come omaggio alla mia terra ma anche per dare un tocco o sottolineare un aroma”.
Il ruolo della cucina in Tv
Oggi la cucina, pasticceria compresa, è stata sdoganata con programmi tv e food influencer. Cosa ne pensa?
“La pubblicità e i social oggi sono l’anima del commercio. Gli chef e i pasticcieri fanno bene ad andare in televisione perché hanno fatto conoscere questo nostro mondo”.
Parteciperebbe mai a uno di questi programmi?
“Io dico sempre che un pasticciere lavora in pasticceria (laboratorio o ristorante che sia). Ben vengano la televisione e i social, basta che non si ecceda con il rischio di allontanarci dal nostro vero lavoro. Nessuno potrà togliermi dal laboratorio che amo, e in cui mi esprimo al meglio. Se si bilanciano bene le due cose, però, si possono ottenere dei buoni risultati”.
I dolci di cui andare fiero
Qual è il dolce di cui va più fiero?
“Sono due. Il primo è il cannolo 2.0. Descrive le mie origini, i profumi della mia terra e i miei conterranei. Ha in sé la mia infanzia, mi ricorda la mia famiglia e il mio passato.
Il secondo dolce si chiama “Ricordo di ciambella” sul menu, ma il vero nome è “La bomba diventa ciambella”. Bomba fritta e ciambella sono molto popolari a Roma, e i miei figli da piccoli li adoravano: mia figlia andava pazza per la ciambella, il maschietto per la bomba ripiena di nutella. Così al sabato, quando rientravo, li portavo a casa, e se non ero riuscito a farli li compravo. I due prodotti si ricavano dallo stesso impasto e, dopo averci studiato su per bene, ho creato questo dolce che per me è un ritratto della nostra famiglia: al centro della ciambella, che nasce dalla bomba, ci sono mia moglie e i miei figli, e io sono la parte esterna che li abbraccia e li protegge”.
Alla base di questi due dolci c’è la famiglia: quella da cui viene e quella che ha costruito…
“Assolutamente. Tutto quello che oggi sono e ho a livello di soddisfazione personale e professionale lo devo alla mia famiglia d’origine che mi ha insegnato l’umiltà, mi ha guidato e mi ha permesso di partire a fare esperienza. Ma lo devo in ugual modo a mia moglie e ai miei figli che mi permettono di guardare costantemente avanti senza mai limitarmi. Le mie famiglie ci saranno sempre”.
I consigli per i giovani pasticceri
Oggi è all’apice del successo per un pasticciere da ristorazione. Ci sono stati momenti in cui ha avuto paura di sbagliare o di fallire?
“Anche oggi ho paura di sbagliare ed è questo che ti dà lo stimolo per fare sempre meglio. Quando conosci i tuoi limiti ti impegni per superarli. Quando ti pavoneggi, allora stai sbagliando tutto. Le porte in faccia le abbiamo prese tutti”.
Ha due scuole in cui forma giovani pasticcieri. Quali sono i consigli che dà?
“Si deve avere voglia di investire tanto tempo in questo mestiere. Inoltre, la passione per questo lavoro non basta, ci vuole l’amore perché la passione passa, ma l’amore resta”.
Lei è goloso?
“Io sono goloso quando i dolci non li faccio io. È bizzarro, ma è così. I gusti dei miei dolci io li conosco benissimo. Per poter impiattare un dolce, prima lo devo assaggiare. Ho dei collaboratori e mi sento in dovere di assaggiare. Allo stesso tempo conosco i miei dolci. Quando vado fuori, pranzo o cena, divento goloso”.
I nuovi dolci da “lanciare”
Quali sono i nuovi dolci di cui può raccontarci?
“Da pochi giorni abbiamo messo sul menu un dolce con olive, bergamotto e nocciole. Ho fatto un dolce con le castagne, pop corn e tartufo bianco. Qualche mese fa abbiamo inserito in menù un dolce che si chiama “Colazione prima di mezzanotte”. Ho lavorato molto e ho “stravolto” quel classico formato da pancake, frutti di bosco e yogurt. È diventato un dolce molto elegante e bello, servito in fasi successive”.
Sandy Sciuto