Luca Bianchi, direttore Svimez, “Il South working è un fenomeno interessante, da approfondire e studiare". Il lockdown ci ha fatto conoscere il lavoro agile, ora molte aziende iniziano a usarlo regolarmente. Italia ultima in Europa per occupazione femminile
CATANIA – Il Coronavirus, il lockdown e poi la scelta di molte aziende di continuare a lavorare impiegando i propri addetti da remoto. Così l’Italia si affaccia allo smart working, realtà già consolidata da tempo nei Paesi del Nord Europa e promossa da diversi anni dall’Ue. Una forma di lavoro che sembra comportare numerosi vantaggi per imprese e lavoratori: le prime possono risparmiare sui costi fissi per gli uffici; i secondi possono gestire meglio la loro vita privata, contare su orari flessibili e lavorare con minore stress. Ma sono il Mezzogiorno e le donne a poter cogliere quest’opportunità per modificare la loro infelice condizione.
“Il South working? È un fenomeno interessante, da approfondire e studiare. Però bisogna creare prima le condizioni favorevoli perché possa diventare una reale condizione di rilancio per il Mezzogiorno”, chiosa Luca Bianchi – direttore della Svimez – in vista del prossimo Rapporto autunnale con un capitolo dedicato al “tema nuovo, che non è più quello di offrire le migliori condizioni per la localizzazione delle imprese bensì per l’attrazione delle persone”.
Un cambio di paradigma che potrebbe arginare la famigerata “fuga dei cervelli”, ma che non può avvenire completamente – secondo il direttore – senza un’adeguata riflessione sulle pari opportunità: “Il lavoro a distanza deve essere supportato anche da interventi pubblici, attraverso i Comuni che mettono a disposizione ad esempio aree attrezzate di co-working, in modo da rendere lo sviluppo, oltre che più equilibrato, anche più sostenibile e sociale”, continua Bianchi.
Mentre Svimez è già all’opera per raccogliere i dati statistici sulle persone attualmente in South working, occorre iniziare a valutare lo smart working pure in relazione alla questione di genere.
Secondo il Censis, l’Italia sarebbe l’ultima in Europa per occupazione femminile, con 9.768.000 lavoratrici che rappresentano il 42,1% degli occupati complessivi e con un tasso di attività femminile del 56,2% (contro l’81,2% della Svezia, capolista tra i Paesi europei). Gli uomini, invece, registrano un tasso di attività pari al 75,1%.
Come se ciò non bastasse, una donna su tre è impiegata part time (32,4%), mentre gli uomini che lavorano a tempo ridotto sono soltanto l’8,4%. Una scelta “obbligata” per il 60,2%, che vede la grande differenza nel reddito annuo e pensionistico. Una triste condizione dettata dall’assenza di politiche sociali adeguate – secondo l’Istat i servizi educativi per la prima infanzia coprono solo il 24,7% dei potenziali utenti e principalmente nel Nord Italia, mentre in regioni come la Campania meno di 9 bimbi su 100 possono frequentare un nido, senza considerare i lunghi periodi di chiusura degli istituti – e da un retaggio culturale che ritiene le donne ancora le uniche responsabili del focolare domestico.
Secondo i dati Istat, in Italia una donna su dieci con un bambino (al Sud i dati riferiscono addirittura di una su cinque) non ha mai lavorato, una percentuale dell’11,1%, contro la media europea del 3,6%. Se il tasso di occupazione dei padri è dell’89,3% (mentre quello degli uomini che non abitano con i figli è dell’83,6%) quello delle mamme che lavorano è soltanto del 57% (quello delle donne senza figli coabitanti è del 72%). Le famiglie che usufruiscono dei servizi – considerati il più delle volte troppo cari – sono meno di un terzo. Il 38%, invece, si rivolge ai nonni e agli amici per l’assistenza dei figli.
Se il trasferimento in una città diversa dalla propria per ragioni di lavoro comporta normalmente un disagio emotivo, affettivo ed economico (spese di trasloco, affitto di casa, abbonamento per i mezzi pubblici, etc), i costi di trasferimento di una neomamma risultano insostenibili (asilo, mensa scolastica, babysitter, affitto di un appartamento più grande).
Allora lo smart working può offrire anche alle donne l’opportunità di realizzarsi professionalmente, senza rinunciare alla loro maternità. È quello che è accaduto a Grazia, che lavora per una multinazionale francese. “Dopo anni trascorsi a occuparmi di comunicazione, oggi mi occupo di IT per Commanders Act, che ha una sezione a Milano alla quale è attribuita l’area del Sud Europa. Da un anno e mezzo lavoro in smart working, pur viaggiando 1-2 volte al mese tra Milano e Parigi, a seconda delle necessità, per mantenere il contatto con il team e con i clienti – racconta -. Questo mi dà la possibilità di lavorare per una multinazionale pur rimanendo a Catania, in un settore tra l’altro localizzato nelle principali capitali, dove il costo della vita è altissimo. Ma mi offre soprattutto il vantaggio di lavorare per obiettivi e di godermi la mia famiglia. Non ho orari di lavoro rigidi, alla stessa stregua dei liberi professionisti, pur non facendo pesare al cliente finale questa flessibilità. A Catania ho la mia rete familiare che mi consente di lavorare a tempo pieno, senza far mancare nulla a mio figlio”.