Viviamo nel tempo dei paroloni: “Iconico, mitico, pazzesco”, che si diffondono come modi di dire, quasi fossero un codice, soprattutto fra i/le giovani, ma anche fra i/le meno giovani.
Il linguaggio, come tutte le abitudini umane, è in continua mutazione in relazione a ciò che accade, alle usanze che si instaurano, alle relazioni interumane. Tutto ciò è naturale e non desta alcuna sorpresa. Guai a guardare il passato con nostalgia, anche se va sempre tenuto presente, per utilizzare le esperienze precedenti nella formulazione di progetti futuri.
Guardando avanti si deve avere l’obiettivo di acquisire nuove competenze. Diceva Immanuel Kant (1724-1804): “Bisogna osare per acquisire conoscenza”. La conoscenza è il bene più prezioso che ci sia al mondo perché consente di capire meglio fatti e circostanze che accadono per regolarsi di conseguenza.
La questione è se le persone ritengono necessario acquisire conoscenze oppure le ritengono superflue, per cui se ne può fare a meno.
Oggi tutti ritengono di poter apprendere ciò che non sanno interrogando lo smartphone, il quale diventa una sorta di droga – l’abbiamo scritto più volte – che crea dipendenza, tanto che lo si pone sul comodino prima di andare a letto e lo si prende immediatamente appena ci si sveglia (senza tenere conto degli effetti sulla salute fisica e mentale della vicinanza dello stesso durante tutta la notte).
Dunque, lo smartphone non è più diventato per molta gente un mezzo, bensì il padrone e questo è male perché quando si invertono i ruoli, si inverte l’importanza degli strumenti e, per conseguenza, le idee restano confuse.
Vediamo moltissima gente che cammina per le strade con lo smartphone in mano, che fa la spesa con lo smartphone in mano, che percorre, purtroppo, strade e autostrade guidando con lo smartphone in mano e così via; sono innumerevoli gli esempi di eccesso di utilizzo di questo strumento, di per sé utile, ma dannoso quando se ne abusa.
Il tempo che vi si dedica diventa eccessivo e fuor di luogo, poiché occupa quello spazio che invece dovrebbe essere dedicato al silenzio o al colloquio fra persone, alla riflessione, all’apprendimento e alle esperienze.
Qualcuno sostiene: “Spegnere lo smartphone per riprendersi il proprio tempo”. Non sembri una bestemmia, ma una dose di sano realismo perché non può esservi sostituzione dell’uso di un attrezzo – che è un mezzo e non un fine – rispetto alla nostra elaborazione, cioè all’elaborazione del nostro cervello, che non solo coordina i diversi sistemi del corpo, ma acquisisce informazioni, le elabora e ci consente di fare valutazioni e prendere decisioni.
Ecco, le persone umane – non tutte per fortuna – stanno perdendo la loro identità ed intrinseca qualità, diventando quasi dei robot.
Sembra di girare intorno al nocciolo del problema, che è la capacità di ogni persona di essere tale e di vivere come tale. Per fare ciò bisogna assumere informazioni, ma assumerle come mezzo e non come fine. Informazioni utili a vivere meglio, a saperne di più e a percorrere il tracciato da persone per bene, rispettose del prossimo e in condizione di dormire con la coscienza pulita.
Qualcuno potrebbe obiettare che non vi è alcun nesso fra la propria coscienza e lo smartphone. Rispondiamo chiedendo attenzione e trovando, invece, il collegamento fra coscienza e smartphone perché quest’ultimo, spesso, si utilizza in uno stato di incoscienza, il che è esattamente l’opposto di quello che serve.
Non si fa molta fatica a spiegare questi semplici fatti, basta avere la volontà di leggerli come sono, senza interpretazioni astruse e senza pensare in maniera difforme da una linearità che dovrebbe essere presente nei nostri comportamenti e nel nostro modo di agire.
Insomma, lo smartphone è entrato prepotentemente nell’uso della grande maggioranza delle persone. Forse bisognerebbe opporsi a tale prepotenza. Ovviamente ognuno è libero/a di pensarla come vuole e di ritenere positiva la comodità che offre l’apparecchio. Tuttavia, non si può omettere la necessità di una riflessione sul suo abuso. Un abuso che può creare i danni prima elencati e molti altri. Riprendiamoci il nostro tempo.