Quanto inquina un termocombustore costruito con le più moderne tecnologie a nostra disposizione? Il Quotidiano di Sicilia lo ha chiesto più volte a vari professionisti del settore
I termocombustori sono un tassello fondamentale dell’economia circolare in quanto consentono di recuperare energia e calore dai rifiuti urbani indifferenziati. Quello che è “munnizza” può trasformarsi in risorsa energetica. Come accade già in molte parti di Italia. A Bolzano, per esempio, dove il termocombustore locale permette di scaldare fino a diecimila cittadini.
“Attualmente cediamo in rete circa 100.000 MWh all’anno di energia termica – ha dichiarato al QdS a novembre 2020 Marco Palmitano, direttore generale di Eco Center, azienda che gestisce l’impianto altoatesino – A pieno regime potremmo cedere fino a oltre 20.000 MWh al mese. Oltre all’energia termica possiamo produrre energia elettrica con una turbina da 15 MW. Nel caso di cessione massima di energia termica siamo comunque in grado di produrre contemporaneamente circa 12 MW di energia elettrica”.
Un vantaggio indiscusso. Ma non per coloro che si oppongono alla costruzione di questa tecnologia in Sicilia. A parer loro il danno ambientale sarebbe troppo elevato. Ma quanto inquina un termocombustore costruito con le più moderne tecnologie a nostra disposizione? Il Quotidiano di Sicilia lo ha chiesto più volte a vari professionisti del settore.
“Oltre ai controlli previsti per legge – ha risposto Palmitano – viene fatto un campionamento continuo dei fumi sui quali facciamo vari controlli. Abbiamo anche fatto uno studio di Land Monitoring per misurare in campo l’effettiva ricaduta al suolo dei fumi dal camino ottenendo valori bassissimi di concentrazione del gas tracciante utilizzato. Con il calore ceduto al teleriscaldamento siamo in grado, al netto dei fumi immessi in atmosfera, di ridurre le polveri e altri inquinanti del 20% circa a pieno carico rispetto all’utilizzo dei riscaldamenti domestici a metano”.
E la situazione non cambia di molto spostandosi un po’ più a sud, nei termocombustori di Iren ambiente. “L’impatto ambientale dei nostri termovalorizzatori – ha dichiarato al QdS Mauro Pergetti, il direttore impianti della società – è minimo grazie ad una gestione efficace e ad una tecnologia di depurazione dei fumi di combustione all’avanguardia. Durante la fase di esercizio dell’impianto, il monitoraggio ambientale è effettuato attraverso il sistema di monitoraggio delle emissioni. Gli impianti hanno inoltre centraline di monitoraggio della qualità dell’aria gestite dalle Arpa locali ed inserite all’interno della rete di monitoraggio. Tutti i rapporti annuali redatti dagli enti di controllo in questi anni hanno sempre dichiarato che la qualità dell’aria nei pressi degli impianti non ha subito variazioni significative dall’entrata in funzione del termovalorizzatore, a dimostrazione della loro piena sostenibilità”.
È dunque chiara l’utilità di questi impianti in Sicilia, anche per cercare di raggiungere l’obiettivo “rifiuti zero”. Obiettivo irraggiungibile senza gli impianti adeguati a recuperare la spazzatura non riciclabile. “La normativa europea – spiega Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente – prevede entro il 2035 una percentuale giustamente non di raccolta differenziata, ma di riciclaggio del 65%. Il che vuole dire, considerando in modo cautelativo gli scarti della differenziata, arrivare ad una percentuale di almeno l’80%, con residui che andranno considerati nei fabbisogni impiantistici”.
Impianti che a loro volta produrranno degli scarti che sarà impossibile riutilizzare se non recuperandoli energeticamente. “Da questi impianti – commentava già nel 2018 il professore di Impianti chimici dell’Università di Catania Giuseppe Mancini – spuntano ingenti scarti di raffinazione che pesano per circa il 15% del rifiuto totale e sommandosi al 35% restante senza i termocombustori portano ad una montagna (50%) di rifiuto ancora da gestire”.