Stereotipi e gap di genere: parla la sociologa Graziella Priulla. “C’è un tentativo di ricacciarci indietro nel tempo anche nella vita privata. Ma le donne di oggi hanno poca capacità di mobilita
PALERMO – Di cosa parliamo quando discutiamo di donne e lavoro in Sicilia? Parliamo di un tasso di occupazione che a fine 2019 si aggirava intorno al 35%, a fronte del 45% della media nazionale e del 63% del Centro-Nord, e che al 31 dicembre 2020, complice la pandemia e il lockdown, pare essere sceso al 30%, secondo quanto rilevato da Bankitalia.
Parliamo, ancora, di un tasso di disoccupazione che è il doppio di quello nazionale e tra i più bassi di Europa. E parliamo anche di una sfiducia estesa che spinge il 50% della popolazione femminile a non cercarlo neanche un lavoro, incrementando così la fitta schiera degli inattivi.
In questo scenario desolante, però, sembra esserci un po’ di spazio per lo spirito di impresa: secondo i dati dell’Osservatorio dell’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere, a fine 2020 la Sicilia era tra le regioni italiane che hanno registrato un incremento, uno +0,54% per l’esattezza, di aziende guidate da donne.
Ci sono davvero due isole? Esistono strumenti efficaci in grado di risolvere un problema che ormai è strutturale? C’è davvero voglia di cambiare? Le donne sono davvero libere di scegliere cosa diventare?
Abbiamo discusso di questo con la sociologa Graziella Priulla.
A fronte di una disoccupazione femminile che continua a crescere, aumentano le aziende a trazione femminile. Sembrano esserci sue Sicilie, una ferma e radicata a un preciso ruolo della donna, disoccupata, casalinga e madre, e una invece che cerca di cambiare e crescere, anche se forse la seconda è una fetta ancora troppo piccola.
“Non trovando un’occupazione, un lavoro soddisfacente rispetto a quello che offre il mercato, molte donne si danno da fare per conto loro. Certamente ci sarà una quota di prestanome, però è anche vero che il dinamismo delle giovani è visibile. Per altro, le ragazze si laureano prima degli uomini, sono in maggioranza e hanno carriere accademiche migliori”.
Noi e la Campania, per altro, siamo le uniche due regioni in cui il saldo tra natalità e mortalità è positivo. Qui si fanno ancora figli.
“Questo è vero. Ho trovato ragazzine incinte anche nelle scuole medie e questo dipende anche dalla mancanza di un’informazione sessuale all’altezza del contesto e dall’incapacità di usare la contraccezione, condizione parecchio diffusa al Sud. Tra l’altro, è pieno di ginecologi che non vogliono saperne di metodi contraccettivi e la maggioranza della ragazze siciliane non ha l’abitudine di andare da un ginecologo”.
Sembra inoltre, complice la pandemia, che la distanza che le donne professionalmente ed economicamente competitive e quelle non indipendenti e non occupate si sia estesa.
“Era prevedibile, ma la Sicilia è sempre stata contraddittoria. In Sicilia, per esempio, ci sono state le prime sindache e ancora oggi si fa fatica a registrare un dato univoco. Le donne siciliane sono attive e presenti nei movimenti, nei partiti, nei gruppi. Non darei un quadro unico, si tratta di una terra ricca di sfaccettature e controsensi. Nel movimento antimafia le donne si sono fatte valere, sono state presenti. Bisogna anche distinguere tra la grande città e i piccoli centri, tra il centro e la periferia. C’è ancora addirittura una sacca di evasione scolastica e questo sta accanto a molte laureate che si fanno valere, a donne che guidano centri di ricerca e molte docenti che hanno prestigio nelle loro facoltà. È un quadro composito, insomma. Le donne poi occupano una grande fetta del precariato e in tempi come questi le occupate con contratti a termini e le occupate marginali sono state le prime a essere lasciate a casa. I dati sui licenziamenti sono inequivocabili, su 100 mila posti di lavoro persi, 90 mila sono di donne”.
È anche un momento storico in cui molte donne occupano posizioni di rilievo per la prima volta. La competenza e specializzazioni sembrano pagare. Potrebbe anche essere un problema di alfabetizzazione?
“Certo, non c’è dubbio, però le donne sono mediamente più analfabetizzate degli uomini. E qui ritorna la contraddizione. È un campo delicato, dove le statistiche servono fino a un certo punto perché non riescono a registrare le punte individuali e i controsensi. È vero però che in Sicilia, come nel resto del Meridione, gli stereotipi sessisti sono molti diffusi, per cui un uomo che non lavora è un disastro e una donna che non lavora non è un problema”.
I dati di Bankitalia riguardanti la Sicilia dicono inoltre che le donne le più sfiduciate. Addirittura il 50% non cerca neanche un lavoro, arricchendo la fitta schiera degli inattivi e il dato ha interessato maggiormente le over 35″.
Quali possono essere i motivi?
“Questo è lo scoraggiamento dato da un mercato del lavoro asfittico come quello siciliano, a cui poi bisogna aggiungere che i canali amicali e clientelari in Sicilia sono molti più potenti che altrove. Dove i criteri di selezioni non sono meritocratici e vige la raccomandazione, è inevitabile che le prime a rimetterci siano le donne, perché poi nei concorsi hanno anche i risultati migliori. Credo sia una necessità accrescere l’autostima femminile e anche indirizzare le donne verso discipline scientifiche, dove si trova lavoro più facilmente rispetto alle solite sacche della pedagogia, delle scienze dell’educazione e della comunicazione. Forse la maggior parte crede di non farcela, quindi bisogna dire alle donne che possono raggiungere tutti i traguardi che vogliono”.
Se però poi in Parlamento abbiamo politici come Pillon, come si fa?
“Questo fa parte della dialettica politica che c’è in tutti i paesi e che in questo momento ha visto una recrudescenza. Basti guardare a quello che succede in Ungheria o Polonia. C’è questo tentativo di ricacciarci indietro anche rispetto alle conquiste della seconda parte del Novecento e riguarda tutto, persino la vita privata. Si mettono in discussione il diritto alla contraccezione o all’aborto, che noi davamo per scontati e che adesso vengono rimessi in discussione”.
I discorsi che riguardano le donne sono gli stessi da anni, mi chiedo se arriveremo mai a una soluzione. È possibile? Anche mi rendo conto che è una domanda difficile, se non impossibile.
“Le altre non erano da meno e io non le ho neanche detto qualcosa di originale. Piuttosto, c’è un’altra cosa che ho notato nelle giovani donne in Sicilia, ma forse anche in altre regioni: è che sono poche quelle interessate alla vita politica e che combattono per i propri diritti, hanno poca capacità di mobilitazione rispetto alle generazioni precedenti. Sono sfiduciate, non credono più nella politica, non pensano che la situazione possa cambiare. I diritti non valgono per sempre, si può tornare indietro, questo le ragazze devono tenerlo presente. È surreale che stiamo ancora parlando di diritto all’aborto e alla contraccezione. Io giro molto nelle scuole e ogni volta mi fanno mille raccomandazioni, mi chiedono di non parlare di sesso, di metodi contraccettivi, di rapporti prematrimoniali perché questo potreste scandalizzare i genitori e corrompere i ragazzi. Se pensa che negli anni ‘70 l’educazione sessuale la faceva la Rai al pomeriggio, sembra di essere stati catapultati indietro e non abbiamo fatto nulla per fermare questa tendenza. Ci hanno convinto che ognuno debba risolversi i problemi per i fatti propri, come se non fossero invece battaglie collettive”.