Il direttore generale Bellantoni rassicura gli studenti: “L’Ateneo deve andare avanti”
CATANIA – “In autunno, probabilmente prima dell’inizio del nuovo anno accademico, avremo il nuovo rettore”. L’annuncio del direttore generale Candeloro Bellantoni apre il dialogo tra corpo docente e studenti in occasione dell’assemblea pubblica promossa dai giovani di “Link studenti indipendenti”, “Fronte gioventù comunista”, “Coordinamento universitario” e Mua (Movimento universitario autorganizzato) che, nella giornata di ieri, hanno occupato il rettorato.
L’obiettivo? Ottenere un dialogo con il direttore generale Candeloro Bellantoni “sui prossimi passi” che l’ente intende intraprendere per fronteggiare una potenziale paralisi amministrativa. Un rischio che si riempie di concretezza dopo le dimissioni del rettore Francesco Basile giunte a seguito dell’ordinanza del gip Carlo Umberto Cannella che ne ha disposto la sospensione nell’ambito dell’inchiesta Università Bandita. Un sistema sommerso che, come viene definito dagli inquirenti, presenta “dinamiche analoghe a quelle mafiose”, e coinvolge 14 atenei e 66 indagati, tra docenti e personale, di cui 45 dell’ateneo catanese.
“Non sono nessuno – sostiene Bellantoni – per commentare le dichiarazioni degli inquirenti”. Nominato dal cda il 29 maggio 2017, Bellantoni, in qualità di direttore generale, è il responsabile della complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico amministrativo. “Nient’altro che un burocrate”, si autodefinisce.”Ho appreso la notizia venerdì con grande costernazione – sostiene -, prima non ne sapevo nulla”. Ed è lui che – nel silenzio normativo e stante la situazione anomala, non prevista neanche dallo statuto Unict, che vede indagato anche chi “in assenza o impedimento” avrebbe dovuto fare le veci del rettore – sembra dover prendere le redini dell’ateneo fino a quando il decano ed ex preside della facoltà di giurisprudenza Vincenzo Di Cataldo non indirà le elezioni per ricoprire la carica di rettore.
Il direttore ha rassicurato gli studenti garantendo che l’inchiesta non inciderà sul prosieguo dell’attività didattica. “L’università è un’istituzione e deve andare avanti con gli esami e le sedute di laurea”, sottolinea. E circa l’emanazione di eventuali provvedimenti disciplinari rimanda tutto alla conclusione del processo penale.”Se ci saranno delle condanne – prosegue – l’Università dovrà certamente procedere a provvedimenti disciplinari, dal proscioglimento al licenziamento”.
A preoccupare gli studenti c’è il rischio che si vengano a creare situazioni lesive del diritto allo studio e lo spettro dell’aumento delle tasse. A fronte del potenziale calo di iscrizioni che potrebbe derivare dall’inchiesta, il contributo per il diritto allo studio e quello regionale potrebbe aumentare a dismisura. “Vigileremo – afferma Ludovica Intelisano di Coordinamento universitario – affinché in nessun modo venga intaccato il diritto allo studio. Se il numero di iscritti diminuisce, le tasse non devono aumentare”.
Ma il direttore rassicura: “Questa inchiesta non inciderà sui finanziamenti”. Per Bellantoni “il diritto allo studio è concedere le stesse opportunità a parità di capacità. Chi è veramente povero, deve pagare poco”. Al contempo però pone l’accento su un altro male che attanaglia l’ateneo catanese. “Su 40mila iscritti ben 18mila non pagano nulla perché le dichiarazioni sono quelle che sono”. Un problema che Bellantoni intende affrontare ricorrendo alle fiamme gialle. “Sarò impopolare, ma è una battaglia che continuerò anche con l’ausilio della Guardia di finanza”, sottolinea.
“Gli ordinari non sono tutti baroni, ma tutti i baroni sono ordinari”. Parole forti quelle pronunciate da Attilio Scuderi, professore associato di letterature comparate. “L’Università – sostiene il docente – deve stare lontana dalle pressione delle lobby, delle massonerie ma le buone leggi senza i buoni costumi non funzionano”. Per Scuderi “è evidente che ci sono elementi distorsivi” incentivati anche dalle riforme legislative che si sono susseguite in questi anni. “Riteniamo che ci siano dei vizi di sistema: la riforma Gelmini era stata annunciata come quella legge che avrebbe messo al bando le baronie e invece con la previsione dei concorsi interni le ha consolidate”.