Anche un obbligo di dimora tra i componenti di una banda. Nell'operazione della Finanza sequestrati beni per mezzo milione di euro, tra cui un ristorante. Interessi del 140% nel Palermitano e a Roma
La Guardia di Finanza di Palermo ha eseguito cinque misure cautelari e sequestrato beni per 500 mila euro ai componenti di una organizzazione criminale accusati di associazione a delinquere, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, usura, estorsione e autoriciclaggio.
Uno è finito in carcere, tre ai domiciliari e uno ha il divieto di dimora nel territorio palermitano.
Sono Salvatore Cillari – il capobanda, fratello di un boss mafioso -, finito in carcere, il figlio Gabriele, ai domiciliari con Matteo Reina e Giovanni Cannatella e Achille Cuccia che ha avuto il divieto di dimora a Palermo.
Il provvedimento è stato emesso dal Gip di Palermo su richiesta della locale Procura, che ha coordinato le indagini condotte dal Nucleo di polizia economico – finanziaria, diretto dal colonnello Gianluca Angelini.
Lo stesso giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro dei locali di un ristorante nel quartiere “Capo” di Palermo, altri due immobili, una moto e conti correnti per mezzo milione di euro.
Nel ristorante, un locale alla moda nel quartiere Capo – il ristorante, “L’Acerba”, sequestrato – a pochi metri dal palazzo di giustizia di Palermo, Gabriele Cillari riciclava i soldi sporchi intascati con l’usura.
Gli investigatori hanno utilizzato intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese e soprattutto hanno esaminato i flussi finanziari degli indagati.
Secondo quanto accertato, l’organizzazione criminale, a partire dal 2016, avrebbe erogato prestiti con l’applicazione di tassi di interesse di tipo usurario nei confronti di decine di persone nell’area palermitana e romana.
Parte dei proventi illeciti intascati sarebbero stati poi “autoriciclati” da Cillari figlio, attivo “collaboratore” del padre nelle azioni criminali, in un’attività economica nel settore della ristorazione nella zona della movida palermitana.
Altri indagati avrebbero agito a vario titolo come intermediari, entrando in contatto con le vittime, proponendo “piani di rientro” e invitando i debitori a rispettare la scadenza delle rate concordate.
A spingere le vittime a rivolgersi alla banda è stato il grave stato di bisogno, aggravato dal lockdown causato dall’emergenza Covid.
E’ stato scoperto, inoltre, un un sistema professionale basato sul rilascio di assegni postdatati utilizzati a garanzia dei prestiti erogati e su dazioni in contanti, prive di qualunque tipo di tracciabilità, con l’obiettivo di “schermare” i passaggi di denaro.
Ai prestiti sarebbero stati applicati tassi di interesse che sarebbero arrivati fino al 140% annuo.
Per riavere i soldi gli indagati hanno esercitato anche minacce nei confronti delle vittime.
I militari, attraverso il controllo delle banche dati, hanno accertato la sproporzione tra i beni nella disponibilità degli indagati e i redditi dichiarati.
Il Comandante della Finanza, vittime non collaborano
“L’operazione dimostra il costante interesse delle organizzazioni criminali ad inquinare il tessuto economico legale mediante l’utilizzo di capitali illeciti. L’attività di usura degli indagati si è intensificata durante il periodo del primo lockdown causato dall’emergenza pandemica, sfruttando senza scrupoli il periodo di crisi economica a danno di piccoli commercianti in difficoltà. Purtroppo dispiace registrare che le vittime non sono state collaborative con gli investigatori nonostante le pressanti intimidazioni e minacce subite dagli usurai.”
Lo sottolinea il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della guardia di finanza di Palermo, commentando l’operazione “Tonsor” che ha portato all’arresto di quattro persone accusate di usura ed estorsione.
“Ribadisco ancora una volta che l’unico modo per uscire dalla morsa dell’usura, così come dell’estorsione, è denunciare questi criminali” conclude il generale della Guardia di Finanza.