Oggi l'ultimo incontro de "La voce delle donne" con i giovani del Convitto Cutelli. José Marano: "Recuperare aggressori". Anna Agosta: "Uomini violenti non sono malati psichiatrici".
Violenza sulle donne in Italia, oggi il secondo e ultimo incontro de “La voce delle donne” con i ragazzi e le ragazze del liceo Convitto Cutelli di Catania.
A partecipare al dibattito Patrizia Penna, giornalista e redattrice del Quotidiano di Sicilia; Anna Agosta, presidente dell’associazione Thamaia di Catania; José Marano, deputata all’Ars per il M5S; Eugenia Sallemi, neolaureata in giurisprudenza con tesi sperimentale sulla violenza di genere; Maria Stelladoro, docente di lettere classiche al Convitto Cutelli.
La violenza sulle donne nel panorama dell’informazione: “Basta con la cronaca ossessiva e con i dettagli cruenti”
Nel corso del primo incontro si è parlato a lungo della necessità di usare un linguaggio diverso per raccontare la questione femminile.
“Il Quotidiano di Sicilia ha a cuore le donne e più di un anno fa ha deciso di lanciare un nuovo contenitore d’informazione per dare voce alle donne, al loro talento spesso inespresso e per parlare delle sfide che le attendono. Ma anche per raccontare i loro drammi e la loro rinascita”, ha spiegato Patrizia Penna.
“Abbiamo scelto di raccontare la violenza di genere in modo differente rispetto al mainstream. Abbiamo deciso di dire basta al racconto di fatti di sangue, alla cronaca ossessiva e fine a se stessa e al racconto di dettagli cruenti sui femminicidi che spesso producono soltanto fenomeni di emulazione. Il nostro ambizioso progetto parte dalla consapevolezza che il grido d’aiuto delle donne vittime di violenza resta spesso inascoltato o addirittura fatto morire sul nascere, cosa ancora più grave”.
La questione femminile, in quanto fenomeno socio-culturale, non riguarda soltanto l’esigenza di condannare gli autori di femminicidio. Bensì l’urgenza di garantire le pari opportunità tra i sessi, ben lontane dall’essere raggiunte, e di costruire modelli culturali nuovi.
I bisogni delle donne e il centro antiviolenza Thamaia
A sostenere la complessità del fenomeno è Anna Agosta, presidente dell’associazione Thamaia che ogni giorno aiuta concretamente tutte quelle donne che si trovano a cercare una via d’uscita dalla situazione di violenza, scontrandosi con innumerevoli difficoltà: il bisogno di tutelarsi dall’aggressore e di ricevere assistenza legale; la mancanza di risorse economiche adeguate; la carenza di strutture pubbliche adeguate all’educazione e all’assistenza dei figli; la necessità di trovare occupazione in un mondo del lavoro in cui vengono richieste grandi competenze a fronte di scarse tutele e in cui il gentil sesso difficilmente incontra la disponibilità degli imprenditori, spaventati dalle incombenze della maternità; il bisogno di ritrovare la propria autostima e, talvolta, di ricostruire il rapporto con i figli turbato dalle tensioni familiari; la necessità di supporto psicologico per i minori vittime di violenza assistita; la paura di non farcela.
“La nostra associazione gestisce il centro antiviolenza, il servizio al quale le donne si rivolgono, con la garanzia della tutela dell’anonimato, potendo contare su reale accoglienza, consulenze legali e psicologiche, sostegno genitoriale e sportello di orientamento al lavoro. E lo fa con un approccio sistemico”, ha detto.
“Siamo partite dalla necessità di dover affrontare il problema della violenza maschile sulle donne che poco più di vent’anni fa non era conosciuto. Una ricerca del 2008, infatti, fece emergere una realtà sconvolgente: gli operatori del settore dichiaravano di non aver mai gestito una situazione di violenza sulle donne (…). E sappiamo per certo si trattasse esclusivamente di mancanza di consapevolezza“.
Violenza sulle donne, in Italia attivo il numero 1522
Oggi, per quanto ancora si sia lontani dall’uguaglianza di genere, c’è un dato positivo: le donne che si rivolgono a Thamaia sono sempre più giovani, il ché significa che si attende meno tempo per chiedere aiuto.
Chiunque ne avesse necessità per sé o per una propria cara, può contattare il centro chiamando da Catania il numero antiviolenza 1522.
I dati della violenza di genere e l’identikit dell’aggressore
I dati sulla violenza contro le donne in Italia sembrano sfuggire a qualsiasi statistica e confermare come l’ambiente più pericoloso per il gentil sesso sia proprio quello che dovrebbe garantire maggiore sicurezza: “Almeno 1 donna su 3 in Italia, nel corso della sua esistenza, subisce una forma di violenza. Nel 95% dei casi l’aggressore è l’attuale o l’ex compagno/marito. Non solo – continua Agosta -, sappiamo anche che gli aggressori nel 98% dei casi sono italiani e non ‘stranieri’, come erroneamente suggerito dall’attuale presidente Meloni”.
“Il 6% delle vittime si trova in Sicilia”, fa sapere la deputata all’Ars José Marano.
La violenza di genere non conosce nemmeno distinzioni sociali: “Spesso si crede che la violenza sulle donne investa soltanto i ceti sociali più bassi o sia frutto di una scarsa capacità di valutazione della donna in questione. Anche questo è un errore”, aggiunge la presidente di Thamaia.
“Inizialmente gli uomini violenti non si mostrano come tali e, soltanto dopo, cominciano la loro escalation. Il fenomeno è dunque endemico, trasversale, multidimensionale e sottostimato. Soltanto il 30% delle donne che si rivolge a noi poi denuncia effettivamente e la maggior parte di coloro che chiedono aiuto appartengono al ceto medio-alto”.
L’uomo violento è un “malato” psichiatrico?
L’azione di tutela delle donne vittime di violenza in Italia (e non solo) si scontra con grandi problemi ricorrenti: “Esistono tante forme di violenza che il nostro sistema giuridico in parte riconosce, ma difficilmente si riesce a punire l’aggressore”, continua Agosta. “Quando questo avviene, poi, i luoghi comuni che derivano dal nostro contesto culturale – che vede le donne solo come madri e come casalinghe sulle cui spalle deve pesare l’intera cura della casa e dei familiari non autosufficienti, a prescindere dall’impegno professionale – fa sì che le vittime vengano colpevolizzate, anche nelle aule di tribunale. Ci si chiede assurdamente in che misura e in che modo le vittime abbiano ‘cercato’ e ‘meritato’ quello che hanno subìto”.
Lo stesso però non avviene a carico dell’autore di reato: “Si assiste spesso al trionfo di tesi che ritengono gli aggressori come soggetti affetti da patologie psichiatriche, o dipendenti da sostanze stupefacenti, che a causa di ‘raptus incontrollabili’ commettono violenze sulle donne. E invece no, quasi la totalità degli aggressori è perfettamente in grado di intendere e di volere, ma è frutto di una cultura che sostiene la disparità di potere e di opportunità tra uomini e donne. Lo dimostra il fatto che gli stessi aggressori, nella loro vita sociale, non mostrino gli stessi segni di aggressività che, invece, rivolgono unicamente alla donna nella loro vita privata”.
José Marano: “Recuperare gli aggressori con percorso terapeutico”
Nel corso dell’incontro la deputata all’Ars José Marano, dopo aver introdotto ultimi interventi normativi che hanno riconosciuto i reati di “revenge porn“, di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, di costrizione al matrimonio e di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento, ha condiviso con i ragazzi la sua personale idea maturata durante la sua esperienza politica.
“Vi ho parlato di reclusione e sanzioni, ma sarebbe importante attivare dei processi educativi diversi. Se io da donna comincio ad avere degli accenni di violenza da parte di un uomo, secondo me, dovrebbe scattare un processo di riabilitazione psichiatrica dell’aggressore – ha detto -. La riabilitazione a mio parere potrebbe recuperare soggetti che hanno dei disagi, perché non credo siano tutti irrecuperabili e quest’intervento potrebbe essere risolutivo”.
A proposito della necessità dell’emancipazione economica delle donne ha aggiunto: “Esiste uno strumento poco conosciuto che è il reddito di libertà che può aiutare le vittime. Per le pari opportunità economiche, abbiamo proposto una legge a sostegno della parità salariale, visto che in media le donne guadagnano il 16% in meno rispetto al compenso riservato agli uomini”.
Diverso è invece il parere di Anna Agosta: “Il reddito di libertà non è conosciuto per il semplice fatto che le somme stanziate siano irrisorie e perché i Comuni dovrebbero attivarsi per poterli effettivamente erogare, cosa che non sempre avviene. Inoltre la norma è stata da noi criticata perché riservata soltanto a coloro che hanno richiesto l’intervento dei servizi sociali, escludendo tutte le altre vittime. Riguardo il recupero degli aggressori, oltre alla difficoltà di risolvere un problema a chi non lo riconosce, posso dire che spesso e volentieri tali percorsi – che esistono già – vengono intrapresi dagli aggressori in via del tutto strumentale per ottenere uno sconto di pena e che quasi nessuno è affetto da una malattia psichiatrica”.
I fondi regionali per la parità e la sicurezza delle donne
“I fondi stanziati dal Governo regionale per il contrasto alla violenza di genere non sono bastevoli”, conclude José Marano in pieno accordo con la presidente dell’associazione Thamaia.
Quest’ultima aggiunge: “Persino i centri riconosciuti come il nostro, che quindi rispettano tutti i requisiti richiesti dall’Albo, non ricevono fondi adeguati, né tantomeno possono stabilizzare il loro personale. Le istituzioni non dichiarano nel lungo termine i fondi assegnati, così ci ritroviamo a dover continuamente formare nuovo personale e a pagare a nostre spese pure l’affitto della struttura”.