Violenza sulle donne e femminicidio. Cosa si può fare per evitare che queste situazioni si verifichino ancora? Qds.it lo ha chiesto a Giuliana Spera, referente collettivo “Non una di Meno” Palermo
Da mesi assistiamo in Sicilia ad una drammatica escalation di casi di violenza sulle donne, purtroppo culminate col femminicidio della 26enne Vanessa Zappalà, le cui denunce non hanno fermato l’ossessione del suo ex fidanzato.
Il sistema non ha funzionato e Vanessa ha pagato questo gap con la vita. Ma cosa è possibile fare per evitare che queste situazioni si verifichino ancora? Qds.it lo ha chiesto a Giuliana Spera, referente del collettivo “Non una di Meno” Palermo.
Secondo la percezione dei siciliani c’è un aumento di casi di violenza
contro le donne, è davvero così?
“In realtà, non c’è un aumento netto. Dall’inizio del 2021 le vittime di femminicidio in Italia sono già 41, ma anche negli anni precedenti abbiamo raggiunto queste le cifre, infatti, ogni anno si arriva a circa un centinaio di donne uccise da uomini a loro vicini. Sicuramente il Covid e la quarantena hanno peggiorato la situazione perché l’isolamento forzato non aiuta le donne a difendersi dalla violenza”
Come possono difendersi?
“È bene ricordare che gli episodi di violenza fisica sono sempre preceduti da violenza di natura psicologica, tra cui le minacce, la violenza verbale o economica. L’isolamento non aiuta e in più, come abbiamo visto con Vanessa, nonostante le denunce si tratta quasi sempre di femminicidi annunciati, infatti questi uomini oltre ad essere persone vicine come il padre, il marito o l’ex fidanzato, sono quasi sempre già persone denunciate per stalking o minacce. Anche in seguito ad una segnalazione, però, l’uomo violento non solo non viene incarcerato, ma non viene neanche seguito, esattamente come l’uomo che ha ucciso Vanessa, il quale non era sottoposto a nessun tipo di controllo, neanche da punto di vista medico. In più era in possesso di un’arma, com’è possibile che un uomo denunciato più volte per stalking continui a possedere un’arma?”
Quando una donna sporge querela presso le forze dell’ordine si trova
spesso sotto attacco. Perché durante le indagini condotte da forze dell’ordine
e da giudici c’è qualche passaggio in cui il meccanismo di protezione si
inceppa?
“In realtà il problema sta a monte perché, sembra assurdo dirlo, ma in realtà la violenza sulle donne è assolutamente prevista e tollerata nella nostra società. Ci capita spesso di ricevere delle segnalazioni sul comportamento delle forze dell’ordine che danno delle risposte anche umilianti alle donne che si rivolgono a loro del tipo “va bene per oggi se ne vada dormire, domani vedremo” oppure di altre che non possono denunciare a causa di alcuni cavilli burocratici. Alle donne che riescono a scappare dicono che il pericolo è scampato e che non c’è più bisogno di preoccuparsi, poco conta se la donna ha dovuto lasciare una città con i propri affetti o il proprio lavoro. Qualche giorno fa ci ha scritto una ragazza che si trova in quarantena a casa. Ci ha raccontato che il fidanzato entra a casa sua dalla finestra e la minaccia. Lei non può scappare perché ha il Covid, ma la questura ha minimizzato e non ha accolto la denuncia. A questo punto lei ha contattato noi, le abbiamo chiesto l’indirizzo di casa e le abbiamo detto di chiamarci subito se fosse successo di nuovo, andremo noi ad aiutare, è incredibile”
Da cosa nasce questa sottovalutazione del rischio?
“Si tratta di una questione culturale è come se fosse accettabile che un uomo manifesti la sua frustrazione in questo modo, è vissuto come normale, considerato primordiale nell’uomo, in realtà però sappiamo che non è così. Per cui è necessario andare nelle scuole per educare i giovani ed eradicare dalla nostra cultura la mentalità patriarcale. La repressione e le punizioni del Codice Rosso non bastano, a maggior ragione se la pena non è applicata o viene applicata male. Ma anche se fosse applicata bene in tanti riuscirebbero a scappare al meccanismo di controllo, per cui è necessario iniziare ad educare le nuove generazioni che devono prendere coscienza di cosa è la violenza e come riconoscerla subito. I dati ce lo dicono, nonostante l’introduzione del Codice Rosso, i femminicidi aumentano”
Come si può educare a riconoscere la violenza psicologica?
“L’educazione deve essere fatta sia agli uomini che non devono essere violenti, ma anche alle donne devono essere educate a riconoscere la violenza e a non subirla come una cosa normale. C’è sempre una prima fase in cui le donne sono state educate a giustificare la violenza soprattutto quella psicologica o economica. Se guardiamo i dati delle associazioni antiviolenza mostrano che la gran parte delle donne sono dipendenti economicamente da uomini, in questa situazione è difficile poter reagire”
Nel momento in cui questi uomini vengono denunciati non potrebbero
intraprendere un percorso di recupero psichiatrico o comportamentale?
“Sarebbe assolutamente utile, ma senza lo stravolgimento del modello educativo tossico che domina nella nostra società dell’uomo prevaricatore e la donna che deve subire e accettare il resto sarà un palliativo. Quando si arriva al femminicidio, in genere, si sono già consumati anni e anni di violenze”
Nel nostro ordinamento giuridico la malattia mentale è una scriminante,
per questo motivo in caso di denuncia si tende a sottacere questo aspetto,
infatti, alcuni di questi uomini oltre ad avere una mentalità maschilista e
patriarcale hanno dei problemi psicologici, come intervenire in questi casi?
“Secondo noi, il problema è principalmente culturale ciò non toglie che il tema della salute mentale debba essere attenzionato meglio, ricordiamo che anche l’uomo violento è “vittima” di questa prevaricazione che deve per forza riversare sulla donna, tanto che come l’uomo che ha ucciso Vanessa, si è poi suicidato. Sicuramente anche per lui il gesto di uccidere Vanessa non è stato senza conseguenze. Quello della salute mentale in Italia è un problema molto sottovalutato in generale, c’è reticenza e vergogna a parlarne, quando in realtà la salute mentale andrebbe monitorata e controllata, così come periodicamente controlliamo la salute del nostro corpo. Dare alle persone la possibilità di avere un supporto psicologico quando è necessario, potrebbe anche questo essere uno strumento utile per tutti. Ma perché quando il disagio tocca gli uomini si riversa poi sulle donne sotto forma di violenza? Perché parliamo di persone frustrate, che spesso a loro volta hanno subito violenze. C’è qualcosa che fa scattare questo meccanismo legato ad esperienze di vita anche di coloro che non vivono in condizioni di disagio economico o sociale. Il punto resta però sempre quella ovvero la violenza sulle donne che ancora è fondamentalmente tollerata nella nostra società”
Il carcere può essere una soluzione?
“La repressione può essere una soluzione a breve termine quando funziona, ma spesso non funziona perché i giudici sono persone che vivono a loro volta in questa società e ne subiscono i condizionamenti. Quando un poliziotto ti dice “vabbè che ci fa, sono cose che capitano, lascia correre” è evidente che in qualche modo esprima un sentore comune, ma il fatto che lo faccia quando ricopre un ruolo istituizionale è grave perché può portare a conseguenze tragiche. Anche i giudici che nei processi per stupro si trasformano in processi alla donna studiano i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti, per cercare una provocazione allo stupro come gli abiti indossati. Se non c’è un cambio culturale quindi anche la legge, per quanto ben fatta, sarà applicata male da uomini e donne”
Oltre il potenziamento dell’aspetto educativo cosa si potrebbe fare nel
concreto in Sicilia secondo il collettivo Non Una Di Meno?
“In generale è necessario potenziare e finanziare i centri anti violenza e i consultori, che sono assolutamente definanziati e svuotati. I consultori, oltre ad essere dei presidi medici, sono anche luoghi in cui è prevista la presenza dell’assistente sociale e dello psicologo, per cui anche qui le donne potrebbero cercare aiuto. Inoltre, al consultorio una donna può andarci anche con la scusa di effettuare una visita medica senza che l’uomo se ne renda conto. I femminicidi purtroppo si verificano in egual modo e numero su tutto il territorio nazionale, in Sicilia si verifica più che altrove la sudditanza economica perché qui la disoccupazione femminile è più alta che in altre regioni, quindi queste donne potrebbero essere aiutate con degli strumenti di emancipazione economica. Alcuni centri antiviolenza come “Le Onde Onlus” di Palermo, fanno un ottimo lavoro proprio dal punto di vista dell’immissione di queste donne nel mondo del lavoro, esistono queste esperienze e abbiamo visto che funzionano perché le donne che riescono a liberarsi dai meccanismi di sottomissione, poi si salvano. Sono dei presidi territoriali presenti in modo capillare che possono dare un grande supporto se vengono finanziati”
Sonia Sabatino