Donne che odiano gli uomini il gentil sesso da vittima a carnefice - QdS

Donne che odiano gli uomini il gentil sesso da vittima a carnefice

Roberto Quartarone

Donne che odiano gli uomini il gentil sesso da vittima a carnefice

martedì 27 Novembre 2012

Pubblicato il primo studio sulla violenza di genere contro il sesso maschile: 288 degli intervistati provengono dal Sud
Il 10,7% dichiara di essere diventato padre con l’inganno. L’8,6% ha subìto violenza sessuale

PALERMO – Anche gli uomini piangono: è stato pubblicato il primo studio sulla violenza di genere contro il sesso maschile, che rivela come 5 milioni di italiani siano vittime di violenza fisica, oltre 6 milioni di violenza psicologica e, udite udite, quasi 4 milioni di violenza sessuale. C’è poco da ridere, perché il variegato gruppo di lavoro che ha pubblicato il documento parte proprio dal presupposto che si parla di un fenomeno difficile da spiegare e, quindi, difficilmente quantificabile: chi lo subisce raramente ha il coraggio di ammetterlo, per retaggi culturali o per la paura di essere deriso, anche dalle autorità di pubblica sicurezza che dovrebbero difenderlo.
Chi pensa alla violenza “di genere”, immediatamente ricorda i numerosi casi recenti di femminicidi: Maria Anastasi a Trapani, Maria Anicito a Paternò, Vanessa Scialfa nell’ennese sono tutte state uccise dal partner, marito, ex o fidanzato. “Il fenomeno è tutto culturale”, spiegava al QdS Loredana Piazza, presidentessa dell’associazione Thamaia onlus, che si occupa appunto di violenza sulle donne.
Una questione altrettanto culturale appare, quindi, la lotta contro l’altra faccia della medaglia: ovvero la salvaguardia di quegli uomini che diventano la parte debole della coppia, che subiscono violenze fisiche o psicologiche. È ovvio che è più facile vedere la forza fisica come mezzo usato dal partner di sesso maschile in una situazione di violenza di coppia. Ed è questa la notizia che finisce in pasto alla stampa, perché giustamente la coscienza collettiva suggerisce che questi atti vadano condannati senza indugio. “Tale informazione – scrivono tuttavia gli studiosi – passa tramite canali ufficiali determinando una conseguenze sensibilizzazione unidirezionale”.
Non ci si deve comunque stupire della forte esposizione mediatica solo della violenza contro le donne. Infatti, lo studio spiega che, molti uomini (inizialmente favorevoli a sottoporsi al questionario di 72 domande) hanno rinunciato dopo aver letto il testo. Manca quindi la consapevolezza in molti soggetti che anche questo fenomeno sia degno di nota. In molti altri, invece, la consapevolezza è molto forte ed è per questo che tra i 1.058 soggetti intervistati, molti hanno caratteristiche simili: quasi la metà ha tra 40 e 49 anni e il 41 per cento è separato. E tutti hanno dichiarato di aver subito almeno una volta delle violenze fisiche. È facile quindi immaginare che le risposte abbiano quindi una tendenza verso la “negatività”.
Le risposte sono tra le più varie: il 58,1% degli intervistati ha dichiarato che una donna lo ha schiaffeggiato, preso a calci, a pugni o morso; contro il 24% le donne hanno usato o minacciato di usare armi; l’8,6% è stata vittima di violenza sessuale mediante l’utilizzo della costrizione; il 4,1% è stato costretto ad avere rapporti sessuali con altre persone. La violenza psicologica ha alte percentuali per tutti gli intervistati: la metà dichiara di aver ricevuto critiche per un impiego poco remunerato o di esser stato denigrato a causa della vita modesta consentita alla partner; oltre il 75% delle partner insulta, umilia, provoca sofferenza con le parole; quasi al 70% si situano gli impedimenti o limitazioni agli incontri con i figli o la famiglia d’origine; stessa percentuale per la minaccia di chiedere la separazione, togliere casa e risorse, ridurre in rovina. L’utilizzo strumentale di false denunce ed accuse costruite è infine una percentuale in crescita soprattutto dopo la separazione e ha coinvolto il 48,4% degli intervistati.
È una, insomma, la domanda che ci si deve porre: “Può una forma di violenza essere considerata politically correct, qualunque essa sia?” Gli stessi ricercatori si danno una risposta: “Esplicito dovere di una società civile dovrebbe essere prevenire e condannare la violenza a 360°, a prescindere dal genere di autori e vittime”.
L’insegnamento da trarre è che la violenza è da condannare in qualsiasi caso: oggi fa più rumore il femminicidio e la violenza di genere contro gli uomini rimane un fenomeno quasi folkloristico e di colore: fa sorridere. Quando, in realtà, non c’è nulla da ridere.
Lo studio è stato pubblicato sulla “Rivista di criminologia, vittimologia e sicurezza” a firma di nove ricercatori: Pasquale Giuseppe Macrì, Yasmin Abo Loha, Giorgio Gallino, Santiago Gascò, Claudio Manzari, Vincenzo Mastriani, Fabio Nestola, Sara Pezzuolo, Giacomo Rotoli. Si tratta di un gruppo eterogeneo (quattro docenti, un giornalista, due esperti di abusi sull’infanzia, un ingegnere informatico, una psicologa), che con l’“Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile” vuole far emergere “elementi di valutazione ancora inesistenti nel nostro Paese, utili a verificare se esista, ed eventualmente in che misura, una realtà diversa da quella fondata esclusivamente su condizionamenti, luoghi comuni e pregiudizi”.
Come sottolineano gli autori, in effetti, all’estero il fenomeno è seriamente studiato anche a livello istituzionale. E gli stessi presentano una lunga lista di studi (molti statunitensi) che dimostrano come a volte sia addirittura la donna ad avere un tasso d’aggressività maggiore, anche se due delle indagini pubblicate nel 2009 mettono in luce come ci siano poche differenze di genere quando si tratta di violenza nella coppia. In Italia, è stato proposto anche al ministero delle Pari opportunità di condurre l’inchiesta, tuttavia nessuno dal dicastero “ha ritenuto opportuno rispondere”, scrivono gli autori della ricerca.

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