Doposcuola, teatro, laboratori di riuso: la creatività per sconfiggere la rassegnazione. L’associazione Iqbal Masih opera con i bambini del popoloso rione catanese
CATANIA – Nell’aprile 1995 Iqbal Masih, il dodicenne famoso per essersi ribellato alla schiavitù dei piccoli operai in Pakistan, veniva ucciso a Lahore. Cinque mesi dopo, il 23 settembre, un gruppo di ragazzi catanesi fondava l’associazione non riconosciuta Iqbal Masih, che ai più piccoli del quartiere di Librino ha dedicato diciannove anni di attività. Situata sotto il palazzo di cemento, fa da centro di aggregazione popolare e cerca anche di coinvolgere gli adulti. Così, anche un semplice spettacolo con le marionette sulla leggenda di Colapesce, può spingere i bambini e gli spettatori adulti a riflettere sulla realtà e i problemi che li circondano.
“La nostra prima attività – spiega Marco Cannavò, uno dei volontari – è il doposcuola con i bambini, cui dedichiamo anche attività artistiche e creative, come i laboratori di riuso e teatrali. Stiamo riprendendo a fare le assemblee di quartiere, ma non è facile stare sempre dietro le esigenze del territorio”.
Cannavò e gli altri volontari cercano di andare alle radici dei problemi di Librino. “Il vero scoglio – afferma – è la rassegnazione. Non riusciamo a sradicare l’accettazione della realtà: si preferisce vivere così, senza voler cambiare, perché si ha paura di nuovi problemi, di qualcos’altro che possa turbare la propria vita”.
Al gruppo di Iqbal Masih tocca supplire alle ataviche assenze delle amministrazioni comunali, sempre presenti però prima delle elezioni. “Si fanno le classiche salsicciate preelettorali, ma funziona così dal dopoguerra, ovunque. Il problema è ridare dignità e decoro al quartiere, ma ci vogliono investimenti, milioni di euro per completare il progetto. Il Comune può intervenire solo per piccoli problemi, però il palazzo di cemento è stato sgombrato, ma la delinquenza è rimasta; il teatro Moncada è stato ristrutturato, ma non è mai pronto. Servono progetti, idee, voglia, organizzazione, ma non li vedo”.
E poi c’è il campo liberato di San Teodoro: “È stato abbandonato per 16 anni. È stato ripreso, stiamo ristrutturando le palestre e lo stiamo ridando al quartiere, attraverso il rugby, lo sport, il campo antimafia, gli orti sociali… Siamo stati i primi a portare qui gli orti, che ora stanno diventando un’idea che piace molto e le persone del borgo vengono per coltivare. È un discorso che va oltre: è aggregazione, è vivere il quartiere. A 100 mila persone viene ridata un’idea di spazio sociale”.