La foglia che cade e la foresta che cresce - QdS

La foglia che cade e la foresta che cresce

Carlo Alberto Tregua

La foglia che cade e la foresta che cresce

mercoledì 28 Gennaio 2015
Che hanno in comune la foglia che cade e la foresta che cresce? Il silenzio. Quel silenzio che è più forte delle parole di tanti tromboni.
Il silenzio è d’oro, la parola è d’argento, dicevano i vecchi saggi, con ciò sottolineando l’esigenza di parlare poco e agire molto. Quando si parla, prima bisogna pensare e riflettere per evitare di usare le parole a sproposito e, spesso, senza senso. Le parole sono pietre, affermava Alessandro Manzoni (1785-1873), spesso diventano proiettili. Ecco perché bisognerebbe avere la saggezza di usarle in modo appropriato ed efficace.
Tutto il contrario di quanto siamo abituati noi italiani e, ancor più, noi meridionali. Anzi, cerchiamo di amplificare quello che diciamo con una teatralità spesso umoristica e spesso deleteria.
Il silenzio della foglia che cade e quello della foresta che cresce è formidabile. Basta capirlo, farne tesoro ed usarlo più spesso delle parole.

Perfino la canzone esalta il silenzio. La voce del silenzio, un ossimoro, di Paolo Limiti, portata al successo da Mina. Il silenzio parla, si esprime, va capito perché costringe a pensare quale possa essere il suo significato.
Quanto scriviamo non vuole essere l’esaltazione di chi non parla, ma la sottolineatura che fra il parlare a vanvera e tacere, è meglio quest’ultimo comportamento.
Scegliere le parole ad una ad una, comporle in frasi concise e poco aggettivate, comunicare concetti e non catene di parole, è un modo colto di esprimersi, anche per evitare di tediare inutilmente i propri interlocutori.
Ognuno di noi, quando va a scuola, studia la lingua, con le sue sfaccettature, studia grammatica e sintassi, dovrebbe avere una particolare cura alla punteggiatura, come insegna Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel 1934. Ognuno deve seguire le regole, ma si può molto personalizzare, per far capire meglio a chi legge il senso della comunicazione scritta.
Pensare bene quello che si vuol dire e usare parole che usino come vestito il concetto che si vuole esprimere. Esprimersi per concetti e non per parole è un modo efficace di comunicazione ed anche un segno di rispetto nei confronti di chi ascolta.
 

Quando si va in un bosco, se si riesce a stare zitti, si ascolta il silenzio degli alberi e della vegetazione. Non si tratta di un silenzio muto perché comunica sensazioni e la vita che fa crescere il bosco e la vegetazione. Qualche volta osserviamo le foglie che cadono in autunno senza produrre alcun rumore. Tuttavia, quel movimento ci induce a pensare. La meraviglia della vita vegetale è strettamente connessa con quella animale e con la nostra.
Tutto è un movimento, continuo e senza sosta. Tutto si muove in sintonia coi tre movimenti della terra: rotazione, rivoluzione, inclinazione. I fisici tentano di capire quello che accade, ma ancora la strada della conoscenza è lunga, per spiegare la maggior parte dei fenomeni che ci sono ignoti.
E allora cosa possiamo fare noi, piccole persone? Dobbiamo tentare, col nostro microscopico cervello, di capire. Ecco, la sete di capire quello che accade, la sete di capire il senso della vita…e della morte del corpo, che libera lo Spirito. 

Purtroppo l’attuale comunicazione attraverso i mass media non tiene conto di quanto precede. Ognuno dei comunicatori parla, parla e parla, anche su testi che altri hanno preparato. Spesso le parole non aiutano a pensare, né aiutano a capire. Spesso le parole aiutano a confonderci.
Se la confusione è creata ad arte, proviene da un comportamento in malafede. Se la confusione si genera senza scopi malefici, è frutto di ignoranza. In un caso o nell’altro, noi non abbiamo bisogno di confusione, ma di chiarezza e di nitidezza perché, ripetiamo, dobbiamo essere ansiosi di capire e di incamerare conoscenza che ci aiuti a capire.
Per fare, bisogna sapere; è proprio il sapere la più grande ricchezza che esista al mondo. Il vero patrimonio che ognuno di noi acquisisce è proprio questo: il sapere, che deve essere effettivo e non inquinato, in modo che ci consenta di regolarci adeguatamente, per evitare comportamenti negativi che creano danno agli altri ed a noi stessi. Serve la riflessione che ci aiuti in questa direzione. Poveri gli ignoranti!

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