Il segretario generale Pagliaro traccia insieme al commissario De Francesco un profilo scoraggiante. La necessità è di puntare sul turismo con il supporto necessario delle istituzioni
MESSINA – A Messina servono capitali freschi e l’unica via attraverso la quale possono arrivare è quella del Ponte. La diagnosi è del segretario generale della Camera di commercio, Alfio Pagliaro, il quale, in occasione della tredicesima giornata dell’economia, traccia, insieme al commissario, Franco De Francesco, un profilo tutt’altro che confortante.
Un’economia chiusa, quella dell’intera provincia peloritana, che si regge solo sul mercato interno e incapace di attrarre capitali, con un numero insignificante di grandi imprese. Da questa “stagnazione” nasce la necessità, da un lato, “di puntare sul turismo con il supporto necessario delle istituzioni”, chiamate a “farsi carico di un progetto che abbia una porta di almeno cinque o dieci anni”. Dall’altro, di “un apporto di denaro fresco”.
“Se non possono le imprese – afferma Pagliaro, che opera a scavalco con l’ente camerale di Catania – può il Ponte. Al momento, la vedo come l’unica opera capace, negli anni, di fare arrivare miliardi di euro, di portare lavoro e fa crescere l’indotto”.
L’analisi è confortata da quanto spiegato dal commissario: “Come l’anno scorso, nel primo trimestre del 2015 si registra un saldo negativo delle imprese attive. Le cessazioni sono state il 20% in più delle iscrizioni”.
De Francesco parla di “quadro desolante”, di “segnali evidenti di sofferenza”: “Registriamo elementi positivi nell’occupazione ma non vorrei fossero falsati dal Jobs Act. I tirocini formativi, a Catania, sono oltre duemila, qui circa 300. Ma occorre guardare nel lungo periodo. Del resto, i dati Inps, sempre nel primo trimestre 2015, evidenziano una riduzione dell’occupazione del 3,5%, che arriva al 5 nel caso dei soli dipendenti”.
Lo studio della Camera di commercio si sofferma sulle dinamiche imprenditoriali, essendo, i dati, estrapolati dal registro delle imprese: “Il tessuto economico messinese – spiega Pagliaro – nel 2014 conta 60.275 imprese registrate, di cui 45.983 attive, pari al 76,29%. Rispetto al 2013, c’è un aumento di 145 unità (0,24%), in controtendenza rispetto all’andamento regionale e nazionale. Tuttavia, se si guarda alle aziende attive, c’è un’autentica moria, soprattutto nei comparti agricolo, del commercio e delle costruzioni”.
È proprio il commercio il settore trainante, con il 34,44%, pertanto “l’economia si regge solo su un mercato interno”. Seguono costruzioni (15,08%), agricoltura (12,84) e attività produttive (8,66): “Sono significative – rileva il segretario – le 3.910 imprese turistiche, pari al 7,5%. A Catania non arrivano al 5”.
Sotto il profilo della natura giuridica, le imprese individuali costituiscono il 60,5%. Seguono la società di capitali (19,4) e le società di persone (12,3). In Italia, le società di capitali rappresentano il 24,6% ma il trend, a Messina, è comunque positivo, considerando che nel 2004 erano l’11,6% e nel 2009 il 15,5: “Questo denota che il tessuto economico evolve verso forme più complesse che permettono di resistere alle congiunture”.
Il vero punto debole è dato dalle dimensioni delle aziende. Nel 91,8% dei casi si tratta di micro imprese. Le piccole sono il 6,1%, quelle medie l’1,5, mentre le grandi sono appena lo 0,1%: “Vanno da 50 a 70 in tutto – prosegue il dirigente – la loro esiguità implica la mancanza di soggetti capaci di creare ricchezza. Indicativo è il saldo delle aperture e chiusure di unità locali. Si assiste a una regressione, si preferisce aprire in altre aree economiche. È il caso del Gruppo Franza che ha chiuso qui per aprire a Catania una nuova linea dell’autostrada del mare, con un porto del nord. L’economia messinese è un’economia chiusa, che non attare investimenti e che necessita di una frustata”.
Da qui la proposta di puntare sul turismo, con un “programma di investimenti per la valorizzazione del territorio, da parte delle istituzioni”, e sul Ponte.