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2 giugno, la Repubblica cambia ma la Costituzione resta un punto fermo

redazione

2 giugno, la Repubblica cambia ma la Costituzione resta un punto fermo

Amedeo Barbagallo, Lina Bruno, Patrizia Penna e Chiara Vilardo  |
venerdì 02 Giugno 2023

Il 77° anniversario segnato dalla riflessione politica sulle riforme istituzionali e sull’equilibrio dei poteri. Il messaggio di Sergio Mattarella: "La nostra Carta costituzionale è riferimento sicuro"

“Gli Italiani, un patrimonio di valori per la Repubblica”. È questo il tema scelto per la 77esima edizione della Festa della Repubblica, a sottolineare che l’Italia è l’insieme dei valori che i suoi cittadini esprimono.

“L’Italia siamo noi”. Poche parole a simboleggiare che la Repubblica non esisterebbe senza la coesistenza di differenti sogni, provenienza, età, professioni, condizioni sociali che senza alcuna distinzione si identificano in una unità che affratella tutti i cittadini e le cittadine del nostro Paese, si spiega.

Il 2 giugno 1946 si svolse il referendum sulla forma istituzionale dello Stato che, con il voto popolare, condusse alla nascita della Repubblica italiana e pose le basi della Costituzione repubblicana.

Un anniversario, quello di oggi, che come ogni anno sarà celebrato con una serie di iniziative che si terranno in tutta Italia, ma che quest’anno avrà un sapore particolare perché cade in un momento di riflessione politica sulle riforme istituzionali e sull’equilibrio dei poteri. Un tema delicato e un dibattito molto complesso, rispetto al quale a fare da bussola sono, come sempre, le parole del nostro Presidente della Repubblica:

“La democrazia – si legge in un passaggio della lunga intervista che il Capo dello Stato ha concesso al giornalista Paolo Pagliaro – è ascolto da parte delle istituzioni e partecipazione da parte dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali che costituiscono la forza delle società civili contemporanee”.

“Talvolta, sul dialogo tende a prevalere il conflitto e, peggio – un fenomeno non nuovo ma non per questo meno deprecabile, aggravato oggi dall’uso distorto dei social – è il manifestarsi nella dimensione pubblica di espressioni di odio, ancor più inquietanti se espressione di lotta politica. La violenza anche solo verbale crea fossati non colmabili, mina e rende sterile ogni senso di comunità”, spiega il capo dello Stato.

La Carta costituzionale, ricorda Mattarella, “pone la persona come soggetto al quale ricondurre diritti e doveri”. “È la matrice dei valori della Repubblica e la fonte alla quale tornare ogni qual volta abbiamo la necessità di ridefinire la nostra visione. La democrazia è divenuta norma di vita della nostra comunità e la sua pratica la rafforza”.
Punti fermi, quelli evidenziati da Mattarella, dai quali nessuna riforma potrà discostarsi. (pp)

Presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato

Presidenzialismo

La forma di governo indica il modo in cui la funzione di indirizzo politico viene distribuita fra gli organi di vertice di uno Stato, quindi la modalità attraverso la quale questi organi si dividono i compiti da svolgere e in base a quali priorità. L’attuale forma di governo dello Stato italiano è la Repubblica parlamentare. Accanto a questa ne esistono però delle altre, molto diffuse in quelle che potremmo definire le contemporanee “democrazie occidentali”. Quella a cui punta il Governo Meloni, o almeno puntava fino a pochi giorni fa, è il presidenzialismo (o alternativamente, il semipresidenzialismo). Il modello a cui guardare è quello americano, con l’elezione diretta del Capo dello Stato e l’ampliamento, rispetto al caso italiano, dei suoi poteri. Per capirci, negli Stati Uniti il capo di stato e di governo coincidono: Joe Biden è entrambi, e non è legato da alcun rapporto di fiducia nei confronti del Congresso (più o meno il corrispettivo del nostro Parlamento).
Tra i punti di forza della Repubblica presidenziale ci sarebbe proprio la “piena legittimità” riconosciuta al Presidente grazie all’elezione popolare diretta, oltre al rafforzamento della separazione dei poteri e all’indipendenza del Parlamento. Da questo ultimo punto di vista, infatti, il Presidente e le Camere sono scelti in elezioni diverse e nessuno dei due può interferire con l’altro. Tra gli svantaggi del presidenzialismo, rispetto al nostro attuale assetto ordinamentale, rientrerebbero la mancanza di pluralismo e della funzione di organo super partes e neutrale del Presidente della Repubblica, che diventerebbe così un organo politico a tutti gli effetti.

Semipresidenzialismo

Quando si parla di semipresidenzialismo si guarda senza dubbio a Parigi, il cui modello è dato dalla commistione di elementi del presidenzialismo con quelli propri del sistema parlamentare. Come nel caso del presidenzialismo, infatti, il Capo dello Stato è eletto a suffragio universale diretto, e non è legato da un rapporto di fiducia con il Governo. A differenza del presidenzialismo, invece, il Presidente della Repubblica francese non è anche il Capo di Governo, ma lo nomina e ne può condizionare l’azione. Limite a questo potere è la cosiddetta “cohabitation”, fenomeno che si ha quando la maggioranza parlamentare è espressione di una maggioranza politica diversa da quella del Presidente, in cui quindi si cerca una coabitazione forzata tra i due poteri, riducendo di conseguenza quelli presidenziali.
Complessivamente considerato, quindi, il sistema francese ruota essenzialmente intorno alla figura del Capo dello Stato, perno del sistema politico francese in quanto vero organo di indirizzo politico, (non a caso la maggior parte di noi sa chi sia l’attuale Presidente francese, Emmanuel Macron, ma non ha probabilmente mai sentito parlare della Prima ministra francese, Élisabeth Borne).
Come nel caso del presidenzialismo, qualora si attuasse questa riforma istituzionale, il Presidente assumerebbe insomma una funzione politica vera e propria, venendo meno al ruolo di garanzia che la nostra Costituzione gli attribuisce.

Premierato

Rispetto all’idea originaria di presidenzialismo (o di semipresidenzialismo), da sempre rivendicata dall’attuale Governo, oggi la Presidente del Consiglio sembrerebbe aprire ad un’ipotesi di premierato. Il premierato può includere diverse varianti, ma le sue caratteristiche principali sono essenzialmente due: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio – che attualmente, invece, è in Italia incaricato dal Presidente della Repubblica – e un rafforzamento dei suoi poteri, come la possibilità di nominare e revocare i propri ministri, rimanendo comunque legato al Parlamento da un rapporto di fiducia. È un’ipotesi che consente di conservare l’attuale ruolo del Presidente della Repubblica come figura super partes e necessaria a garantire un equo bilanciamento dei poteri. È quello che Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, chiama “sindaco d’Italia”, scelto con un sistema elettorale a doppio turno, come di solito avviene nelle grandi città. Non ci sono però esperienze di questo tipo in Europa, tranne la breve parentesi di premierato israeliana – intesa come diretta elezione del Presidente del Consiglio – e quindi l’Italia sarebbe il primo Paese a sperimentare questo modello. Neanche il riferimento al cancellierato tedesco renderebbe l’idea perché il cancelliere detiene poteri ancora più ampi del primo ministro.
Si tratterebbe insomma, nella forma che verrebbe attuata nel nostro ordinamento, di governi solitamente definiti sulla base di coalizioni, tramite un accordo che precede il voto, guidati poi dal leader del partito più votato alle elezioni. Secondo il Governo Meloni unico antidoto alla cronica instabilità dei governi italiani. (cv)

Agatino Cariola, ordinario di Diritto costituzionale (UniCt)

“In Italia chi governa non ha le armi per farlo? Falso”

Agatino Cariola

Un’eventuale riforma in senso presidenziale della Costituzione stravolgerebbe la nostra Democrazia per come la conosciamo?
Per comprendere al meglio la natura e gli effetti delle riforme a cui il Governo Meloni sta lavorando di concerto con le opposizioni, ci siamo rivolti ad Agatino Cariola, ordinario di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza Unict.

“Ogni riflessione sulle riforme deve iniziare dal loro senso, cioè dal loro contenuto. In altri termini: perché questa riforma, con questo concreto contenuto e con questa direzione? Altrimenti la proposta di cambiare la Costituzione ha un significato solo politico su due profili”, analizza il docente.
Da un lato Cariola vede un tentativo di distrazione dai problemi politici irrisolti, mentre dall’altro si cerca una forte legittimazione politica che giungerebbe dal cambiamento della Costituzione. Il tentativo renziano del 2016 altro non è che un esempio: non importa il contenuto della riforma, bensì l’effetto politico.

“Il carattere ‘distrattivo’ della riforma è dimostrato – sottolinea Cariola – dal fatto che si sia ‘scivolato’ dal presidenzialismo al premierato”. Mentre la forma di governo presidenziale consegna al capo dello Stato i poteri del capo del Governo, e dunque si collega molto spesso alla sua elezione diretta come negli Stati Uniti, il premierato si fonda sulla capacità decisionale di un leader di partito.

Il premierato, però, fa notare il prof. Cariola, deve distinguersi se il premier viene indicato dal partito di maggioranza, come oltremanica, oppure se eletto direttamente dagli elettori, come potrebbe avvenire nel nostro Paese. “Il primo modello è legato ai partiti politici: si vota un partito il cui leader va a fare il Primo ministro, ma il partito impegna tutta la sua responsabilità e conserva il potere di cambiare il proprio leader e, quindi, di mutare il capo del Governo”.

Al contrario, un capo del Governo eletto direttamente dagli elettori, nell’ambito di una democrazia parlamentare come quella italiana, godrebbe di una fortissima legittimazione nei confronti del Parlamento e del presidente della Repubblica.
“Malgrado ciò che si afferma – mantenere l’attuale assetto della presidenza della Repubblica -, è ovvio che un capo del Governo eletto dal popolo non potrebbe essere affatto controllato da un presidente della Repubblica. Voglio dire che si profila un assetto del tutto stonato”.

In un simile contesto emergerebbero diverse preoccupazioni, agli occhi del docente. Con leggi fatte dal Governo tramite la decretazione d’urgenza, “il ruolo del Parlamento sarebbe ridotto a quello di pronunciare ‘yes’ alle decisioni del Governo; ma ciò significa annichilire il ruolo delle opposizioni, espressioni di culture politiche alternative, e quindi degli spazi di democrazia”.
Inoltre, si annullerebbe definitivamente la democrazia nei partiti: “le liste bloccate sono una ferita che non si riesce a sanare. Oggi il potere è nelle mani di chi fa le liste ed ha il potere di candidare o di ricandidare i parlamentari. Ci immaginiamo un leader di un partito eletto dal popolo?“

La Democrazia è assieme capacità di governare, ma responsabilità nei confronti di chi elegge, e alternanza al potere. Sono diventato vecchio a sentire che in Italia chi governa non ha le armi per farlo; mi sono convinto che oggi è divenuto un vero e proprio falso. Abbiamo dimenticato che l’emergenza Covid è stata gestita a mezzo di decreti del presidente del Consiglio? Altro che incapacità di decidere!”, è la dura analisi di Cariola. “Non c’è una legge sulla quale il Governo non pone la fiducia per farla approvare”.

In conclusione, ciò che preoccupa maggiormente il docente è “la mitizzazione dei capi del Governo, la loro ‘santificazione’ in vita”, fenomeno che una riforma in senso presidenziale alimenterebbe fortemente.
“Questo è un problema di democrazia: scompare l’idea di responsabilità e ci trasformiamo in fanatici tifosi, non più in elettori che votano con lo sguardo rivolto al portafoglio, cioè con attenzione alla qualità della vita pubblica”. (ab)

Gaetano Silvestri, giurista e costituzionalista

Gaetano Silvestri

“C’è bisogno di ritocchi, non di stravolgimenti”

Gaetano Silvestri, giurista, costituzionalista, autore di molti saggi. Ordinario di diritto costituzionale all’Università di Messina dove è stato Rettore dal 1998 al 2004. Dal 1990 al 1994 è stato eletto dal Parlamento al Consiglio superiore della Magistratura. Dal 1996 al 1998 è stato membro della Commissione paritetica per le norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana, nel 2005 giudice della Corte Costituzionale e dal 2013 al 2014 è stato Presidente della Consulta. Nel 2016 eletto Presidente della Scuola superiore della Magistratura e dal 2018 al 2021 presidente dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti.

Le riforme costituzionali sono realmente una priorità come ci viene detto?
“La classe politica non ammette la propria incapacità e dà la colpa alla Costituzione che impedirebbe azioni proficue per la crescita del Paese. è considerata l’origine di tutti i mali, non riesco a portare avanti una politica economica efficace la colpa non è mia, politico incapace, ma della Costituzione che ieri come oggi continua a dare fastidio. Tutto viene ridotto alla dicotomia costituzionale incostituzionale. La Costituzione non è intoccabile tanto è vero che c’è un articolo, il 138, che detta la procedura per fare cambiamenti ma devono essere fatti soltanto in certi termini e con obiettivi precisi, senza parlare di assemblee costituenti, di grandi riforme. Non sanno di cosa parlano”.

Ogni Governo insegue una sua idea di riforma o più idee come all’interno dell’attuale. Da quali esigenze nasce questa voglia di riforme?
“La Costituzione è una trappola per chi vuole accumulare potere. Si coglie il senso della Costituzione quando si capisce che con un controllo di costituzionalità si può eliminare una legge che va contro quei principi. Bisogna porre sempre dei margini all’onnipotenza della maggioranza. La maggioranza può essere più tirannica di un dittatore. Quello che vuole la nostra Costituzione è un sistema di pesi e contrappesi. ‘Il potere inebria’ ha detto recentemente il presidente Sergio Mattarella, aggiungo inebria di più soprattutto chi non c’è abituato e poi ha la caratteristica di non bastare mai e invece le Costituzioni democratiche sono basate tutte sul principio per cui ogni uomo che ha il potere è portato ad abusarne e non si fermerà davanti a prediche moralistiche ma solo se incontrerà un altro potere che lo ferma e lo blocca”.

C’è stato il fallimento delle bicamerali ma comunque in questi anni sono stati approvati testi di modifica. Hanno inciso sull’impianto della Costituzione?
“Le bicamerali non potevano che essere fallimentari. L’impalcatura è rimasta e deve rimanere perché è quella che in questi anni ci ha consentito di passare da un Paese che era un cumulo di macerie ad una delle più grandi potenze del mondo. Deve essere adeguata al cambiamento dei tempi ma senza stravolgimenti perché è già proiettata in avanti, svolgendo una funzione innovativa continua, quotidiana. L’ambiente ad esempio che è un valore fondamentale, gli effetti dell’inquinamento li vediamo quotidianamente, già nella Costituzione italiana nella versione del 1948 anche se non c’era la parola ambiente, c’era il richiamo al diritto alla salute e ad un paesaggio integro, inteso come territorio dove uomo e natura devono trovare un equilibrio”.

Quali tra premierato, presidenzialismo, e semi presidenzialismo è secondo lei la formula che mostra maggiore compatibilità con i principi costituzionali?
“Queste ipotesi stravolgono l’impalcatura intaccando quegli equilibri che i padri costituenti volevano assicurare. Qualche ritocco va bene, per esempio che il Presidente del Consiglio possa licenziare un ministro che non si adegua all’indirizzo del Governo mi sembra giusto magari si può scrivere chiaramente questo; ritocchi, cose che rendono più funzionale l’attività del Governo ma non altro. Eleggere direttamente il presidente del consiglio sarebbe estremamente dannoso, ci troveremmo evidentemente di fronte ad uno squilibrio con l’accentramento dei poteri in una sola persona. Presidenzialismo? Si figuri un Presidente della Repubblica che perde la sua imparzialità, perché se viene eletto dopo l’esito di una campagna elettorale, diventa un uomo di parte, da arbitro diverrebbe un giocatore”.

Le riforme vengono invocate però come rimedi alla debolezza dei governi.
“I governi sono deboli perché è debole il sistema politico, una debolezza che dipende dall’inconsistenza dei partiti politici, ormai ridotti ad aggregazioni di fedeli attorno a capi. Bisognerebbe fare finalmente la legge sui partiti politici che aspettiamo da settant’anni. Il nostro sistema ha perso l’anima del potere democratico e cioè l’indirizzo politico concordato tra governo e parlamento. Senza questo qualunque governo sarà sempre debole”.

L’autonomia differenziata è un altra riforma a cui si sta lavorando, ma è compatibile con le norme costituzionali?
“Un altro colpo di genio della politica che non serve se non a creare problemi. Ci sono già le Regioni a statuto speciale. Alla fine non lo faranno perché crea tante di quelle complicazioni e poi come è stato scientificamente dimostrato è dannosa per le Regioni del Sud. Spero che la classe politica meridionale sia capace di fermare il tentativo”. (lb)

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