Il peggiore esempio lo danno le Istituzioni statali, regionali e locali che possiedono centinaia di migliaia di unità immobiliari di vario genere, spesso abbandonate e, comunque, non messe a reddito.
La lacuna più grave è quella dei Comuni i quali, nella maggiore parte dei casi, mancano dei Piani regolatori o di quegli strumenti urbanistici che dovrebbero governare lo sviluppo delle città verso la migliore utilizzazione del territorio e degli stabili su di essi insediati.
Ma gli strumenti urbanistici sono obsoleti, per cui i Consigli comunali approvano continue varianti, che snaturano la politica urbanistica di ogni città e perseguono interessi particolari, piuttosto che l’interesse generale.
Vi sono leggi utili alla riutilizzazione degli immobili, con tecniche antisismiche e di bioedilizia. Immobili che si possono abbattere e ricostruire con una cubatura superiore, trovando in questa soluzione un notevole vantaggio economico.
C’è anche una legge che facilita la ristrutturazione delle abitazioni, concedendo un bonus fiscale dal 50 al 65 per cento della spesa sostenuta entro determinati massimali, da utilizzare con una detrazione decennale.
Questa seconda legge ha avuto un grande successo, mentre le prime ancora sono agli albori. Ciò perché il mercato dell’edilizia si è fermato in seguito alla crisi settennale che ha colpito il nostro Paese, mentre vi è un risveglio per la grande convenienza dell’utilizzazione dei mutui, soprattutto per la prima casa, che sono particolarmente convenienti (l’ultima offerta di un noto istituto di credito prevede uno spread dello 0,95%).
Come si vede gli strumenti ci sono, ma il cavallo non beve. Ecco perché sono necessari massicci investimenti e la costruzione di opere pubbliche per accelerare il processo di crescita, così asfittico.
Perché risulta più conveniente far modificare la destinazione di terreni, piuttosto che acquistare immobili esistenti. Ma il cambio di destinazione dovrebbe essere subordinato alla politica urbanistica di ogni città, la quale, a sua volta, dovrebbe tenere conto del costruito non utilizzato, piuttosto che autorizzare costruzioni su terreni non edificabili, ma che lo diventano a seguito di varianti!
Quanti sindaci hanno la visione e la consapevolezza piena del territorio della città da loro amministrata? Non molti, a giudicare dallo scempio che si vede attraversando comuni in cui sono sorti stabili, che non hanno niente a che fare con la tradizione, la cultura e il paesaggio.
Gli uffici tecnici dovrebbero tenere conto del passato e rilasciare concessioni e autorizzazioni di nuovi immobili e di ristrutturazioni degli esistenti, in modo omogeneo alla tradizione della città. Così, quasi sempre non è accaduto. Per cui si notano spesso immobili che per la loro struttura colpiscono come un pugno nell’occhio.
Se si è verificato lo scempio delle coste, con la costruzione di migliaia di manufatti abusivi. Vi è, dunque, una precisa responsabilità che è quella dei sindaci. Dove sono stati in questi ultimi quarant’anni? E dove sono stati i vigili urbani che hanno il dovere di controllare il territorio? E dove sono stati i tecnici degli uffici competenti, quando hanno rilasciato autorizzazioni fuori dal contesto?
Per tutte queste inadempienze oggettive nessuno ha mai pagato alcunché, ma i danni sono rimasti a carico della collettività e non potranno essere risarciti più.
è bene guardare avanti, evitare che lo scempio continui; per fare questo è necessaria la consapevolezza dei sindaci e degli organi tutori regionali, che hanno il compito di controllare la politica urbanistica del territorio.
Occorrono approvazioni rapide dei Piani regolatori e la cessazione delle varianti.