Lombardo, tempo fa, non ha escluso impianti a patto “della convenienza, sicurezza e volontà popolare”. La Sicilia appoggia la tesi di “incostituzionalità” sulle modalità della legge delega
PALERMO – Una sorta di consenso per intersezione ha agito sulle 11 regioni, appoggiate da altre 4, che hanno impugnato per “incostituzionalità” il decreto legge 99/2009 sul ritorno al nucleare. Pur partendo da diverse concezioni sul nucleare, infatti, gli assessori all’ambiente di Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, Puglia, Liguria, Marche, Piemonte, Molise e Toscana, sostenute anche da Veneto, Campania, Sardegna e Sicilia, contestano in particolar modo la modalità prevista nel decreto che delega al governo l’individuazione dei siti per la localizzazione delle centrali.
In una sorta di appoggio esterno, quindi, troviamo anche la Regione Siciliana che tempo fa, attraverso le dichiarazioni di Raffaele Lombardo, non aveva comunque escluso la possibilità della realizzazione di centrali sul proprio suolo a patto però che fossero compatibili con la sicurezza ed il benessere dei siciliani.
Nell’estate del 2008 lo stesso ministro Stefania Prestigiacomo aveva profetizzato il ritorno del nucleare in Italia entro 5 anni, magari con una centrale proprio nella sua isola. Evidentemente la scelta di inserirsi nelle regioni “ribelli” deriva da una serie di ragione di ordine organizzativo e gestionale degli impianti, che secondo l’attuale schema lascia ben poco margine di azione alle Regioni. “L’ennesimo vulnus – commentano laconici alcuni assessori regionali – al principio di leale collaborazione”. La presenza nel moto di protesta di diverse regioni, chiaramente di area governativa, va sicuramente interpretata come una seria risposta alla scelta di scarso coinvolgimento degli Enti Locali nella individuazione dei siti. In particolare le Regioni protestano per la superficialità con cui si potrà ricorrere all’autorizzazione, localizzazione e realizzazione degli impianti, semplicemente attraverso “una mera intesa di Conferenza unificata invece di intese più forti con le regioni interessate territorialmente”. Infatti i rispettivi assessori all’ambiente denunciano un preciso sistema di deresponsabilizzazione delle Regioni, in quanto lo schema redatto dal governo, secondo il documento delle Regioni, non “prevede che le regioni abbiano la competenza a effettuare l’attività programmatoria, di indirizzo e di verifica”.
Tra le altre contraddizioni evidenziate nel documento redatto dalle Regioni possiamo rilevare “la mancanza di un Piano energetico nazionale”, di “un deposito per le scorie (che ora si chiama parco tecnologico) pregresse presenti dall’86”, la procedura Vas (Valutazione ambientale strategica) che “non tiene conto della localizzazione geografica” degli impianti, un ruolo “ambiguo” dell’Agenzia per la sicurezza Nucleare, le “misure compensative per le Regioni”, e in generale lo schema di decreto “non è assolutamente coordinato con la normativa vigente”.
Intanto la polemica cresce di tono e le Regioni accusano il governo di creare “un corto circuito istituzionale”, definendo una realtà dove non solo “non si rispettano più le regole ma il governo non rispetta nemmeno le sue stesse leggi”.
La partita resta tuttavia più aperta che mai sia nel dibattito scientifico, quindi sull’opportunità o meno del ritorno al nucleare in Italia, sia nel mondo politico che continua a mantenere posizioni molto variegate.