Agromafia, quando la terra frutta guadagni illeciti per 15 mld di € - QdS

Agromafia, quando la terra frutta guadagni illeciti per 15 mld di €

Giuliana Gambuzza

Agromafia, quando la terra frutta guadagni illeciti per 15 mld di €

mercoledì 25 Gennaio 2012

I contraffattori risparmiano su qualità e sicurezza dei prodotti agroalimentari

Non bastavano la concorrenza dei Paesi in cui produrre costa meno, la crisi economica, gli interventi strutturali che non arrivano mai, o arrivano troppo tardi. Il settore agricolo è assediato proprio su tutti i fronti: ci si mette pure la criminalità organizzata a svuotare le tasche degli agricoltori siciliani.
Si chiama agromafia ed è un termine nuovo per dire qualcosa di ormai noto: la malavita infila le mani ovunque ci sia possibilità di profitto. Togliendolo, questo profitto, a chi si dedica alle stesse attività produttive, ma al riparo della legge.
Tradotto in cifre con l’aiuto del rapporto Coldiretti/Eurispes, significa che oggi oltre il 5% dell’intero business criminale deriva da contraffazione e pirateria nell’agroalimentare, per un totale di 10-15 miliardi di euro. Considerando anche le imitazioni del made in Italy, il fenomeno frutta guadagni per 60-70 miliardi di euro, coprendo il 5% del Pil, e dà lavoro a 30.000 persone.
Tradotto in euro persi, invece, significa che in casi di frode come quello scoperto dalla GF di Ragusa nel settembre 2010, i coltivatori isolani hanno perso circa 60.000€, pari a 18 tonnellate di pomodorino importate dalla Tunisia e rivendute come siciliane. Il guadagno andato in fumo, tra l’altro, in quell’occasione è stato piuttosto limitato, viste le basse quotazioni registrate dal pomodorino nel 2010 (60 cent/Kg).
L’infiltrazione mafiosa può avvenire praticamente a ogni stadio del processo di produzione e distribuzione dei prodotti agroalimentari. Agromafia significa riciclare il denaro proveniente da altri reati in acquisto di terreni e supermercati: a inizio 2011, 87 aziende confiscate alla criminalità organizzata su 1.377 risultavano attive nel settore agricolo, mentre 2.237 beni immobili espropriati su 9.857 erano terreni destinati alla coltivazione.
Ancora, agromafia significa gonfiare i costi dei prodotti mentre passano di mano in mano, dal coltivatore diretto ai diversi intermediari, e alla fine far mettere nel carrello della spesa cibi dieci volte più cari che all’origine della filiera. Agromafia significa alterare i trasporti, come lo sciopero dei tir in Sicilia dei giorni scorsi potrebbe confermare, a conclusione delle indagini richieste dal Procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso.
Ma agromafia è sinonimo anche di minori controlli sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti. In una parola, di contraffazione. Rivolto a quel 60% di italiani che, secondo Coldiretti/Swg, teme soprattutto le frodi alimentari, il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, in occasione della presentazione a Roma della prima relazione su contraffazione e pirateria nell’agroalimentare, a firma della Commissione parlamentare di inchiesta, ha dichiarato che “chi fa contraffazione risparmia nei processi produttivi ed è per questo che noi consigliamo di stare attenti quando i prodotti costano troppo poco”. Questo risparmio si ottiene con la falsificazione della data di scadenza e/o del luogo di provenienza del prodotto oppure con la vendita dello stesso con un marchio identico a uno registrato o come riproduzione non autorizzata di beni tutelati da copyright industriale.
 

Il finto made in Italy, l’altra faccia della contraffazione

Sughi scaduti e rietichettati, latte francese confezionato in Val d’Aosta per essere venduto come italiano, mozzarelle preparate con latte in polvere: sono solo alcuni degli esempi di prodotti contraffatti riportati nella prima relazione sulla contraffazione nell’agroalimentare. A minacciare l’immagine del made in Italy, però, sono anche gli alimenti che, per così dire, si ispirano alla tradizione culinaria italiana. Certo, non basta disegnare il tricolore per fare dei fusilli Di Peppino preparati in Austria un prodotto italiano. Ma se nel Belpaese imitazioni ingenue come l’olio spagnolo Romulo, con tanto di lupa che allatta Romolo e Remo in etichetta, non possono che strappare un sorriso, lo stesso discorso non vale per gli stranieri. Lo chiamano Italian sounding, un modo gentile per dire che le aziende estere sfruttano l’appeal della cucina italiana per aumentare il volume delle esportazioni fin quasi al 90%, come nel caso dell’America del Nord. Una concorrenza sleale che al mercato italiano costa 164 milioni di euro al giorno, quasi tre volte il valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari. Salvo che nei casi di clonazione, il vero made in Italy rimane ancora difficile da difendere, soprattutto fuori dall’UE, dove almeno si può contare sulla direttiva 2003/89/CE relativa all’etichettatura degli alimenti.

 

Lotta senza quartiere alla contraffazione per recuperare risorse

Dare un posto di lavoro a 300.000 disoccupati, triplicare l’export dell’agroalimentare, restituire oltre 60 miliardi di euro all’agricoltura nostrana, tagliare i ponti tra la malavita e i settori professionali con cui collabora (manovalanza, avvocati, commercialisti, società di trasformazione alimentare, di import/export e di money transfer). E ancora, tutelare la salute dei consumatori e ridare lustro all’immagine del made in Italy nel mondo. Sono solo alcuni degli obiettivi che si potrebbero raggiungere con la lotta alla contraffazione. Strumenti legislativi come il Codice della proprietà industriale (d.lgs 30/2005) e una molteplicità di soggetti istituzionali (GF e Icqrf, tra gli altri) evidentemente non bastano ancora. C’è bisogno di un’etichettatura e di una tracciabilità più rigide, e non solo a livello nazionale. Proposta anche l’estensione alla contraffazione dei metodi d’indagine dell’Antimafia: introduzione del delitto di associazione a delinquere finalizzato alla contraffazione, divieto d’esercizio dell’attività d’impresa, confisca dei beni usati per organizzare la frode, possibilità per la polizia giudiziaria di condurre operazioni sotto copertura, obbligo di pubblicazione delle sentenze di condanna.

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