Dubbi di costituzionalità su distinzione tra assolti e condannati in primo grado
ROMA – Ennesimo vertice di maggioranza sulla prescrizione a Palazzo Chigi. Ennesimo disastro, potremmo aggiungere, sulla riforma della giustizia penale. Disastro che, tuttavia, dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, viene definito invece un “passo in avanti per portare la riforma del diritto penale in tempi brevi in Consiglio dei ministri”.
La svolta al nodo prescrizione, questa volta, l’avrebbe dovuta dare il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “È stata proposta dal premier – ha dichiarato il ministro della Giustizia a margine della riunione – la possibilità, nella riforma del processo penale di fare qualche distinzione tra chi è condannato in primo grado e chi è stato assolto in primo grado valutando l’ipotesi di una sospensione lunga. Abbiamo anche valutato la possibilità, dopo la sentenza di primo grado, di prevedere un’ipotesi di chiedere conto al magistrato del proprio operato, a questo deve servire anche la possibilità di richiedere che il magistrato lavori entro tempi definiti”. Sicuramente una scelta di mediazione politica quella fatta da Conte, per cercare di venire incontro alle varie richieste di Italia viva e Pd.
Tuttavia, non sono tardati ad arrivare gli attacchi dell’opposizione a quello che viene giustamente definito dal senatore di Forza Italia, Renato Schifani, un “mostro giuridico di lapalissiana incostituzionalità”. Secondo il senatore berlusconiano, con questa scelta “la maggioranza si sta assumendo la responsabilità di una regressione macroscopica del grado di civiltà del nostro Paese”. Una posizione che viene condivisa anche da diverse personalità di rilievo del sistema giuridico italiano, come Piercamillo Davigo, presidente della sezione penale in Corte di cassazione e membro del Csm (Consiglio superiore della magistratura). Il magistrato ha espresso diverse perplessità sulla costituzionalità di un diverso trattamento che questa proposta pone tra chi è stato assolto e chi è stato condannato dicendo che “possono esserci dubbi sotto il profilo di precedenti pronunce della Consulta”. Inoltre, Davigo, riferendosi all’ipotesi di “chiedere conto al magistrato sul suo operato”, ha voluto sottolineare che i magistrati italiani “sulla base delle statistiche del Consiglio d’Europa sono i più produttivi tra 47 stati” e che il problema italiano risiede nel fatto che “ci sono troppo processi, soprattutto nei gradi successivi al primo. In Italia – ha aggiunto – l’impugnazione è la regola perché non si corre alcun rischio e si differisce l’esecuzione della pena e fino a questa riforma si sperava nella prescrizione”.
Anche il coordinatore dell’Organismo congressuale forense (Ocf), Giovanni Malinconico, ha bocciato senza mezzi termini l’accordo sulla riforma della prescrizione. “Un pannicello caldo, se non del tutto inutile, – ha dichiarato – comunque non in grado di affrontare il vero problema della riforma Bonafede, che è la gravissima comprensione dei diritti dei cittadini. La distinzione tra imputato assolto e imputato condannato in primo grado porrebbe un evidente problema di disparità di trattamento, dunque un profilo di incostituzionalità. L’unica – ha concluso Malinconico – consolazione è che gli stessi partecipanti al vertice di ieri si sono dichiarati insoddisfatti del risultato. Di qui l’amara consapevolezza che esso diverrà legge quanto prima”.