La mostra "Il Rinascimento parla ebraico" ha fatto conoscere la prima donna medico: Virdimura
La mostra, realizzata presso il MEIS (Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah) a Ferrara, dal titolo “Il Rinascimento parla ebraico”, che si è conclusa il 22 settembre dell’anno scorso, secondo le previsioni doveva essere seguita da una analoga iniziativa, poi impedita dalla sopravvenuta emergenza Covid-19. L’esposizione, comunque, continua ad avere una sua seconda, vivace, vita in quanto è stata interamente digitalizzata ed è visitabile virtualmente da chiunque sul sito: https//ferraraebraica.meis.museum/.
La manifestazione ha beneficiato di conferimenti da parte di tanti enti pubblici e privati, tra cui tanti Archivi di Stato. Questa generosa contribuzione ha fatto conoscere ai suoi visitatori della mostra un primato siciliano o meglio catanese. Infatti, dall’Archivio di Stato di Palermo è pervenuta, in prestito, la licenza di praticare l’arte medica, una sorta di abilitazione professionale, concessa il 7 novembre 1376 all’ebrea catanese Virdimura, moglie del medico Pasquale de Medico, detto pure Pasquale di Catania. Questa licenza al pubblico esercizio dell’arte medica conferita ad una donna, mette in luce che la Sicilia già sul finire del XIV secolo aveva dato i natali alla prima donna medico. La licenza venne richiesta dalla diretta interessata, sul presupposto di una autoattestazione di esperienza di scienza ,al fine di poter praticare la professione medica per soccorrere i bisognosi e gli indigenti. La donna dopo un severo esame da parte dei medici della corona, venne riconosciuta idonea e capace e quindi autorizzata. Della vita di Virdimura, in vero, poco si conosce, ma è certo che abbia rivolto la sua attività professionale prevalentemente in favore delle donne, ma ciò per sua libera scelta, giacchè la sua licenza non conteneva alcuna limitazione. E’ pure certo che avesse una spiccata personalità e che fosse competente, combattiva ed altruista.
La formazione all’arte medica di questa donna avvenne in ambito familiare, prima stando a contatto con il padre e successivamente con il marito. Virdimura probabilmente fu la prima, ma certamente non la sola donna ad esercitare l’arte medica, autorizzata dalla corona e quindi dotata di una regolare abilitazione professionale. Si ha notizia di un’altra donna, di cui non si ha certezza neanche del nome, però cristiana, autorizzata ad esercitare la chirurgia nel 1414. Se della vita di Virdumara non si conosce molto, certamente è ben noto lo stato della medicina praticata da medici ebrei, sia in Sicilia che a Catania. Dalla seconda metà del 1300 la Sicilia era stata terra di immigrazione di medici provenienti dal nord e dal centro Italia, giacchè in quelle terre vi erano fiorenti università che provvedevano alla loro formazione. Nell’isola questa carenza veniva colmata da un gran numero di medici ebrei, la situazione d’insufficienza si protrasse sino a quando la sede universitaria di Catania (1449) cominciò la sua opera di formazione, per supplire alla forte domanda di operatori sanitari, fisici, così venivano chiamati medici di medicina generale, chirurghi e speziali. L’epidemia di peste, che si protrasse dal 1347 al 1348, aveva messo ancor più in luce la carenza di personale medico. Malgrado ciò si cercava di scoraggiare la iscrizione di giovani ebrei a questo indirizzo di studi, sia ponendo impedimenti di tipo normativo al loro accesso alle università, sia con l’imposizione, a loro carico, di tasse ben più gravose rispetto a quelle che venivano pretese da qualsiasi altro iscritto.
Deve pure ricordarsi che che sin dalla prima metà del 1200 esisteva un severissimo divieto di cura che grava sugli ebrei, giacché veniva espressamente vietato di prestare la loro opera in favore di cristiani. Ma questo rigoroso divieto veniva, continuativamente, violato ed anche senza troppe cautele di forma, proprio da coloro che queste norme in vario modo ed a vario titolo avevano imposto. Infatti, pontefici, alti prelati della chiesa, aristocratici e nobili vollero assai di frequente rivolgersi ad ebrei per le necessità della loro salute, anzi li vollero stabilmente come loro medici, accrescendo il prestigio e la loro posizione sia sociale che economica. Ovviamente tutto ciò non poteva non suscitare invidie e calunnie da parte di medici cristiani che costantemente invocavano una rigorosa applicazione delle leggi sul divieto di cura, nel tentativo di avvantagiarsi della normativa di disciminazione esistente, nei confronti dei medici ebrei.
Catania negli anni che seguirono la fondazione della locale sede universitaria, recuperò la tradizionale carenza ed appariva ben fornita di esercenti la professione medica, così come era ben dotata di strutture sanitarie. La più antica era quella denominata: Ospedale di San Giovanni de Fleri, che sorgeva accanto alla chiesa omonima, a cui si aggiunsero tra il finire del 1300 e l’inizo del secolo successivo: l’Ospedale di San Marco, costruito su inziativa delle autorità comunali e l’ospedale dell’Ascensione, entrambi ubicati nella zona dell’attuale piazza Federico di Svevia, sorti questi ultimi con fondi e ad iniziativa della nobiltà catanese. Esisteva pure un altro nosocomio gestito dal Monastero di S. Maria di Nuovaluce.