Il coronavirus ha modificato i nostri stili di vita e ci ha imposto limitazioni ai nostri comportamenti
L’espressione divenuta ormai ricorrente e persino abusata: “Ai tempi del Coronavirus”, che principalmente serve ad indicare i tormentati giorni della pandemia, non è priva di un riferimento alle modifiche dello stile di vita ed a tutti i nuovi comportamenti ed alle limitazioni che l’emergenza, con la conseguente copiosa decretazione, ci ha imposto. Questa efficace espressione è ispirata dal titolo del noto romanzo di Gabriel Garcia Màrquez “L’amore ai tempi del colera”, pubblicato nel 1985 e da cui è stato tratto l’omonimo film nel 2007.
A questi “suggerimenti”, anche sanzionati, di nuovi modi di organizzare la propria vita non sfuggono nè il turismo, nè le vacanze. Per i viaggi e lo svago ci viene, consigliato di restare nell’ambito nazionale e possibilmente di non spostarci troppo dalla zona di residenza e ancor meglio se sotto l’occhio vigile dell’apposita applicazione “Immuniti”, istallabile sul telefonino.
In questo nuovo contesto di vacanze di prossimità la Sicilia da sempre ha da offrire itinerari squisitamente ebraici, con visite ad edifici e siti sempre ricchi di storia e di fascino, anche se nei secoli le tracce della presenza ebraica sono state rimosse, attraverso un processo di delegittimazione. Quasi tutte le città siciliane avevano almeno un quartiere ebraico, i cui confini ancor oggi sono individuabili, aree che conservano reperti architettonici o più spesso sinagoghe trasformate in chiese, come ad esempio il duomo di Taormina, che sorge nel punto centrale dell’area già occupata dal quartiere ebraico. Anche a Palermo, numerose chiese hanno questa origine tra cui, in via Maqueda, quella oggi dedicata a San Nicola da Tolentino. Nella stessa città meritano una visita, le segrete del prestigioso Palazzo Steri, oggi palazzo dell’Università, ma per due secoli, dal 1605 al 1782, sede dell’inquisizione e carcere, dove furono associati eretici, ebrei e presunte streghe; i mal capitati hanno lasciato sulle pareti delle celle eloquenti graffiti, che raccontano di enenarrabili orrori, commessi in nome di Dio. Tra le tante città dell’isola che conservano i silenziosi resti di questo passato, sin troppo dimenticato, talune custodiscono reperti che hanno pochi eguali nel mondo. A Siracusa, nel quartiere ebraico, a ridosso del porto, nei pressi dell’isola di Ortigia, si trova, in ottimo stato di conservazione un “mikveh” (bagno rituale), con i suoi ampi locali, collocati 18 metri al disotto del piano stradale. Nella giudecca siracusana, in cui vi erano altri analoghi locali, dedicati alle abluzioni rituali, e hanno vissuto sino a cinquemila ebrei, vi erano ben dodici sinagoghe.
Ma come in ogni altro luogo dell’isola, tutta questa vita fervente è cessata nel 1492, allorchè i regnanti di Spagna disposero, con cinismo e realizzarono spietatamente, la cacciata degli ebrei dalla Sicilia. A meno di quaranta chilometri da Siracusa, sorge Noto, conosciuta in tutto il mondo come la “Perla del Barocco”, che nel suo territorio conserva un originalissimo laboratorio a cielo aperto all’interno della Cava del Carosello, dove nella vallata scorre un ruscello le cui acque, nell’epoca in cui esisteva l’insediamento ebraico, venivano convogliate in vasche esistenti all’interno di caverne, per praticare la coloratura dei panni. In provincia di Enna ad Agira, custodito nella chiesa del Santissimo Salvatore, vi è l’unico “Aron” (tabernacolo che custodisce i rotoli delle Sacre Scritture) in pietra esistente in Europa, giacchè a causa delle necessità delle comunità ebraiche di spostarsi, queste teche venivano sempre realizzati in legno. La città di Catania accoglieva ben due quartieri ebraici, la giudecca soprana e quella sottana, che si estendevano a monte, dalla collina di Montevergine, antica acropoli di Catania, sito dove attualmente sorge il Convento dei Benedettini, uno dei più grandi monasteri d’Europa, oggi sede universitaria. La giudecca inferiore scendeva al mare nella zona dove oggi sorge il viadotto ferroviario, noto ai Catanesi come gli “Archi della Marina”.
Le due giudecche erano attraversate dal fiume Amenano, in conseguenza detto pure Judicello, che sbocca in mare, in direzione di Villa Pacini, e le cui acque erano utilizzate per la conciatura delle pelli e la tintura dei tessuti, lavorazioni tipicamente ebraiche, molto praticate nelle zone. L’eruzione dell’Etna, ha coperto sia quel che restava degli edifici che costituivano le due giudecche, sia il corso dell’Amenano, che oggi torna a rivedere la luce in Piazza Duomo, nella fontana omonima, che il popolo catanese ha, da sempre, denominato la fontana dell’Acqua a Linzolu, in quanto la cascata che la stessa genera, ricorda il drappeggio di un lenzuolo.
Nel centro di questa grande area si erge il castello Ursino, nella cui torre della bandiera, è ancor oggi, ben visibile la immagine di una menorah, il tipico candelabro a sette braccia, che le maestranze ebraiche, che hanno partecipato alla sua edificazione, a fianco di lavoratori di altre fedi, lasciarono in memoria della loro opera laboriosa. Va infine ricordato, tra i mille siti d’interesse a cui purtroppo facciamo il torto di non nominare, solo per ragioni di spazio, nella provincia etnea, Castiglione di Sicilia, meno noto degli altri centri, presso cui sono presenti importanti resti di una zona ebraica con edifici di culto, abitazioni e annessi ricoveri del bestiame. Fu proprio in questa cittadina che nel 1818, nell’orto del barone Agostino Pennisi di Floristella vennero dissotterrati importanti reperti archeologici tra cui tantissime preziose monete. Questi ritrovamenti potrebbero lasciare presagire la presenza di altri tesori nascosti, nel circondario, che ancor oggi attendono di essere scoperti da nuovi intraprendenti Indiana Jones.