Pubblicato il rapporto Ispra sulle risorse idriche nel contesto geologico del territorio italiano. Alcune come la Ponte Diddino (Sr) e la Ogliastro (Ct) situate a meno di 300 metri da una faglia
di Oriana Sipala
PALERMO – L’approvvigionamento idrico di un territorio è ovviamente fondamentale da un punto di vista non solo igienico-sanitario, ma anche sociale ed economico. In Italia esiste un sistema di erogazione dell’acqua che si serve di sorgenti, pozzi, laghi naturali, corsi d’acqua, bacini artificiali e acque marine dissalate.
Il Rapporto Ispra 2020 “Le risorse idriche nel contesto geologico del territorio italiano”, fa il punto delle diverse fonti di approvvigionamento della risorsa idrica in tutto il Paese, con particolare riferimento al sistema delle grandi dighe e al diverso uso delle loro acque (potabile, industriale, agricolo, elettrico, ecc).
La gestione e il controllo di queste grandi dighe, che superano 15 metri di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a un milione di metri cubi, è di competenza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, come stabilito dalla Legge 21 ottobre 1994, n. 584. Le opere che invece non superano i limiti sopracitati sono di competenza delle Regioni e Province autonome.
Nella nostra Isola sono presenti 46 grandi dighe, ma non tutte perfettamente funzionanti, vista la loro vetustà (l’eta media delle grandi dighe italiane è, infatti, di 65 anni). La maggior parte di esse si usano per fini irrigui. Non a caso in Sicilia, secondo i numeri del Rapporto, i volumi idrici irrigui sono pari a 518.216 litri per km², che in un anno, per una superficie irrigata di 1.603 km², sono pari a oltre 830,5 milioni di m³ d’acqua. Così facendo la Sicilia è dunque la terza regione, dopo Lombardia e Piemonte, per quantità di volumi irrigui utilizzati.
Le grandi dighe ad uso irriguo, infatti, sono distribuite in maniera abbastanza uniforme in tutto il territorio regionale (assenti solo nella zona del messinese). Vi sono poi delle dighe ad uso idroelettrico (tre nella zona di Palermo, una nel siracusano e una nel messinese). Dighe ad uso intrustriale si trovano nei territori di Siracusa (3), Ragusa (1) ed Enna (1); nel palermitano vi sono inoltre tre dighe ad uso potabile, mentre a Enna e Catania vi sono due dighe attualmente non utilizzate.
Alcune delle grandi dighe dell’Isola, inoltre, si trovano in zone a elevato rischio sismico. Secondo i dati del Rapporto dell’Ispra, sono sei le dighe siciliane in siti che presentano valori di accelerazione (ag) su suolo rigido con probabilità di superamento del 10% in 50 anni. Queste sono la diga di Fiumara Grande e del Mulinello (entrambe in provincia di Siracusa), la diga di Lentini (anch’essa nel siracusano), la diga Rosamarina a Caccamo (nel palermitano), la diga Don Sturzo-Ogliastro nel catanese, la diga Pozzillo in provincia di Enna e la diga Ancipa sui monti Nebrodi, tra Troina e Cerami.
Le ultime quattro, inoltre, presentano un’altezza superiore ai 100 metri oppure volume di invaso autorizzato superiore ai 100 milioni di metri cubi, pertanto maggiori potenziali rischi. Altre dighe, inoltre, sono situate a meno di 300 metri da una faglia capace, ovvero una faglia in grado di provocare rotture superficiali. È il caso della diga Ponte Diddino, a Priolo Gargallo in provincia di Siracusa, la già citata vasca Ogliastro nel catanese, la diga Furore in provincia di Agrigento (Naro).
Significativa è anche l’esposizione delle dighe al rischio idro-geologico. Secondo i dati dei Piani di Assetto Idrogeologico (Pai) delle Autorità di Bacino Distrettuale, in Sicilia ci sarebbero sei strutture (tra dighe e invasi) che rientrano in un’area ad alta pericolosità geomorfologica, mentre otto dighe sarebbero situate a meno di 500 metri da zone caratterizzate da una pericolosità idraulica elevata.