Gero La Rocca, presidente dei Giovani imprenditori siciliani di Confindustria, al QdS, "Ad oggi non c’è mai stata una reale volontà di risolvere il problema”. Il Centro studi del Cgia di Mestre, "Nell'Isola le imprese sopportano ogni anno costi per tre miliardi". Intanto, con lo smart working, la produttività della Pubblica amministrazione è in caduta libera
di Serena Grasso e Patrizia Penna
Quasi tre miliardi di euro: a tanto ammonta il costo sopportato dalle imprese siciliane a causa della malaburocrazia. Secondo le elaborazioni condotte dalla Cgia di Mestre a partire dai dati dell’Istituto Ambrosetti, i costi per gli adempimenti, permessi di costruire e tutte le pratiche burocratiche ammonterebbero complessivamente a livello nazionale a 57 miliardi di euro annui.
Secondo le stime dell’ufficio studi veneto, è Palermo la provincia siciliana che sconta il costo più alto degli impicci burocratici: infatti, nel Capoluogo i costi sopportati dalle imprese sarebbero complessivamente pari a 777 milioni di euro, elevando la città tra le prime venti italiane per ammontare. A seguire, per la Sicilia, troviamo il capoluogo etneo (661 milioni di euro annui, al ventitreesimo posto in Italia). In generale, le province maggiormente penalizzate sono quelle in cui è maggiore la concentrazione di attività economiche che producono ricchezza.
Infatti, ai primissimi posti troviamo proprio le province con un elevato livello di industrializzazione: in particolare, al primo posto scorgiamo la provincia di Milano (5,8 miliardi di euro annui), immediatamente seguita da Roma (5,3 miliardi di euro) e Torino (2,4 miliardi di euro). A livello regionale, la Lombardia è il territorio che sopporta il peso più elevato per la gestione dei rapporti con la pubblica amministrazione (12,6 miliardi di euro, pari al 22,1% dei costi complessivamente stimati a livello nazionale): infatti, oltre a Milano, troviamo altre due province lombarde tra le prime dieci, ovvero Brescia (1,3 miliardi di euro, al quinto posto) e Bergamo (1,2 miliardi di euro, all’ottavo posto). Costi significativi si rilevano anche nel Lazio (6,4 miliardi di euro annui), Veneto (5,2 miliardi di euro) ed Emilia Romagna (5,1 miliardi di euro).
D’altra parte, in conseguenza al più esiguo numero di attività imprenditoriali operative, i territori meno soffocati dalla burocrazia si configurano nelle province di Enna (87 milioni di euro), Vibo Valentia (82 milioni) e Isernia (56 milioni di euro).
Dunque, la burocrazia italiana ancora una volta si conferma la peggiore d’Europa. Infatti, tra tutti gli imprenditori dell’area dell’euro intervistati dall’Unione europea, gli italiani sono quelli che hanno denunciato con più veemenza degli altri la complessità delle procedure amministrative a cui sono sottoposti: su dieci intervistati, nove hanno affermato di essersi trovati in grave difficoltà ogni qual volta hanno dovuto applicare le disposizioni richieste dagli uffici pubblici.
Molti osservatori speravano che con l’avvento dello smart working, determinato dall’emergenza sanitaria, la situazione potesse migliorare. Al contrario, secondo una recente indagine condotta da Promo Pa Fondazione, i lavoratori in smart working avrebbero subito una contrazione della produttività pari al 30% a causa dei problemi legati alla sicurezza informatica dovuti all’utilizzo di pc personali e ai problemi di connessione internet. Dunque, se teniamo conto che prima dell’avvento del coronavirus il livello di produttività medio della nostra Pa non era particolarmente elevato, l’esperienza maturata in questi mesi non sembra aver dato risultati particolarmente incoraggianti.
La Rocca, presidente dei Giovani imprenditori siciliani di Confindustria: “Ad oggi non c’è mai stata una reale volontà di risolvere il problema”
La Cgia di Mestre ha quantificato in tre miliardi il “costo” sostenuto dalle imprese ogni anno a causa della burocrazia in Sicilia. Numeri drammatici che la dicono lunga su un problema rimasto irrisolto, nonostante gli annunci della politica. Cosa ne pensa?
“I tre miliardi di cui lei parla annoverano i costi diretti, ai quali – ahimè – vanno aggiunti quelli indiretti, che riguardano i mancati investimenti di imprese che, a causa dei ritardi burocratici e delle mille pastoie, preferiscono rinunciare. È superfluo sottolineare come un mancato investimento porti con sé costi sociali importanti. Il problema è che, come lei stessa ha ricordato, nonostante i tanti annunci, finora non c’è evidentemente mai stata una reale volontà di risolvere il problema. Eppure la questione della burocrazia in Sicilia è tra le cause dirette della difficoltà a crescere e, secondo alcune stime, grava negativamente per il 48% in più sugli imprenditori del Sud rispetto alle aree del Nord. Situazione resa ancora più drammatica dallo shock dovuto al Covid: i dati Confindustria-Cerved dicono che in Sicilia più del 60% delle imprese, a causa della crisi pandemica, è oggi più vulnerabile o addirittura a rischio default. Ma tant’è”.
Se sono questi i numeri con cui ci confrontiamo, con quale spirito e con quali prospettive un giovane di belle speranze dovrebbe decidere di investire e avviare un’impresa?
“Noi come Gruppo dei Giovani imprenditori siciliani abbiamo lanciato un anno e mezzo fa l’hashtag #restoinsicilia proprio perché crediamo in questa terra e vogliamo vederla crescere. Posso assicurale, però, che è davvero un atto d’amore, perché per restare si chiede una resistenza fuori dal comune. Chi decide di fare impresa dovrebbe poter contare su un corpo normativo semplice e chiaro, su uffici efficienti, su tempi certi dei procedimenti con una maggiore responsabilità dei dirigenti cui spetta il controllo. Elementi senza i quali non potremo mai essere attrattivi, né competitivi. Ma non solo. Le aggiungo che, oggi, partecipare a un bando regionale è un rischio. Un’impresa spende enormi risorse economiche e di tempo mettendo in conto che, dalla presentazione della domanda di accesso ai contributi fino alla conclusione del progetto di investimento, passeranno anni in cui si dovranno fronteggiare ritardi di ogni tipo, dovuti alla lentezza dei meccanismi burocratici. In un contesto in cui si compete sui mercati globali a colpi di innovazione è evidente che questa logica è insostenibile. Noi, però, non possiamo arrenderci perché nel nostro Dna c’è l’impresa. Ed è quello che seguiamo”.
Lo smart working ha ridotto del 30% la produttività della pubblica amministrazione in generale ma guardiamo un attimo alla Sicilia: ha ragione Musumeci o hanno ragione i sindacati?
“Non è nelle corde di Confindustria, né tanto meno dei giovani imprenditori, dedicare tempo alla caccia dei responsabili. E non credo, onestamente, che il problema sia lo smart working come strumento in sé perché, come ci ha dimostrato l’esperienza del lockdown non è importante il luogo nel quale lavori, ma gli obiettivi che raggiungi e i tempi che rispetti. Di certo c’è una questione legata alla gestione della macchina amministrativa pubblica che va riorganizzata da cima a fondo rendendola performante e in linea con i tempi. Ogni giorno che trascorre senza affrontare seriamente l’argomento è un giorno di ritardo che accumuliamo”.
Quali proposte avete avanzato voi Giovani di Confindustria per dare una svolta?
“L’anno scorso a Catania abbiamo sottoscritto un patto generazionale con il viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Giancarlo Cancelleri, e il governatore Nello Musumeci su temi specifici: sostenibilità, solidarietà generazionale, formazione 4.0. Ma anche un piano choc per le infrastrutture, una pubblica amministrazione 4.0 e un welfare sostenibile. Un patto che rilanciato proprio qualche giorno fa in occasione del talk “Fase 3. Facciamo il punto. Mettiamo un punto” con il vicepresidente della Regione Siciliana, Gaetano Armao, e con l’assessore alle Autonomie locali e alla funzione pubblica, Bernardette Grasso. L’impegno preso è quello di un osservatorio trimestrale per monitorare l’effettiva attuazione delle norme sulla semplificazione amministrativa. Il nostro obiettivo era e resta sempre lo stesso: gettare le basi affinché la decisione dei giovani siciliani di emigrare diventi sempre e solo una scelta e mai una necessità”.
Carmelo Pullara (Autonomisti): “Basta ferie, recuperare i ritardi”
“Politica e burocrazia non facciano ferie e lavorino per recuperare i ritardi maturati durante il lockdown”.
Così il capogruppo dei Popolari e Autonomisti Idea Sicilia all’Ars Carmelo Pullara.
“Assisto alla querelle che si sta consumando in questi giorni tra dipendenti e dirigenti regionali attorno alla questione ferie e ritengo che sia giusto e necessario che tutti, a partire dalla politica, passando per i direttori e dirigenti e continuando con i funzionari e dipendenti vari, mettano tutto in secondo piano e lavorino nell’interesse dei siciliani – dice – Durante il lungo periodo di lockdown ci siamo riposati tutti. La politica dia il buon esempio, sia parlamento che governo, non fermandosi per la pausa estiva e sono certo che l’apparato burocratico seguirà a ruota con l’appoggio dei sindacati”.